La grande eredità intellettuale di Maria Montessori emerge chiaramente nelle numerose scuole che ne adottano il metodo. Le attività pedagogiche proposte esaltano i principi cardine della metodologia: il bambino è al centro del processo educativo, le sue inclinazioni vengono assecondate, i suoi bisogni emotivi e cognitivi ascoltati. Ogni allievo gode di una profonda fiducia e a tutti è sempre riconosciuta una grande dignità.

Meno evidente, oggi come allora, è il lavoro compiuto da Montessori fuori dalle Case dei Bambini, interamente volto a dar voce a quello che lei chiamò il «cittadino dimenticato». A ben guardare, Il Metodo della pedagogia scientifica, che portò Montessori alla ribalta della scena mondiale, nacque proprio dalle esperienze sviluppate con quei bambini per lo più ignorati, isolati, considerati dallo Stato come individui da contenere più che cittadini da educare. I piccoli frenastenici della Clinica Psichiatrica universitaria, accorpata al manicomio romano di Santa Maria della Pietà, così come i figli dei lavoratori di San Lorenzo, abbandonati a se stessi per giornate intere, furono i primi alunni della Casa dei Bambini. Storie di vita che si ritrovano e si riconoscono in altre esperienze nazionali e non: i “Gianni”, i figli dei contadini di Don Milani, i bambini di Trappeto protagonisti del libro Morrà di fame qualche altro bimbo quest’inverno di Danilo Dolci, gli oppressi di Paulo Freire. Piccoli emarginati che ebbero l’opportunità di vivere, proprio grazie al loro status sociale, esperienze trasformative. La stessa scuola Montessori, bella e stimolante ma soprattutto inclusiva e democratica, trova eco in quelle immaginate da Gianni Rodari e costruite dal Movimento di Cooperazione Educativa. Proprio da queste esperienze nasce, e delle stesse si nutre, la battaglia politica dell’educatrice di Chiaravalle a favore dei diritti dell’infanzia.

Vale la pena chiedersi per quale motivo il ricordo dell’esperienza montessoriana sia limitato ad alcuni semplici aspetti, come l’esplosione della scrittura e il materiale sensoriale, ma non includa quasi mai l’impegno dell’educatrice in materia di pacifismo e diritti infantili. Si può ipotizzare che la scelta di accettare i fondi del regime fascista per diffondere le sue scuole in Italia negli anni venti abbia inibito gli approfondimenti teorici sul più ampio lavoro svolto da Montessori a livello internazionale. O forse, al contrario, potrebbe averla penalizzata la sua costante e dichiarata astensione da qualsiasi partito politico, ad esclusione di quello dell’infanzia. O, ancora, il problema potrebbe nascere dal fatto che, al di fuori delle organizzazioni montessoriane, nessuna scuola pubblica si sia fatta erede della sua pedagogia e che la maggior parte delle scuole Montessori siano private o che, a parte qualche felice eccezione, accolgano i figli di coloro che possono permettersi il lusso di occuparsi direttamente e attivamente dell’educazione della prole. Le motivazioni sono molteplici e in parte confuse. Ciò che resta invariata, tuttavia, è la conclusione: Montessori è ricordata solo per il metodo, la riflessione teorica e politica sviluppata dall’educatrice in merito ai diritti dell’infanzia resta a oggi, per la maggior parte, un territorio inesplorato.

Il paradosso che appare evidente è che il metodo nacque proprio da una pedagogia dell’emergenza, da una situazione sociale molto simile a quello che stiamo affrontando noi tutti oggi a causa della pandemia. La rivoluzione pedagogica montessoriana prese le mosse proprio dai bambini in difficoltà, dal recupero di coloro che vivevano ai margini della società, attraverso una scuola pronta ad aprirsi ai fanciulli e alle loro famiglie, eretta a baluardo contro le ingiustizie sociali e che, nel tempo, avrebbe arginato il protrarsi dello svantaggio sia economico sia di genere. È il caso dei bambini dell’Agro Romano, dove «drappelli di maestri, che in bicicletta, in carrettino, a piedi, si sparg[evano] con ogni tempo, allorché annotta nella deserta tenebra dell’Agro per recarsi a fare scuola nelle guitterie e nelle capanne» a cui Montessori si dedicò insieme ad Alessandro Marcucci, Giovanni Cena, Sibilla Aleramo, Anna Fraentzel Celli e Angelo Celli all’inizio del ‘900. Così anche per i sessanta orfani del terremoto di Messina e Reggio Calabria, che la pedagogista di Chiaravalle educò in un convento nel 1910.

A partire da quella che Montessori definisce una pedagogia riparatrice i bambini possono diventare portatori di cambiamento. La scuola è quindi luogo trasformativo per lo studente che a sua volta diventerà poi perno della ricostruzione. Quest’ultima è un’idea duttile per Montessori, che si adatta ai molti contesti in cui operò, tra cui il Belgio occupato nei primi mesi della Grande Guerra, l’Europa a brandelli del secondo periodo post-bellico, fino ai quartieri disagiati dell’India sud-orientale. Ma questa ricostruzione non è completa senza un lavoro che raggiunga anche le istituzioni politiche. Nel corso degli anni ’30, Montessori decise di parlare apertamente del ruolo delle istituzioni nella crescita del fanciullo. Secondo l’educatrice, fino ad allora la società degli adulti non aveva riconosciuto quella dei bambini. Vi erano stati progressi per i diritti degli adulti ma la vita dei fanciulli e i loro bisogni erano rimasti appannaggio del pater familias, senza che né questo né altri membri della famiglia fossero istruiti su come soddisfare tali esigenze. La vita del bambino, denunciava Montessori, si divideva tra due autorità assolute e dominanti: l’insegnante e il padre. Senza diritti, la loro esistenza era paragonabile a quella di uno schiavo. Al contrario, secondo Montessori:

Il bambino ha una funzione fondamentale per la costruzione umana. Se si sono riconosciuti la dignità e i diritti degli operai, bisogna riconoscere la dignità del lavoratore che produce l’uomo. In base a questa affermazione di dignità dobbiamo assicurare al bambino il diritto e la libertà di crescere e di svilupparsi in pieno rigoglio perché egli possa contribuire con tutte le sue facoltà al progresso umano, assolvendo così il compito che la natura gli ha affidato.

Alcune delle battaglie portate avanti da Montessori per il riconoscimento dei diritti dell’infanzia sono state vinte. I suoi messaggi sono stati in parte integrati nelle mozioni di organizzazioni internazionali e, a volte, nelle legislazioni dei singoli stati. A trentuno anni dalla ratificazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, le richieste di Montessori trovano una risposta nel riconoscimento, in forma coerente, di tutti i bambini e tutte le bambine del mondo come titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici.

La crisi legata al Covid-19 ci ricorda però di quanto i diritti dell’infanzia abbiamo spesso ottenuto solo un riconoscimento nominale. Di fatto, poche sono state le nazioni che hanno effettuato cambiamenti legislativi radicali a seguito della ratifica della convenzione. Il Ministero dell’Infanzia, organo per la tutela dei diritti dei bambini che Montessori lottò per creare negli anni ’30 e ’40, è stato costituito soltanto in pochi paesi dove ha spesso scarse possibilità di produrre cambiamenti effettivi. In Italia, l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza raramente coinvolge direttamente i fanciulli nei processi decisionali. Iniziative di partecipazione politica dell’infanzia quali il Movimento Nacional de Meninos e le Meninas de Rua in Brasile sono rare ma forniscono dati interessanti sul miglioramento delle politiche per le comunità.

La pandemia rischia di aggravare fenomeni preesistenti, quali quello della povertà educativa: un aumento vertiginoso degli abbandoni scolastici a causa della mancanza di mezzi in molte famiglie per accedere alla didattica a distanza, la difficoltà di trovare spazi adeguati per seguire le lezioni, e la generale crisi economica mettono in luce le nuove “zone rosse” della povertà minorile e dell’istruzione. Basandosi sulle infinite potenzialità del bambino, Montessori partì da una pedagogia dell’emergenza che può aiutare anche noi a ripensare un nuovo inizio.

Riferimenti bibliografici
A. Marcucci, L’apostolato educativo di Giovanni Cena, in Roma: Le scuole per i contadini dell’agro romano e delle paludi pontine, 1928.
M. Montessori, Il cittadino dimenticato, in “Vita dell’infanzia”, n.6, luglio-agosto 2002.

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