Se si ripercorrono i titoli dei film realizzati da Werner Herzog negli ultimi anni, ci si rende conto che il regista tedesco sta ormai da tempo riprendendo tutte le sue ossessioni, le sue immagini, le sue tematiche, approfondendole ogni volta da una prospettiva diversa, non importa quanto apparentemente marginale. Ogni occasione per filmare è un’occasione per riprendere il proprio sguardo, e non ha alcuna importanza se si tratta di un film per la televisione, di una fiction, di un educational, un documentario su commissione o personale: Herzog ha ormai da tempo raggiunto la capacità e l’abilità di fare proprio ogni percorso, di ritrovare la possibilità di creare immagini sotto ogni forma.

Ecco allora tornare l’inquietudine costante per un mondo in cui la tecnica ha costruito un nuovo ambiente, spesso percepito come “naturale” (Lo and Behold, Family Romance LLC, l’atteso Fordlandia); ecco riemergere le figure estreme, ai margini, titaniche e sublimi o piccolissime e fallimentari (On the Death Row, Into the Abyss); ecco l’interrogazione sulla Natura (il deserto, il vulcano, il meteorite), intesa come forza dinamica, cieca e al tempo stesso straordinaria, carica di simboli diversi per tutte le culture, la cui immagine (come farne cinema?) diventa l’ossessione costante per il regista bavarese (Queen of the Desert, Salt and Fire, Dentro l’inferno, Fireball). Ed ecco, infine, gli incontri con gli uomini straordinari, visionari, compagni di viaggio o interlocutori privilegiati: Gorbachev e, non ultimo, il compagno segreto, lo scrittore/viaggiatore Bruce Chatwin. Ognuno di questi film è anche altro, ci permette di riflettere su altro: da ognuna di queste prospettive è l’immagine ad essere al centro del problema. I percorsi di Herzog, i suoi movimenti, le connessioni tra gli elementi del film diventano le forme attraverso cui il regista di Aguirre (1972) cerca nuove immagini, si immerge nel mondo alla ricerca di sguardi in grado di dire la contemporaneità, in grado di fare piazza pulita dei cliché, delle stanche ripetizioni. Ogni film va dunque al di là di ciò che mostra: è una ricerca, una domanda pressante, una possibilità teorica.

Nomad: In cammino con Bruce Chatwin non è un film biografico; non è neanche la storia di una amicizia particolare, tra due spiriti affini, come ricordava lo stesso Chatwin in Che ci faccio qui?; certo, si parla di tutto questo, ed è lo stesso Herzog a condurre il gioco come un mosaico di racconti, luoghi, memorie che legano il suo cinema alla scrittura e alla visione del narratore inglese. Eppure il film colpisce proprio perché, al di là delle apparenze (un film omaggio, un documentario biografico), Nomad si rivela essere qualcosa di più, proprio come tutti gli ultimi film herzoghiani.

La struttura del film, fatta per salti, per ellissi improvvise, per incontri a volte imprevisti, a volte organizzati minuziosamente, sembra quasi ricalcare la struttura dei romanzi di Chatwin: vi riconosciamo infatti la medesima prosa secca e apparentemente impressionistica, le ellissi improvvise, le immagini folgoranti di un volto, un paesaggio o un oggetto – ritorna infatti il relitto della barca arenata a Punta Arenas, che Chatwin fotografa e descrive nel suo libro più famoso, In Patagonia, e che Herzog ritorna a filmare ora, in una sorta di corto circuito temporale tra passato e presente.

È da questa immagine straordinaria che allora il film può essere riattraversato come una meravigliosa, poetica e sentita messa in gioco di una idea di cinema come scrittura, o meglio come viaggio. In un testo dedicato all’amico regista, Chatwin parla del rapporto con Herzog, riconoscendo come l’elemento principale che li accomuna sia una sorta di passione quasi mistica per il camminare. Non si tratta di un elemento accessorio o di un puro vezzo. Il cinema di Herzog come la scrittura di Chatwin si sviluppa proprio a partire dall’idea e dalla pratica del camminare, della traccia visiva e umana lasciata dall’esperienza del muoversi nello spazio e nel tempo a partire dal proprio corpo empirico.

Nomad, a ben vedere, è di fatto una messa alla prova di questa idea che allora si trasforma in idea del cinema, di una pratica filmica. Affinché una immagine possa emergere, sembra affermare Herzog, è necessario muoversi a partire dai limiti della propria corporeità, delle proprie possibilità fisiche. È questo il fondamento del rapporto tra i due: questa idea profondamente fisica del processo creativo che, però, porta necessariamente ad una immagine capace di trascendere il mondo fisico (non è un caso che Deleuze considerava Herzog il più metafisico di tutti i registi).

I passaggi del film sono infatti tracce di incontri, di attraversamenti, di percorsi che Herzog compie a partire da Chatwin, dai luoghi descritti nei suoi libri, dai luoghi filmici che portano le tracce della sua scrittura – Dove sognano le formiche verdi (1984), sul cui set australiano i due per la prima volta si conoscono; Cobra verde (1987), la personalissima rilettura herzoghiana de Il Viceré di Ouidah di Chatwin. Non è la coerenza degli spazi e dei luoghi che il regista ricerca, ma la capacità del cinema di fare del viaggio una traccia mnestica, memoria e dunque montaggio di immagini, come la scrittura di Chatwin insegna. Un film come un pellegrinaggio che ritorna su luoghi già filmati o descritti, ma non per celebrarli, quanto per mostrarne la capacità di raccontare ancora.

Nomad è allora un corpo a corpo con la figura di Chatwin, certo; è un omaggio intimo e commosso di Herzog all’amico scomparso; ma è anche un esperimento sulla forma narrativa che Herzog trasforma qui in splendido cinema. In ogni salto del film, dall’Australia alla Patagonia, dal Regno Unito all’Africa i luoghi sono al tempo stesso visti e scritti, osservati con un doppio sguardo, quello del regista e quello dello scrittore, per poi essere restituiti allo spettatore come spazi produttori di infinite storie e immagini.

Nomad: In cammino con Bruce Chatwin (Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin). Regia: Werner Herzog; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Louis Caulfield, Mike Paterson; montaggio: Marco Capalbo; musiche: Ernst Reijseger; produzione: BBC Studios; distribuzione: Wanted Cinema; origine: Gran Bretagna; durata: 89′.

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