Il film di Nolan pare chiamato a risollevare le sorti del cinema hollywoodiano e, per estensione, del cinema tutto; dichiara in tal senso Francis Ford Coppola, intervistato in merito ai successi in sala di Barbie e Oppenheimer: “La mia sensazione è che siamo sull’orlo di un’età dell’oro, un Cinema meravigliosamente illuminante visto nelle grandi sale”. Cosa c’è di più illuminante della bomba atomica che deflagra sullo schermo? Per l’esperimento di Los Alamos, Oppenheimer studia accuratamente anche le posizioni di osservazione dell’esplosione, come se la bomba fosse uno spettacolo: alcuni scienziati la guardano dall’automobile, come in un drive-in; i militari se ne stanno sdraiati a terra, come in un’arena estiva d’altri tempi. La bomba è il blockbuster di Oppenheimer, un successo progettato, prodotto e distribuito nel circuito bellico. Per suggerire però il ritorno a un’età dell’oro, quella del cinema classico hollywoodiano, a Nolan non basta fare spettacolo: il dispositivo classico si fonda infatti sul mythos, e pertanto il film si apre esplicitando il paragone tra Oppenheimer e Prometeo, il Titano punito da Zeus per aver donato il fuoco agli umani. Non c’è figura finzionale o storica che il cinema hollywoodiano non abbia configurato in forma mitica, da Ethan Edwards a Spartacus: il personaggio è un soggetto con problemi da risolvere, ostacoli, relazioni, obiettivi; in una sola parola, il personaggio è azione.

Nella prima parte del film, Oppenheimer si presenta come teorico puro, quindi contemplativo, con il volto di Cillian Murphy tanto scavato e scolpito da ridursi al disegno degli occhi, un volto-macchina da presa che registra e immagina; infatti lo vediamo steso sul letto a contemplare il prodotto della propria immaginazione, una realtà invisibile all’occhio, quella che John Searle definisce la basic reality, particelle fisiche che interagiscono tra loro entro campi di forza. Ma questo atteggiamento contemplativo è simile a quello della protagonista di La regina degli scacchi: è la simulazione di una partita che ci si prepara a giocare, una partita tutt’altro che teorica. Progressivamente il film ci mostra come, heideggerianamente, nella tecnica si manifesti il destino dell’individuo, nella misura in cui essa «è un pericolo perché porta alle estreme conseguenze l’atteggiamento nichilista della metafisica, appiattendo tutto sul piano degli enti, nell’oblio totale del loro essere» (Terrone 2019).

Il processo di realizzazione della bomba atomica conduce, a un certo punto della fase di studio, all’eventualità del rischio di una reazione a catena: ma il cinema hollywoodiano classico si fonda esattamente sulla concatenazione causale, che infatti Nolan allestisce in ampiezza per quanto concerne la temporalità, e però compatta il più possibile a livello sintagmatico. Una scena porta all’altra, senza soluzione di continuità; nella stessa scena si possono conseguire più obiettivi drammaturgici, e alla fine si devono chiudere tutte le linee narrative. I tagli di Jennifer Lame, già editor di Tenet, rendono la maggior parte delle scene fortemente ellittiche e tendono a isolare frasi fatidiche e momenti topici: non c’è spazio per l’ordinarietà, questo è l’imperativo del mythos. In assoluta coerenza con l’eccezionalità di questo cinema illuminante, in Oppenheimer non c’è un volto che non sia illuminato, cioè divistico, anche per piccoli ruoli (in senso quantitativo): Gary Oldman compare in una sola scena, Kenneth Branagh in due (come Rami Malek). Oltre al fuoco, Oppenheimer porta agli umani anche un sound design non meno impressionante, tutto generato da registrazioni sul campo e caratterizzato da escursioni iperboliche nella gamma dinamica; il fondamentale contributo del musicista Ludwig Göransson assorbe il suono fonico per distribuire in egual misura pattern ricorsivi alternati a parossistici crescendo, finalizzati a scioglimenti narrativi.

Ma il fuoco non è il solo dono di Prometeo agli uomini: il secondo dono è la saggezza, perché Prometeo è colui che sa prevedere, che capisce prima, a differenza di suo fratello Epimeteo, lo sposo di Pandora, che invece è colui che capisce solo dopo che i fatti sono avvenuti. Oppenheimer porta il dono (e il fardello) della saggezza perché sa che la bomba atomica non può essere l’inizio di una nuova era: deve essere, semmai, la conclusione della precedente. Il film così risulta suddiviso in tre movimenti o atti, il primo e il terzo teorici (anche nel senso di contemplativi), il secondo pragmatico. Nolan mantiene una coerenza assoluta rispetto alla vocazione del personaggio: non c’è alcun bisogno delle immagini di Hiroshima e Nagasaki, perché Oppenheimer le ha già pre-viste, e la bomba del film non è quella sganciata dall’Enola Gay. Di quest’ultima si prende tutta la responsabilità il presidente Truman. La bomba aveva come obiettivo quello di far sopravvivere l’America, proprio come il meta-film di Nolan vuole risospingere il cinema hollywoodiano “sull’orlo di un’età dell’oro”, caratterizzata da un successo quantificabile, definitivo, capace di trasformare l’eccezione in regola.

Riferimenti bibliografici
E. Terrone, Heidegger e l’esistenzialismo, in M. Ferraris, a cura di, Pensiero in movimento. Decostruzione, Pearson, Milano-Torino 2019.

Oppenheimer. Regia: Christopher Nolan; sceneggiatura: Christopher Nolan; montaggio: Jennifer Lame; fotografia: Hoyte van Hoytema; musiche: Ludwig Göransson; interpreti: Cillian Murphy, Emily Blunt, Matt Damon, Robert Downey Jr., Florence Pugh, Josh Hartnett, Casey Affleck, Rami Malek, Kenneth Branagh; produzione: Universal Pictures, Syncopy Films, Atlas Entertainment; distribuzione: Universal Pictures; origine: Regno Unito, Stati Uniti d’America; durata: 180′; anno: 2023.

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