Pluto è un anime tratto dall’omonimo manga in otto capitoli di Naoki Urasawa uscito in Giappone tra il 9 settembre 2003 e il 5 aprile 2009, pubblicato per la prima volta sotto forma di serie animata nell’ottobre del 2023 da parte di Netflix. Il manga, a sua volta, era tratto dall’episodio intitolato Il più grande robot del mondo della serie Atom (in Occidente: Astro Boy) di Osamu Tezuka del 1964.
Si tratta di una serie che si costruisce intorno all’idea di una società futuristica in cui esseri umani e robot convivono sulla terra, e per la quale si fanno sempre più presenti conflitti tra chi cerca a tutti i costi di fermare il processo di integrazione delle intelligenze artificiali nella vita sociale e politica di un paese, e chi invece prova a catalizzarlo.
La trama segue il filo conduttore delle indagini condotte dall’ agente di polizia Gesicht, individuo dotato di intelligenza artificiale che, insieme ad altri sei robot, costituisce la parte di una élite di combattimento avanzata, costruita appositamente anni prima in occasione della necessità di intervenire, da parte di alcuni paesi, ad una guerra, la ««trentanovesima dell’Asia centrale»». Gesicht è impegnato nell’investigazione di una serie di omicidi che sta avvenendo per mano di un individuo misterioso ai danni dei membri della Bora, ossia la commissione politica internazionale che, anni prima, aveva deciso di intromettersi nelle attività politiche del “Regno di Persia” di “Dario XIV”, progettando la élite di combattimento di cui sopra e scatenando appunto una nuova guerra nell’Asia centrale. Il misterioso individuo, chiamato Pluto, rispetto a cui i protagonisti della serie sono dubbiosi se si tratti di un essere umano o artificiale, starebbe attentando, l’uno dopo l’altro, alla vita di questa élite, al fine di eseguire una vendetta da parte di chi ha sofferto la caduta del Regno di Persia.
Ci viene offerta, in questo contesto, una serie di elementi molto interessanti. In sostanza, ci troviamo nel contesto di un mondo in cui le intelligenze artificiali sono totalmente entrate a fare parte della sfera di vita degli esseri umani. Al pari di questi, infatti, i robot godono di diritti individuali e collettivi validi a livello internazionale, sono considerati liberi e nella condizione di potersi costruire una vita a tutti gli effetti, sposandosi e mettendo su famiglia attraverso un “programma di adozione dei robot”, lavorando e partecipando alle attività sociali del proprio paese. Le differenze tra essere umano ed essere artificiale sfumano sempre più, per lasciare il posto a quelli che sono semplicemente esseri che vivono in un mondo, e vi sono situati in modo affettivo. O, quantomeno, questa è la domanda su cui la presente recensione vorrebbe soffermarsi. E’ possibile che una macchina stia nel mondo in modo affettivo, attraverso delle emozioni? E’ possibile una macchina empatica?
Il filo rosso della trama, ciò che mette in moto gli eventi, è infatti il terrore, provato dalla società umana nella sua interezza, che, da una parte, un robot possa uccidere degli esseri umani, e dall’altra, che possa farlo guidato dall’odio e dal risentimento. In una società in cui intelligenza artificiale e umana sono sempre più indistinguibili, infatti, ciò che davvero determina la differenza tra un corpo vivo e una macchina è l’ emotività, ossia la possibilità di relazionarsi affettivamente al mondo, riconoscere in esso la bellezza e in sé il gusto per essa. Gli esseri artificiali più avanzati riescono perlopiù ad imitare il comportamento che un umano può esibire, ad esempio, nell’atto di mangiare il suo piatto preferito, amare una persona, o perdere un figlio, come mostrato nell’episodio 5. Ognuno di essi è stato costruito attraverso una serie di moduli protettivi che si presuppone ostacolino a prescindere la possibilità di uccidere un essere umano. Si tratta di una evenienza giudicata semplicemente infattibile, e che tuttavia si realizza, attraverso la nascita, in uno di questi robot, di sentimenti di odio e vendetta nei confronti degli esseri umani.
Potrebbe essere utile ricordare le riflessioni fatte da Hans Jonas ad una conferenza del 1953 dal titolo La cibernetica e lo scopo. La critica jonassiana faceva leva anzitutto su di una definizione della cibernetica come di quella teoria per la quale uomini e società umane sono considerati in termini di meccanismi a feed-back. L’approccio della cibernetica sarebbe, secondo Jonas, colpevole di misconoscere la principale differenza tra uomo e macchina. Mentre infatti lo scopo che muove l’azione umana è qualcosa che si origina nell’uomo stesso, la macchina riceve il suo obiettivo da un agente esterno. Il filosofo faceva l’esempio di un siluro: «Il siluro non è attratto dall’obiettivo, bensì è guidato verso di esso – in risposta, per essere precisi, ad un input che proviene dall’obiettivo stesso, ma che consiste in un “messaggio” e non direttamente nell’accelerazione»».
La domanda di fondo è: può un input costituire lo scopo? O si tratta, per questo ultimo, di un fatto anzitutto umano? Ciò che caratterizza la vita, infatti, è l’inesauribile libertà che essa esprime nel dare origine a sé stessa, affermandosi. L’organismo, a differenza della macchina, ha un interesse nell’affermazione di sé stesso e della propria vita. L’interesse, secondo l’autore, è proprio ciò che manca alla macchina. E ancora: mentre un automa può essere spento, cioè può smettere di eseguire la propria attività specifica senza con ciò morire, un organismo biologico deve costantemente rinnovare il proprio scopo intrinseco, ossia l’affermazione di sé, l’ istinto auto-conservativo.
L’ipotesi di Pluto, tuttavia, va nel verso opposto rispetto a Jonas. Mentre quest’ultimo si focalizzava ancora su macchinari prodotti allo scopo di eseguire azioni specializzate, la serie animata qui in analisi immagina la costruzione di automi orientata a riprodurre l’umano in senso completo. Qui allora, ci sia permesso, Netflix ci fa venir la pelle d’oca, in quanto suddetto scopo non ha senso e produce sentimenti di panico. Perché mai bisognerebbe riprodurre l’umano? A quale fine verrebbe portato avanti un tale progetto? Bisognerebbe infatti ricordare che l’umano non comporta soltanto l’arte, la filosofia, le scienze, ma anche le guerre, le armi, l’annichilimento.
Dal punto di vista della produzione di intelligenze artificiali, immaginare la creazione di macchine capaci di riprodurre il modo empatico-esistenziale di stare al mondo, la paura di morire e la gioia di vivere appare puramente inutile, giacché presuppone l’individuo umano stesso come condizione necessaria alla propria realizzazione. Si tratta di una riflessione, questa, di già hegeliana memoria: l’esistenza della macchina presuppone l’allontanamento del lavoro umano dalla natura, ma non la sua scomparsa. D’altra, parte, si potrebbe immaginare l’esistenza di macchinari che imitino la riproduzione, costruendosi da sole e senza necessitare dell’intervento umano, ma a che pro? La serie Pluto, come gran parte delle attuali produzioni promosse da Netflix, si pone a nostro giudizio come la manifestazione oggettiva di un delirio di onnipotenza da parte di una specie che ha già da tempo preso consapevolezza della inesistenza assoluta di qualunque ente creatore.
La prima uccisione ad opera di un robot equivale alla prima uccisione da parte di un essere umano, riproduce l’ira di Caino, rimette in questione problemi che fanno genealogicamente parte della natura umana, costringendo a riviverli sotto la forma di una rinnovata colpa, giacché siamo noi adesso i creatori di chi ha ucciso per la prima volta, e le macchine empatiche dovrebbero essere i nostri figli. Il generalizzato sentimento di panico ad opera della nascita e dello sviluppo delle intelligenze artificiali, nelle sue rappresentazioni mediatiche, tende a produrre conflitti ideologici di natura fideistica e religiosa, correndo – e, talvolta, realizzando – il rischio di allontanare in questo caso lo spettatore da un’osservazione dei rapporti reali del presente, proiettandolo in un qualche futuro disperso nel quale si sarebbe costretti ad accettare la necessità incontrovertibile di uno scenario ontologicamente assurdo, quasi perverso, feticistico, che proviene naturalmente dai ferventi dibattiti oggi in voga sui lati positivi o negativi dell’Intelligenza artificiale.
Una delle critiche che più di tutte vien mossa in questi mesi è se prodotti come ChatGPT sostituiranno l’umano. Ma con ciò si dimentica che si tratta sempre di prodotti, di merce destinata al consumo, e non certo dell’avvento di chissà quale specie biologica e intelligente – quasi un “alieno” dalle caratteristiche tuttavia familiari ; quale, dunque, il senso della reiterazione di un tale processo dalle fattezze quasi bibliche?
Pluto. Ideatori: Toshio Kawaguchi, Naoki Urasawa; interpreti: Shinshu Fuji, Yoko Hikasa, Minori Suzuki, Hiroki Yasumoto, Toshihiko Seki; produzione: Studio M2; distribuzione: Netflix; origine: Giappone; anno: 2023.