Pochi metri separano il 35 di Boulevard des Capucines a Parigi, sede nel 1860 dell’atelier Nadar, dal 14 dello stesso indirizzo, dove alcuni anni dopo, nel 1895, i fratelli Lumière presentano la loro invenzione, il cinematografo.
Pochi metri che sono alla base di una rivoluzione di portata storica: il declino dell’“aura” dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, secondo la definizione di Benjamin. La nozione tradizionale di arte cede sotto i colpi della fotografia prima e del cinema dopo, il valore di esposizione dell’opera aumenta a discapito di quello cultuale, l’industrializzazione dell’opera d’arte modifica il suo rapporto con le masse, quelle masse che diventano protagoniste di un processo di modernizzazione che trova nella città il suo luogo di elezione. E soprattutto in Parigi la sua capitale, la “capitale del XIX secolo”.
La carte de visite è un “genere” fotografico che di questo processo di commercializzazione dell’opera d’arte è un caso esemplare. L’inventore è André-Adolphe Disdéri, che nel 1854 brevetta una macchina fotografica con quattro obiettivi capace di impressionare contemporaneamente, sulla stessa lastra, altrettanti ritratti di dimensioni ridotte.
Il successo allora davvero strepitoso di Disdéri fu a buon diritto dovuto alla sua ingegnosa trovata della carte de visite, il ‘biglietto da visita’. Il suo occhio di imprenditore aveva visto bene e al momento giusto. Disdéri aveva creato una vera e propria moda che di colpo coinvolgeva tutti. E per di più, rovesciando la proporzione economica valida fino ad allora, e cioè dando infinitamente di più per infinitamente di meno, rendeva popolare una volta per tutte la fotografia (Nadar, 2017, p. 95).
A ricordarlo è Félix Nadar, che a sua volta si cimenta con questo genere. Se davanti all’obiettivo di Nadar passano soprattutto gli intellettuali e gli appartenenti all’alta borghesia parigina (da Nerval a Baudelaire, da Delacroix a Berlioz a George Sand), la piccola borghesia, anch’essa alla ricerca di segni di prestigio, sfila invece davanti al brevetto di Disdéri. Ma non solo. Come racconta sempre Nadar, anche la “grande storia” non manca l’appuntamento con la voga della carte de visite, quando Napoleone III, passando in pompa magna per il boulevard in testa al corpo d’armata in partenza per l’Italia, si ferma davanti allo studio di Disdéri per farsi fotografare: “Grazie a quel colpo, l’entusiasmo per Disdéri arrivò al parossismo; l’universo intero considerò il suo nome e come arrivare a casa sua” (ibidem).
Nel rivedere oggi le cartes de visite di Nadar, padre e figlio (l’occasione è stata la mostra Nadar – Il teatro della fotografia, che si è tenuta fino al 10 giugno 2017 presso il museo MAON di Rende, a cura di Tonino Sicoli e Marcello Walter Bruno), non è tanto lo sguardo delle persone ritratte in queste immagini (attori noti e sconosciuti e persone comuni), che ci interpellano da un altro tempo e da un altro spazio, corpi di un’era trascorsa, a suscitare il nostro interesse (non perché la questione sia di poco conto naturalmente, ma perché ampiamente discussa) ma proprio la loro destinazione in questa prima forma di oggetto seriale della società di massa che è appunto la carte de visite.
Nadar con il suo atelier non solo cede a una moda, e a un’idea industriale della fotografia (quella che Baudelaire con disprezzo definiva “il rifugio di tutti i pittori mancati, scarsamente dotati o troppo pigri per compiere i loro studi”) ma partecipa dell’immagine che ne risulta, con uno stile naturalmente più raffinato rispetto a quello di Disdéri: chiaro, essenziale, spogliato da ogni elemento estraneo alla presenza centrale della persona inquadrata posizionata su uno sfondo neutro e illuminata da una luce naturale proveniente dalle vetrate del suo atelier.
La rielaborazione estetica sta però sempre insieme a una piena coscienza industriale e commerciale dell’operazione. In un altro suo testo intitolato L’onestà commerciale Nadar non manca di elargire consigli al fotografo dilettante quanto a quello professionista di fronte alle rimostranze di chi non ritrova nelle fotografie la “propria immagine”:
Quando due modelli sono venuti insieme, cercate di fare in modo che tornino insieme per il ritiro. E non mancate mai di sottoporre le prove dell’uno all’altro e viceversa, quel che al biliardo si chiama ‘colpo di sponda’, e per un momento allontanatevi! (pp. 61-62).
Se Parigi è la città per eccellenza della modernità (le cui strade diventano boulevard, spettacolo che si presenta agli occhi del passante, del flâneur, cambiando la sua percezione), Nadar è la quintessenza dell’artista moderno. Caricaturista, giornalista, letterato, e naturalmente fotografo, incarna una figura di artista totale, mosso dalla sfida e dall’ambizione di realizzare e cercare sempre immagini mai viste prima. Nadar non è soltanto il primo ad aver realizzato con un pallone aerostatico delle foto aeree di Parigi ma è anche il primo ad aver portato la sua macchina fotografica nei sotterranei della città, avendo trovato il modo di fotografare con luce artificiale, nelle catacombe parigine. In sintonia ancora con quanto in letteratura nello stesso momento facevano Zola o Balzac, dove appunto è proprio il “ventre” della città a dominare.
Qual è l’esito nel contemporaneo di questo processo di modernizzazione che ha messo al centro le masse e nel quale hanno giocato un ruolo così decisivo nella costruzione dell’immaginario delle persone la fotografia e il cinema, e che ha avuto in Nadar una delle sue figure decisive? La “profezia” di Benjamin secondo il quale “Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venir filmato” (p. 35) trova sì il suo compimento nella televisione (e in particolare in un genere come il reality show) ma anche, e in tempi più recenti, nella rete.
Per quanto riguarda la fotografia, social network come Instagram consentono di saltare la distinzione tra pubblico e privato (ogni utente ha la possibilità di entrare nella vita quotidiana dei personaggi più noti) e soprattutto quella tra autore e pubblico. Ancora Benjamin: “La distinzione tra autore e pubblico è in procinto di perdere il suo carattere sostanziale. […] Il lettore è sempre pronto a diventare autore” (p. 36). Per quanto riguarda il cinema pensiamo a tutte quelle forme contemporanee di “espansione” del cinema, di creatività dal basso (recuts, mash-ups, fake trailers), che trasformano il consumatore in produttore (cfr. Casetti, 2015).
Nella nostra epoca di autorappresentazione di massa basta scattare e condividere su Instagram.
Riferimenti bibliografici
W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Einaudi, Torino 2000.
F. Casetti, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene, Bompiani, Milano 2015.
F. Nadar, Una vita da gigante, a cura di M. Christolhomme, Contrasto, Roma 2017.
Nadar – Il teatro della fotografia, a cura di T. Sicoli, M.W. Bruno, MAON – Museo d’Arte dell’Otto e Novecento, Rende (Cs) 2017, catalogo della mostra.