Sembra scontato affermare che la recente riproposta da parte di Feltrinelli del fondamentale volume di Franco Fornari Psicoanalisi della guerra è quanto mai attuale, vista la drammatica temperie storica in cui ci muoviamo. In effetti, come efficacemente sottolineato da Massimo Recalcati nella sua prefazione, il testo di Fornari – edito per la prima volta nel 1966, in piena Guerra Fredda –, esplora la porzione più oscura del continente inconscio, quella situata, per così dire, “al di là dell’Acheronte”, nel solco della grande tradizione inaugurata da Freud con le sue Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte e con Al di là del principio di piacere.
A questo scopo, Fornari fa proprie le categorie kleiniane, che gli permettono di individuare nella dicotomia tra elaborazione paranoica e depressiva del lutto lo snodo fondamentale per comprendere lo sviluppo delle tendenze sadiche e distruttive dell’apparato psichico così come dei meccanismi della colpa e della riparazione. L’idea fondamentale di Fornari è che la guerra sia frutto di un’elaborazione solo paranoica del lutto, intendendo con essa «l’insieme di operazioni per cui il Terrificante Interno Depressivo» (Fornari 2023, p. 30), con il suo portato di angosce psicotiche depressive e persecutorie, viene proiettato all’esterno. In altri termini, il senso di colpa per la morte dell’oggetto d’amore – che ci costringe a fare i conti con la nostra impotenza – viene eluso, realizzando così una deflessione verso l’esterno del potenziale autodistruttivo che caratterizza la pulsione di morte (Todestrieb).
Detta in altri termini, il soggetto, di fronte all’angoscia causata dalla mancanza inemendabile della condizione umana – sia essa rappresentata dall’assenza della madre, dalla morte di un membro della propria tribù o dalla perdita di potenza della propria nazione –, è mosso dall’esigenza di schivare il carattere persecutorio di quella stessa angoscia, dal tentativo disperato di “governare l’ingovernabile”, di suturare la ferita al cuore dell’umano. Ma perché, secondo l’impostazione di Melanie Klein fatta propria da Fornari, si imporrebbe questa necessità, per cui l’elaborazione del lutto assume tratti paranoici? Si tratta, in coerenza con quanto detto, di una contromisura di fronte al rischio di crollo depressivo innescato dalla minaccia (immaginaria) del Terrificante Interno: la psiche rischia di collassare sotto il peso della fantasia angosciosa di aver distrutto l’oggetto d’amore con i propri attacchi sadici, per cui sceglie di spostare la responsabilità della perdita dal nemico interno (la propria aggressività sadica) a un nemico esterno (in carne e ossa), vissuto paranoicamente come altrettanto terrificante.
È qui il punto fondamentale, della tesi di Fornari, che opera uno spostamento dalla dimensione individuale a quella collettiva, mantenendo valido l’assunto fondamentale che vede nella violenza umana la proiezione esterna di un’angoscia depressiva e persecutoria. Lo scandaglio delle componenti inconsce dell’agire umano permette di cogliere la dimensione sommersa della guerra, che sarebbe, secondo Fornari, un’organizzazione di sicurezza per difenderci dal Terrificante Interno. E tuttavia,
la guerra è un’organizzazione di sicurezza non già perché permette di difenderci da nemici reali, ma perché riesce a trovare e al limite inventare dei nemici reali da uccidere, in caso contrario la società rischierebbe di lasciare gli uomini […] senza difesa di fronte all’emergenza del terrificante come puro nemico interno (ivi, p. 28).
Il passo ci sembra decisivo: i pericoli fantasmatici sono più intollerabili dei pericoli esterni, perché sui secondi è possibile esercitare una qualche forma di controllo. Sarebbe questa la ragione profonda per cui l’istinto di morte viene deflesso all’esterno: allontanare la minaccia di una presenza cattiva originaria.
In questo modo, infatti, l’incubo trova, orrorificamente, la propria “terapia” in un’istituzione sociale come la guerra, che si presenta come la messa in scena su larga scala, e, purtroppo, in carne e ossa, del teatro oscuro dell’incubo inconscio. È l’operazione inversa rispetto a quella per cui una paura esterna viene interiorizzata e “risolta” attraverso una messinscena immaginaria: si pensi alle parole di Klein sul materiale psicologico presente nel libretto della “fantasia lirica” L’enfant e les sortilèges di Ravel – un bambino che mette a soqquadro la propria stanza e scatena un pandemonio fantasticato, “animando” gli oggetti della cameretta, come forma di risoluzione interiore di un litigio con la mamma –, o, in ambito letterario, alla trasposizione fantasy di Tolkien della drammatica situazione dell’Europa sotto il nazismo nelle vicende della Terra di Mezzo. In realtà, sia l’introflessione sia l’estroflessione dell’angoscia sono tentativi di “addomesticare” sentimenti dolorosi e intollerabili.
Tornando all’argomentazione di Fornari, va aggiunto che all’elaborazione paranoica del lutto si affianca spesso quella maniacale, come sottolineato dal riferimento alla identificazione di un bambino con l’oggetto della sua paura: nell’esempio citato, il terrificante costituito da un ceppo d’albero che il bimbo vede illusoriamente come un leone innesca una paura superata grazie all’identificazione con il leone-padre. Nell’elaborazione maniacale, diversamente dall’elaborazione paranoica, non viene più proiettata all’esterno la potenza spaventosa, ma, come detto, ci si identifica con essa. In merito a questo aspetto, anch’esso pienamente kleiniano, Fornari riprende invero il contributo alla psicoanalisi della guerra di Money-Kyrle, autore che permette all’argomentazione di compiere un ulteriore passo avanti, non pienamente inteso dalla letteratura kleiniana: considerare che la guerra sia sentita dagli uomini come un dovere verso il proprio oggetto d’amore, un sacrificio perché il proprio oggetto d’amore viva.
«Colui che va in guerra, infatti, si sente spinto non da una necessità d’odio, ma da una necessità d’amore» (ivi, p. 191), ovviamente un amore malamente inteso. Sarebbe qui all’opera qualcosa in grado di mettere in scacco l’istinto di conservazione: il dono sacrificale di sé per la salvezza di un oggetto d’amore collettivo. Viene in mente l’ansia di arruolarsi del giovanissimo Petja Rostov in Guerra e pace. Cerchiamo di riprendere le fila del discorso di Fornari: la guerra costituirebbe un’istituzione collettiva il cui fine ultimo è fronteggiare le angosce psicotiche depressive e persecutorie derivanti dalla morte (fantasmatica o reale) dell’oggetto d’amore. Essa sarebbe infatti il frutto di elaborazioni paranoiche (il “cattivo” è esterno) o maniacali (la potenza del “cattivo” è mia) delle angosce provocate dalle fantasie aggressive verso l’oggetto d’amore (frustrante, separato, assente), e, a conti fatti, di un’espressione ambigua dell’istanza di amore. L’amore, in guerra, si traduce infatti in proiezione sull’altro delle parti cattive di sé (creazione del nemico) e in aggressione diretta all’altro inteso come distruttore del proprio oggetto d’amore.
Questa dinamica viene analizzata da Fornari non solo in chiave antropologica, secondo una tradizione freudiana risalente a Totem e tabù, ma anche rileggendo, ad esempio, tra le pieghe della propaganda nazista, ove è rinvenibile, sottotraccia, la fantasmatizzazione della madre-Germania perduta dopo il Trattato di Versailles (lutto collettivo), la proiezione su ebrei e socialdemocratici della responsabilità per le miserie economiche dei tedeschi (elaborazione paranoica), l’esaltazione per la grandezza dell’esercito tedesco pronto a prendersi la rivincita (elaborazione maniacale), e infine la chiamata al sacrificio per la Germania (amore psicoticamente inteso come distruzione dell’altro in difesa del proprio oggetto d’amore).
È qui chiaramente all’opera, non solo una torsione perversa dell’ambivalenza di fondo dei sentimenti verso l’oggetto d’amore collettivo, ma anche un esempio delle dinamiche regressive presenti nei gruppi. Fornari evidenzia lucidamente come i gruppi, non essendo dotati di un corpo concreto, siano privi degli strumenti per amarsi, ma abbiano tutti gli strumenti per distruggersi. «Mentre, come abbiamo visto, nei rapporti interindividuali l’esperienza d’amore è meno illusoria che l’esperienza distruttiva, nei rapporti fra i gruppi l’esperienza distruttiva è meno illusoria dell’esperienza d’amore» (ivi, p. 202).
Nella contingenza storica creatasi con la creazione delle armi atomiche, tuttavia, questa tendenza distruttiva ancestrale dei gruppi si è dovuta confrontare con un cortocircuito: «non è più possibile uccidere l’oggetto nemico senza simultaneamente coinvolgere nella distruzione anche l’oggetto d’amore» (ivi, p. 198). Il Terrificante Esterno coincide paradossalmente con il Terrificante Interno. Proiettare la distruzione all’esterno non esclude, anzi, implica contemporaneamente l’autodistruzione. La guerra, dunque, cessa di essere una strategia di fronteggiamento delle angosce psicotiche depressive e persecutorie, ma le realizza piuttosto in maniera “pantoclastica”.
Paradossalmente, però, questa situazione apre, per Fornari, delle opportunità inedite per la pace. Il sostrato profondo di questa possibile “conversione” va ritrovato ancora una volta nella psicoanalisi kleiniana. Con il passaggio dal rapporto con l’oggetto parziale a quello con l’oggetto totale, il bambino supera la posizione schizo-paranoide a vantaggio di quella depressiva, comprendendo che gli attacchi all’oggetto fantasmatico cattivo (madre assente/frustrante) sono al contempo attacchi all’oggetto fantasmatico buono (madre presente/benevola). È nella fase depressiva, attraverso la valorizzazione del senso di colpa come capacità di prendersi cura dell’oggetto d’amore e di “ripararlo”, che si attua il passaggio dalla distruttività sadica dissociata all’integrazione dei sentimenti ambivalenti verso l’oggetto d’amore.
Si completa così il passaggio da Thanatos ad Eros: dalla pulsione di morte a quella d’amore attraversando i propri sentimenti di colpa, ovvero l’assunzione di responsabilità rispetto al male fatto o alla possibilità di compierlo e alla messa in atto di azioni riparative. Non si tratta, qui, di una introflessione autodistruttiva della pulsione di morte speculare alla deflessione paranoide – dunque di sostituire il mors tua vita mea con il mors mea vita tua –, ma di rendere conto dell’ambivalenza costitutiva dell’Io nella sua identificazione all’oggetto d’amore, per cui il rimedio alle tendenze distruttive passa attraverso l’assunzione riparatrice della colpa-responsabilità: vita tua vita mea (ivi, p. 209).
Poiché, per Fornari, i gruppi non sono dotati degli strumenti necessari per fronteggiare la malattia della guerra, che essi stessi “sintomatizzano” attraverso proiezioni paranoidi collettive, si tratta di responsabilizzare ogni uomo di fronte ai conflitti, perché, elaborando depressivamente l’attuale situazione creata dalla minaccia nucleare, ognuno possa far prevalere le istanze della pulsione di vita. Il punto è, dunque, restituire la responsabilità alla persona e desovranizzare lo Stato, messo in crisi dalla stessa crisi della guerra nell’era del potenziale conflitto nucleare (tema affrontato da Fornari anche nel precedente Psicanalisi della guerra atomica, riedito nel 1970, come rielaborazione sulla base dell’edizione francese, sotto il titolo di Psicanalisi della situazione atomica).
Quella che sembra una piega individualista, quasi anarchica, del discorso politico così configurato, è in realtà una fase propedeutica, per Fornari, alla creazione di «nuove istituzioni sociali, che possano concretamente permettere all’individuo di esprimere la propria responsabilità sul piano politico-sociale» (ivi, p. 235). È su questa premessa che vengono avanzate nelle ultime pagine delle proposte “di pace perpetua” o di “governo mondiale”: un’olocrazia che desovranizzi gli Stati, privandoli del monopolio della forza, un’Istituzione Omega che aiuti il singolo ad elaborare il lutto per la propria finitudine e le proprie angosce depressive, a divenire responsabile verso l’altro e capace di compiere atti di “riparazione”, e ad essere in ultima istanza un operatore di pace. Fornari è quanto mai da rileggere, come antidoto al fanatismo, al bellicismo, alla pericolosa china pantoclastica che sembra attraversare questo secolo di nuovi nazionalismi.
Riferimenti bibliografici
F. Fornari, Psicanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano 1970.
S. Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in Opere. Vol. VIII. 1915-1917, Bollati Boringhieri, Torino 1989.
Id., Al di là del principio di piacere, in Opere. Vol. IX. 1917-1923, Bollati Boringhieri, Torino 1977.
M. Klein, Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo, in Scritti 1921-1958, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
Franco Fornari, Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 2023.