Kornél Mundruczó, dopo Pieces of a Woman (2020), apre il suo ultimo film, Quel giorno tu sarai (2021), scritto insieme a Kata Wéber, con un’altra nascita mostrata in piano sequenza. Questa volta si tratta di un miracolo, il ritorno alla vita in un luogo dove tutto sembrava morto. Nonostante il primo dei tre segmenti sia ambientato in un campo di concentramento, l’opera del regista ungherese più che sui limiti del visibile nella rappresentazione dell’Olocausto, riflette su quella che Marianne Hirsch definisce postmemoria, una forma distinta dalla memoria da una distanza generazionale e dalla Storia da una connessione personale. Evolúció, evoluzione, così il titolo originale del film, prosegue il racconto per capitoli, girati in piano sequenza, concentrandosi prima sulla figlia, Lena, e poi sul nipote, Jonas, della sopravvissuta. Il secondo atto vede per protagoniste le due donne in un appartamento a Budapest. Éva, ormai anziana e con i primi segni di demenza senile, si rifiuta, inizialmente, di andare ad una commemorazione delle vittime della Shoah. La donna ha il timore che la propria memoria personale venga istituzionalizzata e inserita all’interno di pratiche rituali, quella che Assmann definisce memoria culturale (2002).
Lena, invece, cerca di convincere la madre a prendere parte all’evento più che altro per il compenso in denaro che riceverebbe, che vede come risarcimento dell’infanzia perduta, e grazie al quale vorrebbe trasferirsi in un altro paese piantando nuove radici. La figlia di Éva si sente, infatti, prigioniera di narrazioni che hanno preceduto la propria nascita, come se la madre le avesse trasmesso lo stato di sopravvissuta. La sua storia personale è forzata a farsi da parte rispetto a quella dominante del genitore che ha preso forma da un evento traumatico. L’identità ebraica per Lena sembra una maledizione, le ha condizionato non solo l’infanzia, abituata a raccogliere le croste di pane e gli avanzi di cibo come faceva la madre per sopravvivere all’interno del campo, nessuna debolezza ammessa e nessuna preoccupazione sarebbe stata anche lontanamente paragonabile a quella del genitore, ma anche il rapporto che costruisce e mantiene con gli altri in età adulta, sempre giudicata per il passato di Éva.
Se «la normale traiettoria della memoria è indessicale, c’è una continuità tra l’evento e la sua memoria. […] L’evento è l’inizio e la memoria è il risultato», come sostiene van Alphen, «nel caso dei figli dei sopravvissuti, questa relazione non è mai esistita» (van Alphen 2005, p. 485). La famiglia è chiaramente il sito privilegiato per la trasmissione della memoria, nonostante, in questo caso, sia una memoria traumatica, frammentata, dislocata, mediata non necessariamente tramite il ricordo quanto, piuttosto, attraverso la creazione e un investimento immaginativo a partire dagli oggetti. Secondo Hirsch, la fotografia di famiglia rappresenta il diario della postmemoria e, più del racconto orale o scritto, incarna il vero processo di questa trasmissione, sopravvivendo alla devastazione e rimanendo un «resto spettrale di un modo irrimediabilmente perduto» (Hirsch 2012, p. 36).
In Quel giorno tu sarai l’oggetto che consente la mediazione della postmemoria è il certificato di nascita della madre di Éva o, dovremmo dire, i differenti certificati, alcuni dei quali contraffatti per scappare alla persecuzione nazista. Ormai sembra impossibile risalire all’originale. In questo modo vengono evidenziate, oltre che le connessioni, anche le discontinuità e i punti di rottura, come potrebbe essere l’acqua che invade l’appartamento, nel processo di trasmissione inter-generazionale. Nel terzo segmento viene cambiata ancora una volta prospettiva. Questa volta Lena è diventata, dopo la morte della madre, prorettrice e guardiana, facendo riferimento al concetto di guardianship formulato ancora da Marianne Hirsch, del passato traumatico con cui vive in connessione. Il figlio Jonas, contrariamente, non è in alcun modo interessato a manifestare e a ripercorre le proprie radici ebraiche, che vede piuttosto, ancora una volta, come fardello, nel momento in cui viene preso di mira dai compagni.
Un altro oggetto, questa volta una lampada Hanukkah, realizzata dalla madre, al posto del figlio, per un compito in classe, diventa simbolo di valore testimoniale e medium per la trasmissione di una memoria che da familiare diventa transgenerazionale, da individuale a collettiva. Oltre al processo di rimemorazione e ri-elaborazione, avviene un altro scontro, quello di Jonas in una città straniera, Berlino, e verso una comunità che sembra respingerlo. Un ulteriore rottura, il dente da latte, e un differente dolore, la morte del criceto, portano ad una ridefinizione della struttura della postmemoria, non una fissa posizione identitaria, ma paradigmi segnati profondamente dalle pratiche di mediazione generazionali, una rielaborazione del presente, nell’incontro amoroso con Yasmin, piuttosto che un semplice sguardo indietro.
Riferimenti bibliografici
A. Assmann, Ricordare, Forme e mutamenti della memoria culturale, Il Mulino, Bologna 2002.
M. Hirsch, The Generation of Postmemory: Writing and Visual Culture after the Holocaust, Columbia University Press, New York 2012.
E. Van Alphen, Second-Generation Testimony, the Transmission of Trauma, and Postmemory, in “Poetics Today”, n. 27, 2005.
Quel giorno tu sarai − Evolúció. Regia: Kornél Mundruczó; sceneggiatura: Kata Wéber; fotografia: Yorick Le Saux; montaggio: Dávid Jancsó; musiche: Dascha Dauenhauer; interpreti: Lili Monori, Annamária Láng, Goya Rego, Padmé Hamdemir; produzione: Match Factory Productions, Proton Cinema; distribuzione: Dulac Distribution, Teodora Film; origine: Germania, Ungheria; durata: 97′; anno: 2021.