L’opera di Anne-Sophie Bailly si contraddistingue per un’attenzione particolare alle dinamiche del prendersi cura. Filmare diverse forme di “assistenza” – da quella che le ostetriche offrono alle partorienti in un reparto maternità (En travail, 2019) a quella che le levatrici forniscono alle donne di un villaggio di un fittizio medioevo (The Midwife, 2021) – sembra essere una delle vocazioni della regista.
La cura e la maternità sono tematiche centrali anche nel primo lungometraggio di Bailly, Mon Inséparable (2024), presentato nella sezione Orizzonti al Festival di Venezia 2024. La protagonista, Mona, è la madre di Joël, un ragazzo di trent’anni con una disabilità intellettiva: dopo aver dedicato tutta la vita al suo “enfant différent”, la donna sembra aver deciso di occuparsi finalmente di sé stessa quando, sconvolgendo tutti i suoi piani, Joël le confessa di star per diventare padre.
Mona e Joël hanno un legame molto intenso, alimentato dalle continue cure che la madre ha fornito al figlio durante tutte le fasi della sua vita. Il titolo del film, Mon Inséparable, suggerisce appunto la difficoltà di Mona nel doversi “separare” dal figlio che invece sente essere una parte di sé. L’atteggiamento apprensivo e asfissiante però non è solo di Mona: anche Joël vive problematicamente l’esistenza di un altro uomo nella vita della madre, come dimostra lo scatto di rabbia rivoltole dopo aver scoperto, bruscamente, la sua nuova storia d’amore. Si tratta di una vera e propria co-dipendenza, un rapporto simbiotico che non permette a nessuno dei due di vivere individualmente e a pieno la propria vita sentimentale. Il legame di dipendenza che li lega si risolverà in una dinamica doppia e rispecchiante: mentre Mona si innamora svincolandosi emotivamente da Joël, quest’ultimo si sente libero d’esser padre e formare un proprio nucleo famigliare con Océane, giovane collega, anche lei con un disturbo intellettivo, della quale si innamora.
Da un punto di vista formale, la risoluzione della simbiosi, e dunque la progressiva e necessaria separazione tra madre e figlio, è riprodotta dal diverso posizionamento dei due corpi all’interno delle inquadrature: se nella prima parte Joël è filmato sempre in compagnia di Mona, come se fosse solamente una sua rappresentazione, nella seconda, di pari passo con l’aumento della sua indipendenza decisionale, si ritrova più spesso protagonista delle inquadrature, liberandosi, anche figurativamente, della presenza talvolta ingombrante della madre. Fin dall’inizio, infatti, nonostante si tratti di un film a due, Bailly evita l’abuso del campo contro campo durante i dialoghi, lasciando sempre disponibili dei punti di fuga dall’inquadratura, analogamente alla possibilità di fuga dal legame opprimente tra i due protagonisti.
Dagli stretti primi piani dei nervosi dialoghi o degli affettuosi abbracci tra madre e figlio, si passa a campi lunghi, simboleggianti momenti di distensione e rasserenamento, in cui anche le inquadrature sembrano poter finalmente respirare, affrancarsi dalla continua presenza simultanea dei due corpi: la sequenza in riva al mare, durante la gita che Mona decide di improvvisare, in cui Joël è ripreso di spalle in campo lungo; oppure, quel graduale movimento di macchina che riprende Joël dall’alto, circondato da estranei, il pomeriggio in cui si perde nella parata del paesino belga.
È evidente come Mon Inséparable abbia anche l’obiettivo della sensibilizzazione: la maternità, come afferma Bailly durante l’incontro con gli autori successivo alla proiezione, è un’idea proteiforme, mediante la quale si possono raccontare delle storie di disabilità tese a promuovere orientamenti sociali inclusivi, che permettano al “diverso” e all’“emarginato” di riappropriarsi del proprio progetto di vita.
L’attenzione alle prospettive di genitorialità delle persone disabili è difatti un problema urgente nelle residenze in cui essi vivono, spesso gestito prevaricando le loro relazioni, controllandole con dispositivi costrittivi (degli “impianti”, come quello installato nel corpo di Océane e poi rimosso perché troppo doloroso) allo scopo di bloccare ogni rapporto sia fisico che emotivo.
Il film si avvicina così alla realtà. Anche perché, sebbene Mon Inséparable sia un film di finzione, Bailly predilige dichiaratamente un approccio documentaristico verso i luoghi, le storie e le persone che incontra: l’idea della storia sorge grazie al tempo che la regista trascorre presso l’ESAT Ménilmontant, una struttura parigina che accoglie persone in situazioni di disabilità per sviluppare la loro capacità di integrazione mediante il lavoro. Questo “metodo di ricerca” talvolta si riversa nei modi di ripresa e nella costruzione dei dialoghi del film: si pensi, per esempio, alle riprese concitate e fuori fuoco del colloquio che i genitori dei ragazzi intrattengono con i consulenti del centro. Inoltre, ciò che accosta ancora di più il film al mondo reale è la presenza di Charles Peccia Galletto e Julie Froger, i due giovani attori disabili che interpretano Joël e Océane.
In conclusione, il primo lungometraggio di Bailly riesce perfettamente a coniugare le esigenze di sensibilizzazione con il piacere di filmare corpi in tensione tra loro, perché legati da travolgenti legami affettivi. Ricordiamo in chiusura la potenza evocativa della prima sequenza del film: due corpi nuotano nell’acqua di una piscina, incrociandosi e sfiorandosi. Sono i corpi di Mona e Joël, madre e figlio, immersi nel liquido indispensabile per l’esistenza umana, nel liquido che protegge, avvolge e consente il trasporto delle sostanze vitali. L’acqua dunque, e due corpi, che nuotano a ritmo di un battito cardiaco: la regista, in un solo colpo, in una sola sequenza, rappresenta l’essenza della cura, dell’amore, della vita.
Mon Inséparable. Regia: Anne-Sophie Bailly; sceneggiatura: Anne-Sophie Bailly; fotografia: Nader Chalhoub; montaggio: Quentin Sombsthay, François Quiquer; musiche: Tuomas Kantelinen; interpreti: Laure Calamy, Charles Peccia Galletto, Julie Froger; produzione: Les Films Pelléas; origine: Francia; durata: 95’; anno: 2024.