Nel 1853, su commissione di un diplomatico ottomano, Courbet realizza L’origine du monde: l’opera, come noto, rappresenta l’organo sessuale femminile e fu considerata un manifesto di audace realismo. Prima di essere esposta al Museo d’Orsay, finì nella collezione privata di Jacques Lacan, dove la vide Pablo Picasso: leggenda vuole che il pittore, osservando il dipinto di Courbet, abbia commentato: “la realtà, è l’impossibile”. Da questo aneddoto muoveva Walter Siti dieci anni fa, proponendo un appassionato e appassionante percorso attraverso la letteratura, inseguendo l’impossibile compito di spiegare che cosa è il realismo e qual è il rapporto che la realtà intrattiene con le forme della rappresentazione, in particolar modo quelle narrative. Siti oggi ripropone il testo con una palinodia dedicata alle serie tv.

Questa scelta sembra essere innanzitutto il riconoscimento di una decisiva trasformazione culturale: nei dieci anni trascorsi dalla prima edizione del testo le serie tv si sono imposte come oggetti audiovisivi capaci di raccogliere e rilanciare l’eredità (narrativa) del cinema classico, inserendosi, dunque, in una più lunga tradizione (che si potrebbe far risalire all’epica greca) di forme narrative seriali. C’è, tuttavia, un ulteriore elemento che sembra motivare ancor di più tale scelta e che Siti tocca nelle primissime pagine della sua palinodia, ovvero quello che potremmo definire il paradosso della post-medialità: 

Adesso la realtà sembra essere confluita quasi interamente in quel che si chiama “comunicazione”; basta viaggiare in metro o in treno per rendersene conto. Tutti con le teste chine sugli smartphone digitando febbrilmente, tutti con le cuffie che isolano dai rumori circostanti, che poi sarebbero gli altri in carne e ossa. In treno scorrono paesaggi interessanti ma nemmeneo un’occhiata al finestrino (…) Bolle di realtà che non si toccano tra loro, realtà aumentata, realtà virtuale: la realtà senza aggettivi sembra essere evaporata da un po’ (p. 65-66).

A fronte di tecnologie sempre più presenti, come quelle dell’intelligenza artificiale, che ci permettono di riprodurre nei minimi dettagli ciò che non esiste spacciandolo per vero – cioè nel momento in cui tutto è diventato realismo, come nel caso famosissimo delle immagini del funerale di Berlusconi, prima che ciò realmente avesse luogo – risulta sempre più difficile afferrare la realtà, seppur nella forma fugace di una rappresentazione. Detta in altri termini il realismo sembra essersi sostituito alla realtà. A ben vedere quello che stiamo vivendo sembra essere l’ultimo stadio, per il momento, di un movimento di de-realizzazione che ha nel cinema, o in un certo cinema, uno dei suoi motori. È Siti stesso, nel testo del 2013 a sottolineare questo aspetto quando, parlando del proliferare dei racconti sulla criminalità organizzata e di quello che va sotto il nome di New Italian Realism, nota che spesso si tratta di racconti già predisposti per una versione cinematografica, a conferma del fatto che «l’immagine mediatica e spettacolare ha ormai talmente preso possesso del nostro cervello che chi vuole apparire credibile deve imitare quella e non la realtà sottostante» (p. 56). Questi racconti, che rimediano la realtà attraverso l’immaginario cinematografico – e da cui, è bene ricordarlo, si è originata la stagione della serialità italiana – sono l’esatto opposto rispetto a ciò che Siti considera quello che potremmo definire il lavoro del realismo, ovvero qualcosa che scarta dall’abitudine, da ciò che è prevedibile, che spiazza il lettore/spettatore, e rispetto a cui «la nostra enciclopedia percettiva non fa in tempo ad occorrere per normalizzare» (p. 12).

Che ruolo hanno le serie tv in questo contesto tecnologico e mediale che si configura sul labile confine tra iperrealismo e de-realizzazione? Sempre seguendo quanto Siti scriveva dieci anni prima possiamo sostenere che, per certi aspetti, le serie tv sono il trionfo dell’anti-realismo, in quanto rimediano il principio classico della verosimiglianza, attraverso storie esemplari che costruiscono universi pronti per l’appagante fruizione dello spettatore. Utilizzando il paradigma proposto da Bandirali e Terrone, possiamo dire che le serie tv narrativizzano concetti, ovvero erigono strutture astratte, utilizzando un tema che viene declinato nella forma di un mondo, per dispiegarsi poi in stagioni ed episodi. Le serie tv, dunque, partecipano al paradossale movimento di de-realizzazione del nostro tempo e Siti, analogamente a come aveva fatto dieci anni prima per la letteratura, passa in rassegna alcuni titoli, per mostrarci il funzionamento del dispositivo narrativo seriale rispetto al problema del reale. Da Breaking Bad a Emily in Paris, da Black Mirror a Unorthodox (per citare solo alcuni dei titoli analizzati), Siti sottolinea come tali narrazioni non offrano nulla di vagamente sovrapponibile a ciò che comunemente potremmo considerare reale e che vanno ben oltre anche il grado di realtà (o irrealtà) a cui i romanzi ci hanno abituati. Scrive:

Come il corso normale (reale) del tempo viene alterato, così la casualità viene spinta all’inverosimile. Tornando a Breaking Bad (…) il protagonista Walter White lascia morire di overdose la fidanzata del proprio complice Jesse perché teme che lei possa intralciarli nel lavoro; la ragazza era figlia di un controllore di volo che la amava moltissimo e che nell’episodio successivo, ancora sconvolto, commette un imperdonabile errore dalla torre di controllo causando lo scontro in volo di due aerei passeggeri. Che White e il padre della ragazza si incontrino casualmente al bar prima della tragedia appartiene a quella che siamo abituati ad accettare come realtà romanzesca; ma quante probabilità ci sono che un orsetto di peluche appartenente a una bambina vittima dell’incidente aereo cadendo vada a finire proprio dentro la piscina di White? Non siamo più nel regno del plausibile, siamo nel regno astratto del senso di colpa (p. 73-74). 

Dobbiamo dunque concludere, come anche alcuni critici ritengono, che le serie tv non siano altro che un dispositivo di evasione dalla realtà, espressione di un “post-realismo”, come ha sostenuto ad esempio Emiliano Morreale su il Venerdì, di cui sarebbero tutti (coloro che sono appassionati di serie tv) vittime più o meno consapevoli? Per Siti l’attaccamento alla realtà della serialità è da rintracciare in quella che potremmo definire la sua dimensione meta-realistica: «È proprio fuggendo dalla realtà che le serie televisive (forse in modo non del tutto consapevole) tentano di rappresentare una realtà di secondo livello, quella della de-realizzazione contemporanea» (p. 76). Per un’efficace critica della serialità bisogna andare oltre il pur innegabile appagamento evasivo della fruizione seriale (ma del resto immaginiamo se fosse stata mossa questa critica al cinema classico), provando sempre a indagare il nesso tra questa rinnovata forma narrativa e l’ambiente mediale contemporaneo, che non vuol dire altro che il modo in cui noi facciamo esperienza del mondo, ovvero del cosiddetto “reale”. 

Scrive Siti: «I finali sono un momento critico per le scritture realistiche, perché la realtà-realtà non finisce». Come ho sostenuto anche altrove (2020), quella del finale sempre da venire è un elemento chiave per capire il funzionamento del dispositivo seriale e in cui risiede il suo effetto di immediatezza, inteso proprio come prossimità alla vita vera. Di fronte alla frammentazione delle nostre viste raccontate attraverso i media, le serie offrono l’unitarietà di un racconto, il cui senso, mai definitivo, ma sempre in fieri, proprio come le nostre vite, è lo spettatore che deve ricostruirlo, episodio dopo episodio, stagione dopo stagione. Le serie, in altre parole, rispondono a quella domanda di concordanza, ovvero la necessità di trovare un senso alle cose, che, come sosteneva Ricoeur, «struttura ancor oggi l’attesa dei lettori e [bisogna] credere che nuove forme narrative, che non sappiamo ancora nominare, sono già sul punto di nascere e che attesteranno come la funzione narrativa possa subire una metamorfosi ma non morire» (1999, p. 54).

Riferimenti bibliografici
AA.VV, “The Philosophy of Television Series”, Rivista di Estetica, n. 83, a cura di M. Slugan, E. Terrone, 2023.
L. Bandirali, E. Terrone, Concept TV: An Aesthetics of Television Series, Lexington Books, Lanham 2021.
A. Maiello, Mondi in serie. L’epoca postmediale delle serie tv, Pellegrini, Cosenza 2020.
P. Ricoeur, Tempo e racconto, vol. 2, Jaca Book, Milano 1999.

Walter Siti, Il realismo è l’impossibile. Con una palinodia 2023, Nottetempo, Milano 2023.

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