Le prime battute di O último azul di Gabriel Mascaro riecheggiano nella sala ancora immersa nel buio, sovrapposte allo sfondo nero su cui scorrono i titoli di testa del film. Questa scelta pragmatica ha in sé un valore emblematico, anche alla luce del contenuto di queste prime brevi frasi. Il suono è quello di una voce meccanica, che si propaga da un elicottero in volo e annuncia un futuro “roseo” per gli anziani dell’Amazzonia brasiliana: un programma statale che consentirà loro di ottenere tutte le cure e le attenzioni necessarie, senza pesare sui figli, che rappresentano il popolo giovane, dal quale si esigono forza e produttività costanti. Questo sonoro acusmatico agisce sullo spettatore, accompagnandolo «per mano […] fin sulla soglia della finzione cinematografica» (Eugeni 1989, pp. 95-96).
La voce ci conduce in una dimensione distopica, collocata in un futuro non troppo distante, fino alla casa di Tereza, una donna autonoma di 77 anni che, nonostante tutto ed esclusivamente in virtù della sua età, è stata selezionata per entrare a far parte del progetto di ricollocazione degli anziani in quella che viene definita genericamente “colonia”.
Mascaro lavora minuziosamente sulla messa in scena del dettaglio, al fine di costruire un’atmosfera di perenne oppressione pur all’interno di inquadrature ariose e luminose: campi lunghi e lunghissimi dei paesaggi amazzonici, bagnati da una luce calda e incorniciati da una fotografia che, virando sulle sfumature del verde, esalta i colori pieni e brillanti della natura. Quest’ultima, insieme a Tereza, è l’altra protagonista essenziale dell’opera, come si evince anche dalla scelta frequente di inglobare la figura della donna nell’ambiente naturale, rendendo, di fatto, le due co-agenti. Tuttavia, il senso di controllo e soffocamento esercitato dall’organizzazione statuale è evidente nelle varie sequenze in cui pubblici ufficiali o semplici impiegati chiedono insistentemente a Tereza i documenti, al fine di verificarne l’età e, di conseguenza, l’indipendenza e autonomia. Il punto di rottura definitivo si verifica nel momento in cui, convocata alla stazione di polizia locale, alla donna viene riferito che è ormai ritenuta incapace di provvedere a sé stessa e che, per questa ragione, è stata affidata alla custodia della figlia.
Tereza accetta a malincuore il proprio destino, ma prima di trasferirsi vuole realizzare il desiderio di salire su un aeroplano, che, come rivela ad una sua amica, non ha mai potuto soddisfare a causa dell’incombenza di crescere una figlia da sola, dovendo per questo svolgere ben due lavori. La critica alla cultura del capitale, della produttività costante e dell’accumulazione è implicita, ma si staglia nitida e netta sullo sfondo dell’opera.
Ancora una volta, però, Tereza incontra l’ostacolo dello Stato, che le impedisce di acquistare un biglietto per qualsiasi mezzo di trasporto senza l’autorizzazione della sua tutrice legale, ovvero sua figlia. È a questo punto che la donna intraprende un viaggio salvifico e liberatorio, un percorso di ribellione che le consente di sciogliersi dalle catene di una società che la considera uno scarto da mettere da parte, in attesa che marcisca definitivamente e possa essere gettata via. Come lo stesso regista ha dichiarato a “Variety“: «We rarely see elderly bodies rebel against the system, it is as if rebellion belongs only to the young. It is almost as if the elderly are not authorized to exist within dystopian literature». Questa consapevolezza, dunque, ha spinto Mascaro a raccontare da una prospettiva diversa la vecchiaia, quale condizione di resistenza di fronte all’oppressione e non più «vessel for memory, something to preserve a life lived, always inching closer to death» (ibidem).
Tereza, infatti, è ben distante dalla morte e rivendica una rinascita, la quale si realizza anche attraverso un processo di riconnessione con l’alterità, sia umana che naturale. Nelle prime sequenze, Tereza ci viene mostrata sul posto di lavoro, una fabbrica che produce carne di alligatore. Di conseguenza, appare pienamente inserita nel sistema produttivo industriale, che non può più accettare quello che considera un corpo non più perfettamente performante. Si tratta, però, di un corpo ancora agile, mobile, che intende riconquistare il proprio spazio e riaffermare la sua indipendenza.
Mascaro sembra proporre un parallelismo tra il corpo di Tereza e quello della natura. Il regista, in effetti, portando avanti una riflessione su «how pop culture and capitalism reappropriate symbolical references within the Amazon’s expansive fauna» (ibidem), sembra assimilare le rispettive condizioni della donna e della natura: entrambi corpi sfruttati e vampirizzati dal sistema industriale. Alla luce di ciò, dunque, appare significativo il percorso intrapreso da Tereza che, procedendo lentamente lungo il fiume, la porta a intrecciare diversi legami, i quali le consentono di intessere una nuova trama di relazione, ed è proprio questo che immette Tereza sulla strada della libertà. Tra questi, cruciale è il rapporto di ricongiungimento con una natura pulsante ma depredata. È in questo modo che le due figure diventano co-agenti, non fungendo più la natura da semplice sfondo ma da catalizzatore del processo di riscoperta e rinascita della protagonista. Emblematico è, in proposito, il ruolo svolto dalla lumaca che lascia dietro di sé la scia blu che dà il titolo al film, la quale, secondo una credenza popolare, avrebbe la facoltà di rivelare agli uomini il proprio futuro.
Un futuro in cui, lungo il suo cammino, Tereza infine incontra una misteriosa donna nota a tutti come “la suora”, la quale ha comprato il proprio diritto alla libertà munendosi di un permesso di navigazione. Le due proseguiranno insieme, unendo le proprie traiettorie nomadiche individuali e strutturando, così, legami nuovi e alternativi, gli unici in grado di preservare le loro soggettività emarginate e oppresse.
Riferimenti bibliografici
R. Braidotti, Soggetti nomadi. Corpo e differenza sessuale, Castelvecchi editore, Roma 2011.
R. Eugeni, Il sogno e la soglia. Strategie di falsificazione e costruzione dello spettatore cinematografico nella cartellonistica e nel trailer di Via col vento, in “Cinecritica”, n. 13 (1989), pp. 95-106.
O último azul. Regia: Gabriel Mascaro; sceneggiatura: Gabriel Mascaro, Tibério Azul; fotografia: Guillermo Garza; montaggio: Omar Guzmán, Sebastián Sepúlveda; interpreti: Denise Weinberg, Rodrigo Santoro, Miriam Socarrás, Adanilo; produzione: Desvia, Cinevinay; origine: Brasile, Messico, Cile, Paesi Bassi; durata: 86′; anno: 2025.