Più che quella di altri Paesi, la storia del Giappone è scandita dall’erompere di catastrofi. Sospendendo la “naturale” progressione del tempo, la catastrofe scompiglia le carte in tavola e costringe a riavviare il processo di sedimentazione storica, mentre le scorie del passato si adagiano, stratificandosi, a formare combinazioni sempre più complesse ed ermetiche. Una storia, quindi, come costellazione inframmezzata (o, forse, costituita) da scarti/buchi neri che minacciano di risucchiare i loro intorni. Eppure, come insegna la teoria delle catastrofi proposta da René Thom, l’instabilità alla base dei fenomeni naturali non degenera mai nel caos e nell’anomia, poiché, a uno sguardo più lucido, è possibile riscontrare una certa stabilità e ripetibilità di formeCosa c’è che crepita nel perturbante passaggio dal periodo Meiji all’era Taishō? Cosa tra il suicidio di Mishima Yukio e l’epurazione di alcuni militanti dell’Armata Rossa durante il ritiro sul Monte Asama? E cosa, ancora, nello scarto – questa volta infinitesimale – tra l’infuriare del Grande Terremoto del Kantō del primo settembre 1923 e i rastrellamenti del Kenpeitai a detrimento di rivoluzionari, oppositori politici e minoranza coreana?

È con quest’ultima domanda che si avvia il libro di Francisco Soriano. Difatti, ancor prima di essere una biografia della scrittrice e anarchica Itō Noe, lo studio si propone di mappare rapidamente la storia dei movimenti operai, la diffusione dell’anarchismo e del pensiero libertario in Giappone. Avendo scrupolo di porre l’accento sui tratti e sugli apporti originali dati al dibattito socio-politico e filosofico, Soriano riflette sul fatto che «non vi è una profonda conoscenza della storia del movimento operaio e anarchico in Oriente» (Soriano 2018, p. 61): del resto, da una parte, la maggioranza degli analisti storici propugna un’interpretazione eurocentrica, e, dall’altra, gli «intellettuali della sinistra marxista […] non intendevano riconoscere ruoli politici al di fuori della propria sfera di influenza» (ivi, p. 61).

Lo sguardo di Soriano si aggira tra le macerie di Tōkyō, città dilaniata e nefasta, guidato dalle descrizioni contenute nell’autobiografia di Kurosawa Akira, secondo cui il sisma «rivelò non solo gli straordinari poteri della natura, ma anche gli incredibili abissi che si nascondono nel cuore umano» (Kurosawa 1995, p. 83). S’imbastì un discorso demagogico, che andava tingendosi di sfumature sovrannaturali, attraverso il quale le autorità si dichiararono determinate a sventare complotti e sabotaggi mentre, al contempo, si diffusero notizie false al fine di aizzare la popolazione allo squadrismo ai danni dei coreani.

A questo vettore di fomentazione popolare – tanto banale quanto pericoloso – si affiancò una persecuzione sistematica di intellettuali e di militanti dei movimenti antagonisti al regime che, di fatto, aveva già preso l’avvio tre anni prima, quando Morito Tatsuo, eminente professore dell’Università imperiale di Tōkyō, fu imprigionato e interdetto a vita dall’insegnamento in quanto reo di avere pubblicato uno studio sul pensiero sovversivo di Kropotkin.A poche ore dal sisma, con il pretesto di evitare episodi di sciacallaggio, il Kenpeitai riuscì a guadagnare un controllo capillare del territorio, prodigandosi nella ricerca di Itō Noe e del compagno Ōsugi Sakae che saranno trucidati e gettati in un pozzo perché accusati di svigorire l’ottimismo patriottico e di «cospirare contro le istituzioni a favore di forze straniere» (ivi, p. 26). A distanza di più di un decennio, risuonavano ancora, monolitiche, le parole di Kōtoku Denjirō (lo Stato è il più fervente terrorista perché uccide per ragioni politiche), attivista che diffuse il pensiero anarchico in patria fondando il giornale Heimin Shinbun e traducendo per la prima volta il Manifesto del Partito Comunista nonché alcuni importanti saggi di Kropotkin, tra cui La conquista del pane.

L’autore si concede una digressione storica che, estendendosi per due capitoli, riparte dal Giappone feudale. A più riprese, il Giappone si è dimostrato un paese tanto insofferente al “misticismo” delle comunità buddhiste e dei missionari gesuiti, quanto lontano dalle idealizzazioni di stampo orientalista che tendono a considerarlo un impero ingessato e ieratico, estraneo al fermento cui, al contrario, sarebbe indissolubilmente intrecciata la storia politica e culturale d’Europa.

Attraverso un’analisi stratigrafica, inizia a tratteggiarsi una galleria di hommes révoltés che scossero le fondamenta di una società «cristallizzata in tradizioni ormai svuotate e senza senso» (ivi, p. 63). Si scopre, ad esempio, che in pieno periodo Tokugawa (un secolo prima che venisse posto termine alla politica isolazionista del Giappone), l’arcipelago aveva dato i natali a un teorico d’ispirazione libertaria noto come il “precursore ignorato”: Andō Shōeki. Resta indubbio, comunque, che gli intellettuali non allineati cercassero costantemente il dialogo con gli Stati Uniti e, soprattutto, con l’Europa, tanto che Ōsugi stesso, alacre studioso capace di parlare sette lingue, amava definirsi un “anarchico in traduzione”. Anticapitalisti e antimilitaristi, gli attivisti nipponici aspiravano all’internazionalismo, alla cancellazione di stati e frontiere da cui avrebbero dovuto avere avvio delle sperimentazioni di società alternative.

Dopo alcune incursioni di Soriano nei territori dell’anarco-femminismo – che, di fatto, esplode con la morte per impiccagione di Kanno Sugako, compagna di Kōtoku – il volume si focalizza sulla figura di Itō Noe. Approdata giovanissima a Tōkyō, Itō incontrò Ōsugi con cui lavorò alla redazione di articoli e traduzioni, iniziando una relazione turbolenta che sarà esposta alle calunnie e all’astio di una società che aborriva la loro condotta libertina: tuttavia, più che nella propaganda in quanto “atto linguistico”, la loro pericolosità sociale era radicata nei gesti che la loro nuda vita innescava; il loro semplice esistere costituiva la pietra dello scandalo.

Nel 1911, entrata a far parte della rivista Seitō (ossia “calze blu”, in omaggio al circolo delle Blue Stockings di Vesey e Montagu), diretta da Hiratsuka Raichō, Itō sostenne con vigore l’avvento delle “atarashii onna”, donne nuove che avrebbero dovuto ispirarsi al principio di azione diretta – teorizzato da Emma Goldman, di cui tradurrà alcuni testi – per ribellarsi al proprio destino di spose buone e obbedienti e di madri responsabili, per ricordare che: «Quando nacque il Giappone, la donna era il Sole, l’essere umano per eccellenza» (ivi, p. 86). Le vicissitudini, la quotidianità e il pensiero di Itō e Ōsugi – già al centro dell’imprescindibile film di Yoshida Yoshishige (Eros + Massacro, 1969) e che furono di rilevante interesse teoretico anche per altri esponenti della Nouvelle Vague nipponica – tornano a insinuarsi nella società contemporanea, alla ricerca di nuove forme di vita più sostenibili e vicine all’iniziativa spontanea e meno legate alla produzione legislativa.

Il ritorno alla monadologia di Leibniz sarebbe la condizione fondamentale che permetterebbe di «anteporre a tutto l’esistenza degli esseri individualmente, singolarmente, irriducibili a qualsivoglia determinazione esteriore» (ivi, p. 68). In tal modo, si estinguerebbe l’aporia mediante l’apertura alla compossibilità di “individualismo moderno” – molto distante dall’egoismo imperante e affine, invece, al concetto di Unico stirneriano – e dimensione collettiva. Per mezzo di un federalismo dal basso, di ascendenza bakuniana, si cercherebbe di anteporre alle logiche della produzione la logica intrinseca della vita che non può che preservare se stessa.

E se per realizzarsi, ossia per sperimentarsi nel suo essere apertura alla potenzialità, la vita non può prescindere dalla rivolta, quest’ultima non deve altresì essere identificata, corrivamente e impropriamente, con il caos arbitrario. Ancora una volta, sarà una catastrofe, con il suo tratto discontinuo, a far variare, in modo continuo, il processo di rimodulazione della società, unico luogo possibile ove riconoscere l’universalità del singolare.

Riferimenti bibliografici
G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005.
A. Kurosawa, L’ultimo samurai. Quasi un’autobiografia, Baldini & Castoldi, Milano 1995.
M. Stirner, L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1999.

*L’immagine di anteprima dell’articolo è Himiko (Shinoda, 1974). 

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