Pixar
Up (Docter, Peterson, 2009).

L’immaginario e la sua potenza. È forse qui, in questa espressione, che si concentra la forza, la capacità di cattura del cinema d’animazione. Lo sapeva Ejzenštejn, quando, parlando di Disney, paragonava la forma cangiante dei corpi animati al fascino del fuoco che incanta gli occhi. E ne era conscio Benjamin, quando, nella prima versione de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936, parlava di Mickey Mouse e della potenza dei cartoon Disney nel distruggere ogni idea di mimesi, ogni idea di umanità come valore supremo e modello ideale dei corpi.

Nella prima metà del Novecento Disney incarna, nelle riflessioni di molte delle menti più creative e visionarie dell’epoca, non solo la potenza mitopoietica del racconto ma anche la forza della forma senza limiti, senza freni. Il fascino del cartoon non sta nell’armonia, ma al contrario nel suo effetto perturbante, nel suo movimento all’indietro, verso l’arcaico sentire della pura forma e al tempo stesso proiettato in avanti, verso l’immaginazione di altri mondi e di altre realtà.

Disney è stato tutto questo e altro ancora: è stato anche l’artefice di un impero, di un modello industriale, di un monopolio dell’immaginario che continua (acquisizione dopo acquisizione) ad ingrandirsi. Ed è stato anche il punto di partenza di un altro grande studio, artefice anch’esso di una profonda lettura dell’immaginario contemporaneo e che è al centro di un testo particolare (Il sistema Pixar, di Christian Uva, Il Mulino, 2017), in cui la compagnia nata da una costola della Lucasfilm e divenuta nel 2006 proprietà della Walt Disney Company si pone non tanto come erede della Disney, ma come sintomo complesso di un sentire contemporaneo, in cui tecnologia e nostalgia del passato, recupero delle narrazioni mitiche e trasfigurazione delle stesse in forma nuova diventano le modalità con cui il brand Pixar rappresenta e dà corpo alle inquietudini, ai desideri e alle speranze dell’America contemporanea.

È proprio la complessità estetica, produttiva, tecnologica, culturale che caratterizza la Pixar a spingere Uva a comporre un discorso multiforme che si sviluppa all’interno del saggio come una stratificazione di linee, di fili intrecciati. La storia della Pixar, come emblema di un modello industriale nato dalla generazione ribelle e creativa degli anni Sessanta e Settanta, diventa una sorta di romanzo di formazione, in cui si incrociano le vicende di figure come quella di Steve Jobs, di John Lasseter o di Ed Catmull, della Sylicon Valley e del movimento hippy, del New American Dream e della cultura libertaria e californiana dei profeti della rete, così come quelle della storia delle immagini del terzo millennio.

Se il percorso della Pixar si intreccia infatti con lo sviluppo culturale e tecnologico degli Stati Uniti, le immagini che la casa di produzione ha creato nel corso degli anni, la sua personale mitologia, sono non un semplice riflesso del complesso insieme di influenze che hanno dato vita all’immaginario contemporaneo, ma si configurano come straordinarie creazioni di immagini.

Una seconda linea del testo di Uva è quindi tesa a rintracciare le caratteristiche che hanno fatto della Pixar una casa di produzione unica, che ha profondamente trasformato l’idea e la pratica dell’animazione, o meglio, del cinema tout court, riprendendone al tempo stesso la tradizione, le origini, quello stupore iniziale che accompagnava le prime proiezioni cinematografiche. Animazione come quintessenza del cinema e al tempo stesso come sua nuova potenzialità, grazie alla continua evoluzione tecnologica che film dopo film Lasseter e soci infondono nelle loro creazioni.

Nel percorso di Uva, la Pixar diventa l’emblema di una fusione perfetta tra industria e libertà dell’immaginazione, aspirazione alla libertà e interpretazione di un mondo sempre più complesso e caotico.

Come la Apple Corps, la multinazionale fondata dai Beatles negli anni settanta – si veda il film di Ben Lewis The Beatles, Hippies and Hells Angels (2017) per conoscere la storia di una company rivoluzionaria e contraddittoria come quella creata da Paul MacCartney e John Lennon nel 1967 –, o come la factory di Andy Warhol o ancora come la Apple Computers di Steve Jobs, la Pixar fonde attitudine imprenditoriale e sogno libertario, attenzione alla tecnologia e potenza immaginativa. Film come la saga di Toy Story, Up! Gli incredibili, Cars, Wall.E, se da una parte attingono a piene mani dalla tradizione narrativa del grande cinema americano, dal Western alla Science Fiction, dall’horror al fantasy, dall’altra ridisegnano i confini della narrazione trasformando i codici rappresentativi e valoriali più tradizionali. Gli oggetti si animano, prendono vita, costruiscono nuove collettività (la comunità dei giocattoli di Toy Story), scoprono le loro differenze e fanno della marginalità (Up!) o dell’handicap un punto di forza (Alla ricerca di Nemo e Alla ricerca di Dory), riprendono e stravolgono l’epica del viaggio, ridisegnano i confini della comunità e della famiglia. Costruiscono cioè un nuovo immaginario riprendendo e ribaltando a volte l’epica narrativa del grande cinema mainstream.

Questi fili intrecciati, tra analisi delle forme e dei corpi mutanti dell’animazione, tra cultura e controcultura americana, tra mitologia e culto ipertecnologico costituiscono la dinamica interna del libro di Christian Uva, che dunque persegue l’obiettivo di tracciare una mappa critica delle forme dell’immagine contemporanea, mostrandone al contempo la profonda dimensione cinematografica. Perché lungo tutto il testo scorre potente la consapevolezza che queste immagini, così immediate e complesse al tempo stesso, infantili ed adulte, sono e rimangono un territorio del cinema, al tempo stesso nuovo e ancorato al suo passato, come il fascino del fuoco e la sua potenza perturbante.

Riferimenti  bibliografici
W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 2000.
C. Uva, Il sistema Pixar, Il Mulino, Bologna 2017.

Tags     Christian Uva, disney, Pixar
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