È da quando esiste che il cinema si occupa di Napoleone. Ci hanno fatto circa duecento film e non è un caso, perché entrambi, il cinema e Napoleone, sono larger than life. Però il primo, in qualche modo, una forma ce l’ha (lo schermo, il montaggio…), il secondo invece no. Il Poeta si chiedeva: «Di questo Giovane il rapido / Spirito, forse che non infrangerebbe / ogni vaso che volesse imprigionarlo?». Ma un modo per mettere il rapido Giovane dentro un vaso c’è ed è farne un vecchio fin da subito, limitandone così i movimenti; infatti, il Napoleone di Ridley Scott non è mai un ragazzo, anche l’ufficiale ventiquattrenne che riconquista Tolone ha l’età dell’attore che lo interpreta, più o meno cinquant’anni, e si comporta in modo decisamente senile, tiene le palpebre semichiuse, quando cammina ha il passo incerto, quando sta seduto è rigido come un pupazzo.

Ha davanti a sé un compito impossibile: rimettere in sesto un paese che sta sprofondando nel Terrore rivoluzionario ed è accerchiato dai nemici. Non è chiaro se ne ha davvero voglia. A vedere la sua faccia – sempre torva o melanconica – sembrerebbe di no. È un guerriero, ma i rumori della battaglia lo infastidiscono: ogni volta che un cannone spara deve tapparsi le orecchie oppure ascolta il proprio respiro che copre il fragore delle armi. È un politico, ma davanti agli oratori sovraeccitati si appisola. Parlare sembra costargli una fatica tremenda e, quando ci è costretto, emette basse e cupe fusa da gatto. Oppure diventa stridulo e ridicolo, come quando fa scenate di gelosia a Giuseppina e si lamenta con i diplomatici inglesi perché quei guerrafondai rifiutano le offerte di pace.

Napoleone fa la sua prima apparizione nella piazza dove ghigliottinano Maria Antonietta. Tutti sono entusiasti, tutti sbraitano, tutti tranne lui che davanti alla testa mozzata della regina abbassa lo sguardo, non è misericordia ma una amara e decisiva intuizione: il popolo aspetta qualche parola d’ordine – “uguaglianza”, “Francia”, “salute pubblica” – per poter fare con buona coscienza le cose peggiori. E, se non ne siamo convinti, c’è la vocetta di Edith Piaf a ricordarcelo, “i piccoli e i grandi sono soldati nel loro cuore, ça ira, ça ira, ça ira!”, perché nel cuore hanno lo sterminio. Tutti – rivoluzionari, monarchici, soldati, anche i bravi termidoriani che inseguono per le scale l’assassino Robespierre – vogliono far scorrere il sangue, fosse anche il proprio, vogliono andare in rovina. Napoleone fa di necessità virtù, cerca di mettere ordine dentro i rivoli della violenza perché non distruggano la nazione. Il suo vero talento è fare un buon uso delle cose e degli uomini che spontaneamente cadono.

Lui la caduta la conosce per mestiere, è un capitano di artiglieria, e le palle di cannone sono come le teste degli aristocratici, se si alzano si abbasseranno. La più dura di tutte le leggi è quella di gravità e il soldato appassionato di balistica riesce a cavarne fuori uno stratagemma vittorioso: per prendere il fortino di Tolone i cannoni non devono sparare con una traiettoria rettilinea ma vanno puntati verso l’alto per far disegnare ai proiettili una parabola. Nella battaglia di Austerlitz l’esercito nemico viene fatto ripiegare su un lago ghiacciato che i cannoni francesi sfondano: per lunghi, interminabili minuti si vedono i cavalieri austriaci sprofondare nell’acqua proprio come i cavalieri teutonici dentro il lago Peipus nello Aleksandr Nevskij (1938) di Ėjzenštejn. Anche il condottiero più geniale d’Europa non fa altro che cadere: il 18 brumaio si prepara a far sgomberare il Parlamento, i deputati vogliono metterlo ai ferri, allora cerca di farsi largo a suon di pugni ma casca per terra in un modo così rovinoso e goffo come non si era visto dalla rissa di Barry Lyndon con il figliastro. Durante la fase decisiva dell’ultima battaglia, a Waterloo, sale sul cavallo ma il piede gli scivola dalla staffa e solo la pietà del regista gli risparmia l’ennesimo ruzzolone.

Cadono le teste, cadono i proiettili e cadono anche gli sguardi. Nel loro primo tête-à-tête gli occhi di Napoleone restano dritti e immobili, poi si abbassano, un po’ per timidezza, un po’ perché Giuseppina gli dice “if you look down, you’ll see a surprise“. Tutto qui. I due non fanno nient’altro, non hanno niente da dirsi e non saranno mai più così felici. Le poche volte che gli riesce di stare dritto e ben piantato sui piedi è quando non dovrebbe, cioè durante i veloci e deludenti accoppiamenti con lei. È un amante maldestro perché non si rassegna al fatto che l’amore è come le altre cose, è una palla di cannone, è una testa ghigliottinata, una cosa che cade. Il solo amplesso spensierato è quando il di lì a poco imperatore e la di lì a poco imperatrice scivolano sotto la tavola da pranzo e si amano sul pavimento, in silenzio.

Anche la luce cade. Le scene sono quasi tutte notturne o girate in interni bui, l’incontro con Giuseppina sulle rive di un lago crepuscolare è letteratura gotica, i campi di Austerlitz e Waterloo sono mari di nebbia. Più che agli altri Napoleone cinematografici, questo assomiglia ai vampiri. I vampiri non hanno scelto di essere come sono, eseguono con fedeltà di sonnambulo gli ordini perversi dettati da una natura matrigna, devono bere sangue anche se non vogliono. In mezzo a tanti assassini che si credono vivi, Napoleone sa di essere soltanto un non-morto. Nell’unico momento in cui ci sono un sole e una luce accecanti – la campagna d’Egitto – la cosa più importante non è la battaglia – qualche pennacchio di polvere sulle piramidi colpite dai proiettili – ma la scoperta di un sarcofago. Napoleone lo fa aprire e, siccome non è troppo alto, prende una cassa di munizioni per salirci sopra e poter guardare la mummia bene in faccia: ciò che vede è la propria maschera mortuaria, quella che oggi sta al Musée de l’Armée. Non resiste alla tentazione di toccare il sosia imbalsamato e, pieno di tristezza, lo vede piegarsi di lato. È il modo in cui morirà anche lui. A Sant’Elena è inquadrato di spalle, seduto nel giardino della sua prigione, un mezzobusto con in testa il cappello. Era già apparso tante volte così e di solito la sua sagoma funzionava come il perno immobile attorno al quale ruotavano gli altri. Adesso, però, gli altri non ci sono e davanti ha soltanto l’orizzonte vuoto dell’oceano. Poi la sagoma nera s’inclina verso sinistra e si toglie definitivamente dallo schermo lasciando il posto ai titoli di coda. Tra l’ufficiale che, curvo e con la testa incassata, va in perlustrazione sotto le mura di Tolone e l’ultimo imperatore d’Europa che casca dalla sedia non c’è una grande differenza. Anche se il film dura molto, sembra che non sia successo nulla. In realtà qualcosa è successo: Napoleone ha capito di che pasta sono fatti gli uomini, sapeva che sarebbe andata a finire male, ma non ha voluto mettersi in salvo. Loro lo hanno abbandonato, lui invece è rimasto con tutti quelli che sono caduti.

Napoleon. Regia: Ridley Scott; sceneggiatura: David Scarpa; fotografia: Dariusz Wolski; montaggio: Sam Restivo, Claire Simpson; interpreti: Joaquin Phoenix, Vanessa Kirby, Tahar Rahim, Ben Miles, Ludivine Sagnier, Paul Rhys; produzione: Apple Studios, Latina Pictures, Scott Free Productions; distribuzione italiano: Eagle Pictures ; origine: Stati Uniti d’America, Regno Unito; durata: 158′; anno: 2023.

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