Prima che l’attuale situazione di pandemia prendesse il sopravvento tanto nell’attenzione mediatica quanto nel dibattito culturale, ad agitare la speculazione teorico-filosofica era, innanzitutto, la riflessione sulla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007, che ad oggi è ancora in corso, risultando ulteriormente aggravata dalle circostanze attuali. Eguale rilevanza aveva guadagnato, negli ultimi tempi, il dibattito sull’orizzonte temporale e interpretativo dell’Antropocene, sulla spinta – a livello di immaginario mediatico, almeno – dei nuovi movimenti di protesta che si concentrano sul climate change.
Ora, invece, le cronache culturali sembrano essere dominate dal ritorno al paradigma della biopolitica – principalmente rappresentato dalle opere di Michel Foucault e Giorgio Agamben – con l’apertura, allo stesso tempo, di un curioso scollamento tra la critica teorica e le sue opzioni interpretative e operative. Tra gli altri, ne hanno recentemente parlato, da posizioni diverse, Davide Grasso e Luca Illetterati, commentando una serie di interventi sulla biopolitica della pandemia firmati dallo stesso Agamben. Illetterati, ad esempio, ha puntualizzato in modo molto chiaro l’esigenza di «pensare e ripensare […] la sclerotizzazione delle nostre prassi discorsive dentro opposizioni» e, più in generale, tutte quelle tassonomie «che si reggono solo a partire dalla loro reciproca unilateralità».
Tuttavia, si è presentato un rischio più o meno analogo anche nel caso della tradizione marxista, quando questa è stata chiamata in causa a proposito della crisi economico-finanziaria globale. Vi si può rintracciare, in effetti, un simile accentramento para-divistico dell’iconografia: basti pensare alle copertine più volte dedicate a Karl Marx dal Times negli ultimi anni come icona di un posizionamento “critico” rispetto alle periodiche crisi del capitalismo – “critica” mai di caratura realmente politica o economica, e regolarmente disattesa dalla linea editoriale della rivista, alla quale si adatterebbero meglio, forse, le fisionomie di David Ricardo o di Milton Friedman. Anche la possibilità del discredito, basata sulla sclerotizzazione, nella contemporaneità, di alcune categorie del pensiero di Marx, è stata analoga.
L’antologia Marx revival, a cura di Marcello Musto, si può leggere innanzitutto come un intervento in questa direzione, volto a chiarire, come si legge nel sottotitolo, i concetti essenziali del pensiero di Marx, aprendoli nello stesso tempo a Nuove letture. Se la si sottrae alle contingenze dichiarate nell’introduzione – relative alle iniziative organizzate tra 2017 e 2018 in occasione del 150° anniversario della pubblicazione del Capitale e del bicentenario della nascita di Marx – è proprio questo il merito principale dell’antologia: la rilettura del corpus di opere del filosofo di Treviri può uscire dalle categorie più usate e abusate per suscitare nuove letture, autenticamente utili nella contemporaneità.
La struttura è, in effetti, quella di un glossario che ai 22 lemmi proposti – si va da Capitalismo e Comunismo a Tecnologia e scienza e alla declinazione plurale dei Marxismi, passando per Lotta di classe, Ecologia, Migrazioni, Globalizzazione, ecc. – associa un saggio compilato di volta in volta da firme autorevoli, per la curatela di Marcello Musto, già autore di vari contributi importanti tra i quali si possono ricordare, a titolo di esempio, Sulle tracce di un fantasma. L’opera di Karl Marx tra filologia e filosofia (2005) e i più recenti volumi in inglese, Marx for Today (2012) e Another Marx: Early Manuscripts to the International (2018).
La ricerca di un “altro Marx” che inequivocabilmente trapela in questi titoli è chiaramente esplicitata anche nel presente volume, risultando articolata secondo molteplici direttive: con l’inclusione di voci come Genere, Migrazioni, Ecologia, l’antologia si pone nell’ottica di un dialogo proficuo, per quanto implicito, con quelle aree disciplinari, riunite sotto la definizione di Studies (Gender Studies, Postcolonial Studies e Environmental Studies, in particolare), che spesso si sono confrontate con l’eredità marxiana e marxista allo scopo di un’appropriazione selettiva se non anche di un netto allontanamento.
Significativa, a questo proposito, l’assenza di un lemma specificamente dedicato alla Cultura, parzialmente colmata dalle riflessioni di Isabelle Garo sull’Arte, ad evidenziare un’associazione estremamente problematica con i Cultural Studies, nel contesto di quello che Marco Gatto ha autorevolmente definito Marxismo culturale. Allo stesso tempo, lo sdoppiamento dell’ottica sintetizzato nei concetti essenziali e nelle nuove letture non consente sempre di poter prendere posizioni compiutamente informate di quelli che sono stati gli ampi dibattiti “con” e “contro Marx” inaugurati “prima degli Studies” e poi sviluppati secondo varie direzioni da questi ultimi.
In questo senso, quando Heather Brown affronta la questione del genere/gender, si concentra innanzitutto sulla considerazione dialettica di Marx dell’istituzione della famiglia, dimostrando come «l’enfasi posta sul cambiamento dialettico port[i] a una critica sistematica delle forme contemporanee del patriarcato» (Musto 2019, p. 237) che sembra mancare a certi intendimenti post-strutturalisti del femminismo che – l’affermazione è fortemente apodittica – «non hanno saputo elaborare un femminismo anti-capitalista» (ivi, p. 221). Se in questa posizione si sentono gli echi delle questioni rimesse sul tavolo da Nancy Fraser a partire da Fortunes of Feminism (2013), sembra invece mancare, tra le varie possibili in ambito femminista marxista, una riflessione sull’esclusione generalizzata del lavoro domestico come lavoro non salariato dalla prospettiva politica dello stesso Marx – punto sul quale si concentra invece la recente antologia di scritti di Silvia Federici, Genere e Capitale (2020).
In effetti, anche altri saggi di Marx revival portano l’attenzione sul lavoro non salariato, ma soltanto nell’ambito delle relazioni storiche, prima ancora che politiche o culturali, tra lavoro non salariato in condizioni di schiavitù e lavoro salariato. Se ne occupano, ad esempio, Pietro Basso, a proposito di migrazioni, Seongjin Jeong, parlando di globalizzazione, Sandro Mezzadra e Ranabbir Samaddar, a proposito di colonialismo/postcolonialismo, e Immanuel Wallerstein, in merito alla pluralità dei marxismi storicamente determinati.
Senza incorrere nella riproposizione di una qualche forma di teleologia, i vari studiosi inquadrano tale rapporto nella storia dell’espansione del “mercato mondiale” – cogliendo la grande frequenza del lemma Weltmarkt nelle opere di Marx (ivi, p. 325) – nei termini già marxiani del “sistema combinato e diseguale”, dove la forza-lavoro migrante è costantemente ricostituita come “esercito di riserva”. Prospettiva certamente necessaria per inquadrare i vari fenomeni entro una più articolata critica dell’economia politica, essa non mostra, tuttavia, la capacità operativa necessaria per insistere su quei pensieri e pratiche dell’intersezione che hanno avuto origine dall’incontro tra le varie forme di femminismo e di resistenza anticoloniale, com’è stato messo in luce negli ambiti dei Postcolonial e Gender Studies. Lo ricorda, in modo molto sintetico, Immanuel Wallerstein alla fine del suo intervento e del libro nel suo insieme, scrivendo che «la trinità formata da razza, genere e classe è ancora un tema centrale nella ridefinizione del marxismo» (ivi, pp. 447).
Più organico appare l’intervento sull’Ecologia, ovvero sull’eco-socialismo, di John Bellamy Foster, forte di una già lunga e importante produzione scientifica in materia. La ricapitolazione storica dell’incontro tra marxismo ed ecologismo perviene infatti a una sintesi, se non convincente, certamente affascinante, per la quale le due posizioni si possono incontrare e fondersi una nell’altra, se si ricorda che «[p]er Marx il socialismo era una nuova forma rivoluzionaria di riproduzione metabolica sociale finalizzata alla realizzazione di bisogni comunitari, radicata in condizioni di sostanziale uguaglianza e di sostenibilità ecologica» (ivi, p. 217). Si tratta di una posizione condivisa, in linea di massima, anche da Michael Löwy nel capitolo dedicato alla Rivoluzione, ma non da Michael Krätke che ritiene «molto improbabile» l’ipotesi che Marx censurasse moralisticamente la «crescita senza limiti» (ivi, p. 24) del Capitalismo.
Lo ha rilevato, tra gli altri, Antonio Carioti nella breve e non lusinghiera recensione del volume per La Lettura, ma questo – lungi dal costituire un problema di coerenza in un libro dichiaratamente plurale – segnala più che altro la difficoltà di riprendere, nello spazio dei brevi saggi di venti pagine circa che compongono il libro, la complessità della tradizione marxista, che per secoli si è confrontata sui vari temi e, nel caso specifico, sull’assioma per il quale l’espansione della produzione costituisce un limite interno ai sistemi capitalisti. Egualmente fuori fuoco può essere considerata la recensione di Alfonso Berardinelli, pubblicata sul Foglio, secondo la quale è certamente utile tornare alla «straordinaria, anche se ambivalente, importanza» dell’opera di Marx, ma «guai a diventare marxisti».
Entrambe le posizioni si concentrano sullo iato, sempre classico, tra eredità marxiana e marxista – iato che invece il volume si propone di superare, o meglio riarticolare dialetticamente, con una via irta di difficoltà e comunque affascinante come quella della “rilettura contemporanea dei concetti essenziali” dell’opera di Marx. Cercando anzi di evitare la sclerotizzazione di molte categorie e dibattiti e il loro scollamento dal piano più strettamente operativo, Marx revival indica proprio la necessità di ripensare la vigenza contemporanea del nesso marxiano/marxista. Oggi è questo “l’altro spettro che si aggira per l’Europa”, insieme alla non-vita virale, da accostarsi utilmente, poi, ai ragionamenti con e contro il paradigma biopolitico.
In questo modo si può forse realizzare – declinando il “mondo della vita” secondo modalità ancor più specifiche e coscienti dei propri spettri – anche la dichiarazione programmatica con la quale Luca Illetterati conclude il suo intervento sulle ultime posizioni di Agamben in merito alla pandemia:
Pensare l’innaturalità della natura e la naturalità dello spirito, ovvero ripensare in dialogo con le scienze della natura la nozione stessa di natura e ripensare in dialogo con le scienze umane ciò che la tradizione chiamava il mondo dello spirito, ovvero l’ambito della libertà e dunque la dimensione intersoggettiva e propriamente politica, senza ridurre per questo l’una all’altra e tuttavia cogliendone i nessi proprio a partire dalla nozione di vita è forse uno dei compiti (ovvero, ancora una volta, delle vocazioni, dei doveri, delle funzioni, dei ruoli) a cui la filosofia è oggi più che mai chiamata (Illetterati 2020).
Riferimenti bibliografici
S. Federici, Genere e Capitale. Per una rilettura femminista, DeriveApprodi, Roma 2020.
M. Gatto, Marxismo culturale, Quodlibet, Macerata, 2012.
D. Grasso, Agamben, il coronavirus e lo stato di eccezione in “Minima et Moralia”, 2020.
L. Illetterati, Dal contagio alla vita. E ritorno. Ancora in margine alle parole di Agamben in “Le Parole e Le Cose”, 2020.
Marcello Musto, a cura di, Marx revival. Concetti essenziali e nuove letture, Donzelli Editore, Roma 2019.