Lo scorso giovedì si è tenuta presso la Casa del Cinema di Roma la cerimonia di premiazione del Premio Zavattini, giunto alla sua seconda edizione. Il Premio è promosso dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD), una realtà importante nel panorama delle cineteche italiane. L’AAMOD conserva un patrimonio audiovisivo importante, che si intreccia anche con la storia della sinistra politica e intellettuale, italiana ed europea. L’intitolazione del Premio a uno dei più importanti autori e teorici del Neorealismo italiano non è solo ideale: Cesare Zavattini è stato tra i fondatori nel 1979 dell’Archivio, di cui è stato il primo presidente fino alla sua morte, avvenuta dieci anni dopo. Come ha giustamente sottolineato il presidente Vincenzo Vita nel suo discorso, urge un intervento più incisivo delle istituzioni, anche locali, per valorizzare la presenza di una tale eredità nella Regione Lazio sull’esempio di altre cineteche italiane.
Tra le ultime iniziative dell’AAMOD c’è la manifestazione Il progetto e le forme del cinema politico: a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. La manifestazione, che si è tenuta nel mese di novembre scorso per celebrare il centenario dell’Ottobre ’17, comprendeva due retrospettive, due giornate di studi e alcuni eventi speciali, tenutisi tra la GNAM, l’Università Roma Tre, la Sala Trevi, l’AAMOD e la Casa del Cinema. L’evento è stato così apprezzato da richiedere un supplemento di proiezioni, che hanno avuto luogo alla Casa del Cinema all’inizio di gennaio. L’iniziativa è stata resa possibile dall’impegno e dalla volontà di Paola Scarnati, uno dei pilastri dell’Archivio, e dal contributo, scientifico e concreto, di alcuni importanti studiosi, da Pietro Montani e Giovanni Spagnoletti, da Marco Maria Gazzano a Ermanno Taviani, oltre che con il sostegno dell’Istituto Gramsci.
Veniamo al Premio Zavattini. Esso ha due finalità. Da una parte sollecita giovani autori a misurarsi con la regia: il bando si rivolge a chi ha meno di trentacinque anni. Dall’altra parte si prefigge di stimolare l’esercizio di quella pratica che un tempo si sarebbe chiamata “film di montaggio”. L’obiettivo è quello di sostenere la ricerca delle possibilità narrative e creative insite nell’uso dei materiali d’archivio. La giuria, presieduta quest’anno dalla regista Costanza Quatriglio, ha selezionato sei tra i progetti presentati al Premio: questi sei progetti hanno avuto accesso alla fase di sviluppo, nel corso della quale i partecipanti sono stati affiancati da “tutor”. Dei sei progetti, tre hanno vinto un contributo finalizzato alla realizzazione di un cortometraggio di quindici minuti che faccia ricorso a materiali d’archivio.
I tre premiati di quest’anno, i cui lavori sono stati presentati nel corso della premiazione, non hanno deluso le aspettative. In Mirabilia Milo Adami racconta la figura di Antonio Cederna, il giornalista che con la sua militanza ha denunciato lo scempio delle città e del paesaggio italiani da decenni di speculazioni edilizie, scrivendo sempre lo “stesso articolo”, come ricorda Giuseppe Cederna, attore e figlio di Antonio, intervistato da Adami. Usando i materiali originali di Cederna (filmati, fotografie), svelando l’intreccio tra la figura dell’intellettuale pubblico e la sfera intima della famiglia, Adami ci fa riflettere sulla situazione attuale, dove gli interessi privati riprendono piede e mettono di nuovo in discussione il primato del bene comune. Confrontando le immagini di ieri e quelle girate oggi, Milo Adami ci mostra come purtroppo la Roma di oggi non sia troppo lontana da quella di ieri.
Con In Her Shoes Maria Iovine si diverte a stravolgere anni di lotte sulla parità di genere. Montando abilmente immagini che vanno grosso modo dagli anni cinquanta agli anni settanta e rovesciandone il significato, la regista immagina che nel passato fossero gli uomini a ricoprire un ruolo minore, relegato ai lavori domestici e alla cura della famiglia, mentre le donne erano chiamate a intraprendere carriere, a portare i soldi in casa. La voce narrante di un padre spiega alla figlia perché dopo anni di questa vita, inizialmente con gioia ma poi, dopo essersi avvicinato a movimenti di emancipazione, scoprendone il carattere oppressivo, abbia preso la decisione di abbandonare lei e la moglie. Con grande maestria di regia e montaggio Iovine fa in modo che il racconto, le cui figure sullo schermo cambiano a seconda dei materiali disponibili, non perda mai di credibilità. Il tono delicatamente ironico e surreale della narrazione non alleggerisce, anzi aumenta il carico di responsabilità che sentiamo verso la storia recente.
Then & Now di Giulia Tata e Antonino Torrisi porta a un livello ancora più alto l’indice di creatività divergente dal piano della cronaca dei fatti. Con un elevato grado di spregiudicatezza, che richiede però un allentamento del rigore nel riuso dei materiali, Tata e Torrisi sovrappongono una storia di loro invenzione a un abile montaggio delle immagini di diversi movimenti di liberazione anti-coloniale o anti-imperialista del secondo dopoguerra. L’ipotesi è che un esercito di alieni sia giunto sulla Terra. Presentatisi inizialmente come liberatori, marziani hanno poi però imposto il loro dominio sugli umani, provocando rivolte. I marziani raccontati da Tata e Torrisi potrebbero essere tanto gli americani quanto i sovietici, o altri soggetti ancora. Then&Now va visto come un testo audiovisivo “aperto”, nel senso in cui Umberto Eco parla di testi “chiusi” e “aperti” in Lector in fabula (2001), affermando che ci sono testi (in quel caso letterari) costruiti per non fornire al lettore gli strumenti necessari per arrivare a una interpretazione univoca. È il caso di Finnegan’s Wake di Joyce, di cui, aggiungo, Ejzenštejn nella Teoria generale del montaggio (1985) scrive che proprio per questo motivo funzionerebbe meglio come film che come romanzo! Non importa sapere chi sono i marziani: conta invece ricaricare di un senso multiforme, eterogeneo, scivoloso, ma non per questo meno potente e aderente alla realtà, le immagini delle contestazioni del secondo Novecento.
Mirabilia, In Her Shoes e Then&Now sono tre oggetti diversi, in cui ricorrono alcuni elementi (l’incontro tra pubblico e privato, testimonianza e finzione). La costante riscontrabile in tutti i film è quella di non considerare il “film di montaggio” un genere minore, o peggio un sub-genere del documentario. Il riuso è una pratica specifica e altamente creativa delle immagini: è, come suggerisce Marco Bertozzi (2013), recycled cinema, un cinema che ricicla materiali, ma anche che riattiva il ciclo delle sue forme narrative. Lo sfondo è quello di un più generale ritorno al cinema del reale, al cinema come modalità di incontro ed elaborazione della realtà, secondo una prospettiva rilanciata con forza poco meno di dieci anni fa da Pietro Montani ne L’immaginazione intermediale (2010) e che in questi anni non ha smesso di allargarsi. Il riuso dei materiali d’archivio – non dimentichiamo che gli archivi, formali e informali, stanno aumentando a dismisura nell’epoca della rete – si candida a essere una delle strategie principali di questo ritorno del cinema al reale. I corti premiati dal Zavattini 2017 ce lo hanno ricordato.
https://www.facebook.com/PremioZavattini/videos/333926563701700/
Riferimenti bibliografici
M. Bertozzi, Recycled cinema. Immagini perdute, visioni ritrovate, Marsilio, Venezia 2001.
U. Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano 2001.
S.M. Ejzenštejn, Teoria generale del montaggio, a cura di P. Montani, Marsilio, Venezia 1985.
P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma-Bari 2010.