L’intreccio tra crimine organizzato e colletti bianchi corrotti è al centro della serie Netflix Ozark, giunta alla terza stagione. Un tema molto attuale in Italia e in Europa, se si pensa all’espansione della ndrangheta fino in Germania (strage di Duisburg del 2007) o agli arresti recenti di consiglieri comunali e regionali del Nord accusati di essere in affari con le cosche del Sud. La stessa cosa accade in USA, sul Lago di Ozark in Missouri, dunque in un altro continente, oltre oceano, eppure con dinamiche analoghe alle nostre a dimostrazione dell’universalità del mondo globalizzato.

La prima puntata si apre con un corpo che precipita dal trentesimo piano di un grattacielo di Chicago e si schianta al suolo a qualche metro di distanza dal protagonista (Marty). Poi si dipana tra sparatorie terrorizzanti e scene di sesso esplicite, tanto per catturare l’attenzione dello spettatore. Ma una volta agganciato, questi viene trasportato tra le verdi foreste di Ozark, dove il ritmo del racconto finalmente rallenta, in accordo con la ruralità dell’ambiente circostante. È qui che Marty, un intermediario finanziario apparentemente irreprensibile, si trasferisce con tutta la sua famiglia da Chicago allo scopo di riciclare denaro sporco affidatogli da un cartello messicano nello sviluppo turistico del Lago. È come se una famiglia di Milano si trasferisse nella Locride, e dovesse riadattare i propri codici di comportamento alla semantica locale: i due figli adolescenti fanno amicizia con i loro coetanei, delinquenti di bassa tacca, mentre i genitori nascondono loro le trame che intessono con i terrificanti narcotrafficanti messicani.

La situazione è estrema ma non improbabile ai tempi della mobilità territoriale diffusa, e acquista i toni dell’analisi sociologica nel descrivere i rapporti tra le due mentalità venute a contatto, quella rurale e quella urbana, così diverse tra loro ma così vicine adesso, accomunate dall’uso dell’illegalità per arricchirsi: i paesani, per uscire dalla condizione di povertà; i forestieri, per mantenere gli alti standard di vita metropolitani e permettere ai propri figli di frequentare un giorno scuole costosissime. Il fascino della narrazione sta proprio nei dettagli di questa discesa agli inferi di una famiglia perbenista e piccolo borghese e nella riflessione che ci spinge a fare sulla facilità con cui si possono tradire i princìpi con i quali siamo stati educati, pur di soddisfare i totem del consumismo.

Più di ogni altra cosa, Ozark è una serie sull’America rurale marginale, quella delle montagne del Sud degli Stati Uniti. Quando ci interroghiamo sull’America di Trump non possiamo fare a meno di comprendere l’origine di questa America profonda, che l’ha votato una volta e ha continuato a votarlo in massa anche dopo quattro anni di amministrazione folle e incapace. A questo fine torna utile l’analisi dello storico D.H. Fischer nel suo monumentale volume Albion’s Seeds. Four British folkways in America (1989) in cui viene ben spiegato come e perché – lungi dall’essere l’incarnazione della modernità con cui noi Europei ce li immaginiamo – gli statunitensi sono il precipitato di quattro gruppi distinti di coloni inglesi che approdarono sulle coste del Nord America in quattro differenti ondate migratorie dal 1629 al 1775. Mentre la prima e la terza erano composte da padri pellegrini intenti a fondare La città di Dio, la seconda era costituita dai nobili proprietari terrieri in fuga dalla Gloriosa Rivoluzione di Oliver Cromwell, e la quarta da boscaioli provenienti dalle aree interne, alla frontiera tra Inghilterra e Scozia, adusi alla guerriglia permanente in una zona di confine.

Lo schiavismo del Sud degli Stati Uniti non può essere compreso a prescindere dalla necessità di quei feudatari in fuga di ricostituire il sistema latifondistico: un ceto sociale ben diverso da quello dei padri pellegrini, che erano artigiani, contadini e piccolo borghesi intenti a trasportare nel Nord America l’etica del lavoro e della rivoluzione industriale. Ciò che i latifondisti erano abituati a fare era campare di rendita, e dal momento che i territori vergini (Virginia) erano praticamente disabitati, li popolarono con i servitori al loro seguito e con gli schiavi importati dall’Africa o dai Caraibi.

Gli attuali abitanti del Lago di Ozark sono gli eredi della quarta ondata migratoria descritta da Fisher, quella dei boscaioli-guerriglieri, amanti della libertà naturale che deriva dal vivere nei boschi, e che fa uso sostanzialmente se non unicamente della violenza per la risoluzione delle controversie. La terza guerra d’indipendenza contro la madrepatria, ad esempio, fu combattuta e vinta proprio dai boscaioli insediatisi tra le montagne degli Appalachi, attraverso una guerriglia lunga e sanguinosa tra il 1779 e il 1781 che proprio in quei luoghi sfiancò l’esercito inglese. Nel corso del tempo, dopo l’indipendenza, gli abitanti di quelle zone di montagna hanno sempre vissuto in isolamento dal resto del Grande Paese, isolamento che a volte è servito loro per nascondere attività illecite, come il contrabbando di alcool negli anni trenta del Novecento, o la coltivazione della marijuana al giorno d’oggi.

Un po’ come l’Aspromonte, la Locride, territori naturalmente marginali, isolati, in cui certe pratiche ancestrali si sono mantenute intatte nel corso dei secoli e poi integrate nella modernità attraverso la fornitura di prodotti e servizi per i mercati illegali. Attività che richiedono familiarità con la violenza, oltre che con la corruzione e l’infiltrazione nell’amministrazione dello Stato. In Ozark  la figura del politico corrotto potrebbe benissimo trovare un alter-ego nella Locride: lo si vede trafficare per la concessione dei permessi necessari alla valorizzazione turistica del Lago di Ozark con la coppia diabolica proveniente da Chicago e che ha il denaro per finanziare lo sviluppo.

L’intreccio tra modernità e arcaismi che caratterizza la sceneggiatura di questa serie è ben visibile nella centralità assegnata alle figure femminili: Wendy, la spregiudicata moglie del protagonista, che fa a gara col marito per escogitare modi sempre più ambiziosi di riciclo del denaro sporco; Darline la moglie del capomafia locale, che una volta assunta la leadership si dimostra più crudele e paranoica del marito; Ruth la giovane figlia di un balordo locale divisa tra il modello della figura paterna e l’opportunità di emanciparsene, e infine Helen l’avvocatessa di Chicago più efficiente e spietata dei suoi colleghi maschi. Tutte queste donne sono descritte con sottigliezza psicologica, un impasto di funzioni di cura materna e di rapacità acquisitiva che la modernità offre loro. Mettere insieme il ruolo di madre conformista da un lato e di rampante professionista dall’altro è una dura fatica, materiale e psicologica, che consuma le donne di Ozark e le porta sempre al limite dell’autodistruzione. Ma evidentemente il gioco vale la candela, troppo gustoso per arrestarsi un minuto prima di trasformarsi in catastrofe.

Il messaggio etico alla base della serie è la denuncia della violenza, dell’arricchimento illecito, della corruzione e – non da ultimo – della doppiezza nell’educazione familiare tra prediche formali e comportamenti sostanziali. A distanza di secoli dalla comparsa dei primi filosofi, questi vizi comportamentali sono sempre lì a tentarci, a farci preferire la strada più breve, la scorciatoia, al posto di un sentiero di vita virtuoso. Alla denuncia dei comportamenti sbagliati segue poi la lezione secondo cui far ricorso al crimine non paga, anzi finisce per distruggere l’apprendista stregone che lo ha evocato.

Ma oltre al messaggio etico ce n’è uno politico, e che riguarda entrambi i paesi richiamati nel titolo di questo testo: gli Stati Uniti d’America e l’Italia. Si tratta della polarizzazione delle posizioni politiche che discende dalla convivenza di mentalità sociali molto diverse tra loro. Le quattro mentalità sociali alla base della nazione americana costituiscono un patchwork più che l’auspicato melting-pot. Esse vivono fianco a fianco, ma sono difficili da integrarsi veramente, a causa di alcuni tratti inconciliabili, come le recenti elezioni americane hanno dimostrato con la loro drammatica polarizzazione. Gli elettori trumpiani potrebbero esser definiti come gli attuali portatori dei valori della seconda e della quarta ondata colonizzatrice, che Fischer etichetta rispettivamente come libertà egemonica e libertà naturale. Si tratta di atteggiamenti fondamentalmente asociali, inconciliabili con la libertà ordinata dei padri pellegrini o con la libertà reciproca dei quaccheri, arrivati con la prima e la terza ondata di colonizzazione. Insomma, siamo di fronte a vecchi nodi irrisolti del Grande Paese, che già causarono una guerra civile a metà Ottocento, e che riappaiono ciclicamente, ad ogni momento di crisi sociale ed economica.

Analogamente, nella nostra Italia, il dualismo tra Nord e Sud è ancora lì, enorme e irrisolto, perché formatosi nel corso dei secoli e rinforzato quotidianamente da comportamenti che ne riproducono le basi. La modernizzazione, che indubbiamente ha fatto passi da gigante grazie agli scambi di mercato e alla democratizzazione delle istituzioni (si pensi all’autonomia regionale), non può più ignorare l’esistenza di vecchie abitudini e convinzioni che – ormai dovrebbe essere chiaro a tutti – mettono a repentaglio la democrazia nazionale e la prosperità regionale. Un esempio tra i tanti è proprio la persistenza e lo sviluppo dell’accumulazione capitalistica d’origine criminale, che invade il mercato e corrompe le istituzioni cercando di asservirle alla propria logica.

Appare sempre più chiaro, allora, che l’affermazione dello Stato di diritto e di altri valori progressivi non può esser affidata esclusivamente all’azione repressiva da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, che pure è indispensabile quanto troppo spesso latitante. Essa abbisogna anche di un lavoro di fiancheggiamento da parte di prodotti culturali come Ozark, che ribadiscono l’efferatezza e l’autodistruzione dei comportamenti amorali, mentre confermano il ruolo insostituibile della pedagogia.

Riferimenti bibliografici
D.H. Fisher, Albion’s Seeds. Four British folkways in America, Oxford University Press, New York 1989.
R. Franco, «Ozark», la serie tv che racconta il lato dark del sogno americano, in “Corriere della Sera”, 1 giugno 2020.
A. Grasso, La discesa nell’abisso di Jason Bateman, antieroe di «Ozark», in “Corriere della Sera”, 27 settembre 2018.
M.B. Marini, Le chiavi della prosperità. Gli atteggiamenti mentali che generano sviluppo, Università Bocconi Editore, Milano 2019.

Ozark. Ideazione: Bill Dubuque, Mark Williams; interpreti: Jason Bateman, Laura Linney, Julia Garner, Lisa Emery, Janet Mc Teer, Charlie Tahan, Jason Butler Harner, Jordana Spiro, Peter Mullan, Harris Yulin; produzione: Zero Gravity Management, Media Rights Capital; distribuzione: Netflix; origine: USA; anno: 2017 – in corso.

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