Alla fine del mese di marzo, mentre la guerra in Ucraina continua a evolvere mobilitando sempre meno attenzione mediatica e il genocidio in Palestina prosegue polarizzando il dibattito pubblico e intellettuale, un attacco jihadista colpisce Mosca, producendo un bilancio di quasi 140 vittime. Immediatamente si cercano i responsabili e, con sorpresa generale, arriva quasi immediatamente la rivendicazione dello Stato Islamico nel Khorasan (Iskp). La situazione che si profila è immediatamente paradossale per quanto riguarda la mediatizzazione dell’evento: da una parte, il nome del gruppo rende immediatamente riconoscibile il brand dello Stato Islamico, che si credeva ormai sconfitto; dall’altra, nessuno sembra sapersi spiegare da dove emerga questa nuova manifestazione della galassia jihadista. Ci ritroviamo così, esattamente com’era successo nell’estate del 2014, impreparati di fronte a una resurrezione che, per la verità, era assolutamente prevedibile.

Proprio a proposito dello Stato Islamico si è detto infatti che lo shock con il quale le sue immagini hanno colpito il nostro immaginario è sintomatico di una predisposizione culturale a ignorare i tratti di continuità nella storia del jihadismo, preferendo ritenere le sue manifestazioni una ciclica riemersione di follia omicida (cfr. Molin Friss 2015, pp. 725-746). Gli studi sullo Stato Islamico (IS) e sul jihadismo contemporaneo hanno invece sottolineato la necessità (al contempo teorica e, appunto, politica) di elaborare quadri di analisi complessi, che sappiano mostrare la storicità dei processi e le loro relazioni con l’evolvere dello scenario geopolitico. Se è senza dubbio vero, da questo punto di vista, che lo Stato Islamico ha saturato la mediasfera per alcuni anni e ha imposto un vero e proprio visual turn alla comunicazione jihadista, va soprattutto tenuto in considerazione il suo carattere adattivo e la sua natura ecosistemica (Baele et al. 2020). Il carattere più innovativo di IS da questo punto di vista ha in effetti proprio a che vedere con la sua capacità di modificare la propria immagine a seconda delle esigenze, come attesta ad esempio la trasformazione in video del Califfo al-Baghdadi da statista a capo militare nei mesi in cui le conquiste territoriali dello Stato venivano minacciate dagli attacchi della coalizione internazionale.

L’attentato alla Crocus City Hall apre però una nuova fase di visibilità per il franchise IS che, in modo simile a quanto accaduto per al-Qaeda, non esiste più in quanto entità isolata, ma si è ripensato come rete di organizzazioni più operative e relativamente indipendenti. Iskp è senza dubbio uno dei nodi più attivi della rete e manifestava una certa autonomia già durante il Califfato (Osman 2016) ed oggi è probabilmente il gruppo che meglio ha saputo assumere un ruolo di leadership in questa galassia dispersa. Lo conferma, ad esempio, la (relativa) regolarità delle uscite di “Voice of Khursan”, un magazine digitale che, sul modello delle riviste di IS “Dabiq” e “Rumiyah”, è ad oggi uno dei più pervasivi organi di diffusione dell’ideologia jihadista.

Il numero 34 della rivista, diffuso l’8 aprile, dedica sia la sua copertina che un articolo all’attacco in Russia. In The Bear Bewildered (2024, pp. 32-39) il “blessed raid” compiuto dai militanti viene salutato, come spesso avviene nella retorica jihadista, come l’inizio dell’inevitabile capitolazione dei nemici della comunità islamica. Se il testo riproduce senza particolari innovazioni alcune delle master narratives più ricorrenti nella comunicazione estremista (cfr. Halverson et al. 2011), è soprattutto la componente visiva a colpire per la sua incisività. Oltre ad un campionario di immagini di distruzione e morte che lavorano sulla costruzione vittimaria come elemento qualificante dell’identità jihadista (il vero credente accetta di far parte del “corpo santo” della Ummah proprio a partire dalla necessità di vendicare le sofferenze subite dai musulmani), sono soprattutto i volti tragici dei bambini musulmani ad essere convocati come vere e proprie icone del dolore, osservate passivamente e tramite degli schermi da una popolazione di orsi (un simbolo tipico per i cittadini russi). Chiude questo interessante reportage una infografica a pagina intera che riassume il bilancio dell’operazione: quattro soli militanti suicidi (ingimasi) sono riusciti ad uccidere o ferire più di 500 persone; un bilancio sanguinoso la cui riuscita, nella retorica jihadista, è segno della legittimità del progetto di vendetta.

Anche il medium video continua a rivestire un ruolo fondamentale nel progetto comunicativo di Iskp, che proprio attorno all’attacco in Russia ha costruito uno dei suoi prodotti più complessi da un punto di vista visivo. Se da un punto di vista strettamente tematico You Are Their Friends and We Are Their Enemies (13 aprile 2024) ripropone la struttura canonica delle argomentazioni jihadiste (differenza Noi/Loro; necessità di difendere la Ummah dagli attacchi dell’Occidente; urgenza di denunciare l’ipocrisia dei fedeli non autentici, ecc.). L’eccezionale lunghezza del prodotto (89 minuti complessivi) ne fa un oggetto estremamente interessante in quanto sintesi della retorica jihadista nel periodo post-IS; dall’altra, la sua struttura lo pone in diretta continuità con i grandi lungometraggi realizzati da al-Qaeda prima e dal Califfato poi. L’antecedente più prossimo è in effetti Flames of War (2014), film summa di tutti gli elementi chiave dell’ideologia di al-Baghdadi e del suo gruppo; come in quel caso aurorale, qui Iskp offre allo spettatore una insostenibile successione di scene di violenza, mettendo al centro dell’argomentazione l’assalto alla Crocus City Hall, che diventa il vero e proprio nucleo di irraggiamento delle varie linee argomentative. I frammenti di servizi giornalistici e le immagini a bassa definizione prese sul posto in condizioni di estremo pericolo sono utilizzate come attestazione di un successo militare, in un continuo riuso visuale che appare uno dei tratti qualificanti del mediascape jihadista.

Al di là della gravità dell’attacco, uno dei più sanguinosi della storia europea recente, questo caso dimostra ancora una volta come la focalizzazione esclusiva su alcuni conflitti tenda a far passare in secondo piano le connessioni esistenti fra vari teatri di guerra e la persistenza di fenomeni che, come il jihadismo, vengono ritenuti meno à la page in quanto – almeno in apparenza – non direttamente legati al contesto europeo e/o statunitense. La lezione che si sarebbe dovuta trarre dal caso di IS è invece proprio quella di non sottostimare le implicazioni profonde all’opera in varie parti del globo, anche in relazione ai fenomeni di mediatizzazione della realtà bellica.

Riferimenti bibliografici
The Bear Bewildered, in “Voices of Khurasan”, 34, Afghanistan-based Islamic State in Khurasan Province (ISKP) 2024.
S. J. Baele et al., ISIS Propaganda. A Full-Spectrum Extremist Message, Oxford University Press, New York 2020.
J. R. Halverson et al., Master Narratives of Islamist Extremism, Palgrave Macmillan, New York 2011.
S. Molin Friss, Beyond Antything We Have Ever Seen. Beheading Videos and the Visibility of Violence in the War Against ISIS, in “International Affairs”, vol. 91 no. 4, Oxford 2015.
B. Osman, The Islamic State in Khorsan: How It Began and Where It Stands Now in Nangarhar, in “Afghanistan Analysts Network”, 2016.

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