“Enea è una storia di genere senza il genere”, secondo le parole dello stesso autore. Il secondo film di Pietro Castellitto è un eccentrico esempio di cinema che elude ogni genere. Schiva continuamente, con deviazioni imprevedibili, cliché e registri di genere, pur contenendone apparentemente gli elementi: gangster movie, crime story, dramma familiare, commedia sociale, “realismo fantastico”.

Il film è disseminato di scarti improvvisi, elementi incongrui e imprevedibili, nei registri narrativi, ma anche nelle azioni, nelle situazioni e nei dialoghi. Una volpe, intravista in lontananza, sospende una conversazione, a tavola, sul tema della depressione dilagante (con lo spettatore posto nel punto di vista della volpe). Un gabbiano in volo fa cadere i suoi escrementi sulla faccia di un ragazzo che gioca a tennis, con la soggettiva dal cielo.  Una palma cade sulla vetrata di una villa, senza suscitare alcuna reazione nelle persone presenti. Una zanzara interrompe una cena di famiglia. Uno chef di sushi svolge stravaganti pratiche sessuali con un salmone. La voce registrata di una meditazione guidata ripete “rilassati fino a diventare un lenzuolo”. Uno psicologo si reca regolarmente in lussuose camere d’albergo, sotto il nome in codice di Dragone 18, per concedersi un’esperienza molto diversa da quanto si possa immaginare.

Enea è un ragazzo di circa trent’anni, che porta nel nome l’eco perduta dell’eroe mitologico e, con gli Airpods sempre alle orecchie, naviga col suo malinconico amico aviatore Valentino in una giovinezza fatta di amicizia fraterna, ristoranti di sushi, esclusivi circoli sportivi, serate con feste sovraccariche e lunghe file di persone fuori in attesa, spaccio di droga, contatti con la malavita. Il narcotraffico non è una strada scelta per denaro, per vizio o per necessità. C’è qualcosa di lieve e fortuito in tutto ciò che accade. Enea e Valentino non sono veri criminali, sono dei ragazzi che attraversano la giovinezza con la stessa leggerezza del piccolo aeroplano con cui sorvolano Roma, cercano la sensazione di essere vivi, l’esperienza delle emozioni, forse l’amore, che Enea trova nell’incontro con Eva.

Roma è un elemento essenziale nel film. Gesti, personaggi, dialoghi, sono immersi in una romanità insolita, che si sottrae all’immaginario cinematograficamente cristallizzato di una città annoiata e decadente, eternamente sospesa tra indolenza e vitalismo, come è stata rappresentata da Fellini e da Sorrentino. Una romanità diversa anche dai racconti criminali di Sollima, da Romanzo criminale a Suburra, e che contiene semmai tratti stranianti e fantastici di altri registi romani come Mainetti  e i fratelli D’Innocenzo . “Io sento che ce sta come una bocca sopra questa città, una bocca che è pronta a magnacce tutti”, dice l’amico criminale. Una Roma di cui si intravedono le luci in una malinconica immagine della terra vista dalla luna. La città come ambiente variegato e multiforme, osservato anche in una sorta di dimensione antropologica e sociale, in cui le relazioni, la famiglia e i gruppi di appartenenza sono guardati e raccontati con un senso dell’umorismo surreale e trasversale, senza indulgenza o giudizio morale, e in fondo con affetto e con un certo romanticismo.

La famiglia di Enea è composta dal padre, psicologo che aiuta i bambini nella gestione della rabbia, la madre, giornalista e il fratello piccolo che va a una scuola americana “per scimpanzè”, e col quale ingaggia spesso infantili bisticci che culminano in scene farsesche e surreali. Il divario generazionale è uno spazio di convivenza non conflittuale, basato sulla constatazione della distanza e su una certa malinconica fascinazione della differenza. “La differenza tra di noi è che io sono nato da una famiglia povera, mentre tu sei nato da una famiglia ricca“ dice, senza polemica, il padre a Enea. Uno zio, di origine napoletana, racconta un aneddoto familiare sulla tradizione del capitone natalizio, come simbolo del male da sconfiggere, facendo  intravedere forse ad Enea una possibilità di redenzione.

La famiglia come clan in alternativa al percorso in solitudine, il gruppo di eterogenei amici come comunità di riferimento, il trafficante di cocaina come mentore e ispiratore di saggezza. I dialoghi e le massime dei personaggi oscillano in modo spesso indistinguibile tra sottili riflessioni sulla condizione umana, esorbitanti banalità e struggenti momenti di verità. Un bambino in terapia, per le crisi di rabbia, spiega allo psicologo che “i voti buoni sono la droga che ci danno per non farci avere un’opinione”. La madre di Enea, in una conversazione a tavola, sentenzia che “la vita è una soltanto” e che “l’essere umano ha possibilità infinite”. Un bambino ringrazia in una mail lo psicologo che gli ha insegnato a resistere, facendogli scoprire la resistenza come possibile felicità. Il narcotrafficante Giordano, in un appassionato monologo, esprime il desiderio di poter baciare e abbracciare un’ultima volta sua madre che non c’è più. Enea spiega a un giornalista, che conosce i suoi traffici illegali, la differenza tra potere e potenza.

Enea è insomma una scombinata storia di rabbia, amore, noia, amicizia, vetri inesorabilmente infranti da grottesche casualità o volontariamente devastati con una mazza in lussuose suite d’albergo, oppure distrutti con un aeroplano all’ultimo piano di un grattacielo, in esplosivi e inaspettati deragliamenti. Una storia in cui si muore sullo sfondo all’improvviso, in cui tutti i baci vengono oscurati, tranne quello tra mamma e papà, capaci di ascendere al cielo, in uno spiazzante finale fantastico, tra Maledetta primavera e una malinconica canzone di Renato Zero.

Enea. Regia: Pietro Castellitto; sceneggiatura: Pietro Castellitto; fotografia: Radek Ładczuk; montaggio: Gianluca Scarpa; interpreti: Pietro Castellitto, Giorgio Quarzo Guarascio, Benedetta Porcaroli, Chiara Noschese, Giorgio Montanini, Adamo Dionisi, Matteo Branciamore, Cesare Castellitto, Clara Galante, Paolo Giovannucci, Sergio Castellitto, Ginevra Colonna; produzione: The Apartment, Vision Distribution, Frenesy; distribuzione: Vision Distribution; origine: Italia; durata: 115′; anno: 2023.

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