Nella nuova serie Netflix diretta da Hirokazu Kore-eda non succede nulla, o meglio, succede la vita, il suo svolgimento quotidiano, le amicizie, i sentimenti, le scelte piccole e grandi che ognuno è chiamato a compiere nel corso della propria esistenza. Solo che qui siamo nell’atmosfera ovattata e senza tempo di uno yakata, il luogo a Kyoto dove si addestrano le maiko, cioè le aspiranti geishe (geiko nel dialetto di Kyoto). Lontanissima dall’orientalismo di Memorie di una geisha (Marshall 2005), la serie racconta la vita delle maiko, ragazze adolescenti che decidono di studiare come geishe, cioè danzatrici e custodi di arti performative tradizionali.

Come sostiene Jan Bardsley, la maiko incarna la tradizione – tenendo in vita pratiche artistiche di lunga data come la danza – e, allo stesso tempo, la modernità – diventando un’icona positiva della cultura popolare, sia come marchio turistico e di soft power sia come esempio dei valori morali giapponesi (Bardsley 2021, p. 7). Kore-eda adatta per la serialità televisiva il manga di Aiko Koyama, chiamato Maiko-san chi no makanai-san, uscito nel 2016 e popolarissimo in Giappone, riprendendone il tema centrale: la correlazione tra cibo, cultura e cura, sulla scia di Midnight Diner (2009), un’altra serie Netflix basata su un manga culinario di successo, La taverna di mezzanotte di Yarō Abe.

In Makanai, il cibo diventa parte del destino delle due protagoniste, Sumire e Kiyo, due sedicenni di Aomori che hanno deciso di diventare geishe dopo aver visto Momoko, la più famosa geisha di Kyoto, durante un viaggio scolastico. Sumire e Kiyo sono legatissime, si curano l’una dell’altra, sono felici quando l’altra è felice in un modo che è raro vedere rappresentato sullo schermo, soprattutto quando si parla di adolescenti. Nelle storie di amicizia adolescenziale siamo abituati a seguire l’emergere progressivo di un conflitto e la sua eventuale risoluzione. In Makanai, invece, il conflitto, se così si può chiamare, arriva immediatamente: Sumire è un talento naturale e le sue rigorose insegnanti possono già intuire che diventerà una splendida geisha. Kiyo, invece, è goffa, distratta, fuori ritmo e fuori tempo. Sembra non ci sia posto per lei tra le maiko.

Ma Makanai non è un dramma, è una storia d’amore: in questo caso, l’amore per la cucina, per il cibo, e soprattutto per far stare bene le persone, farà diventare Kiyo la makanai del titolo, cioè colei che prepara il cibo per le abitanti dello yakata, la casa in cui le maiko vivono insieme alle loro responsabili e imparano a camminare, parlare, danzare e muoversi come geishe. I rapporti delle donne della casa sono basati sulla gerarchia familiare: le insegnanti vengono chiamate madri, le aspiranti geishe sorelle. Ritorna quindi nella serie la fascinazione/ossessione di Kore-eda per i legami familiari atipici, che sia l’innesto di un “corpo estraneo” all’interno della famiglia tradizionale, come in Father and Son (2013) o Little Sister (2015), oppure la costruzione di famiglie unite dalla scelta di stare insieme e non dalle relazioni di sangue, come in Un affare di famiglia (2018) o Le buone stelle (2022).

Nella famiglia allargata delle maiko, il compito della makanai è, come spiega l’esperta Sachiko a Kiyo, preparare cibi “normali” per tutte, il che significa aver cura delle esigenze, delle memorie, della vita e dei desideri di ciascuna di loro. Il gusto del cibo, infatti, costruisce una complessa interazione «tra emozioni ed esperienze soggettive e fenomeni oggettivi che fanno parte dell’atto alimentare» (Ashkenazi, Jacob 2013, p. 8). Ognuno dei pasti che Kiyo cucina in ogni episodio è parte dell’intreccio narrativo e dell’evoluzione della storia dei personaggi, evocando in ognuno di loro sentimenti ed emozioni individuali basati sull’esperienza e sulla memoria.

Cibo e cura sono dunque i temi centrali della serie, perché per Kiyo il prendersi cura delle altre è l’essenza stessa del vivere felice. Dotata di fortissima empatia, i suoi piatti, diversi ad ogni episodio, riescono a fare emergere le emozioni spesso tenute nascoste delle maiko, in una società, quella giapponese, che evita gli estremi emotivi e l’ostentazione dei sentimenti. Non ci sono grandi drammi, nella serie. Anche le scelte più sofferte, come quelle della geisha Momoko di dire addio ad un amore o quella di Tsurukoma di rinunciare a diventare una geiko, si stemperano nella comunione e sorellanza con le altre maiko, che sostengono e condividono il peso delle decisioni che ognuna prende nella vita quotidiana.

Episodio dopo episodio, l’attenzione che Kiyo dedica alle sue “sorelle”, fatta di comfort food e di ingredienti scelti con amore, riproduce quella che The Care Manifesto chiama la “cura promiscua” (Chatzidakis et al. 2020). Teorizzata a partire dalle pratiche della comunità gay statunitense durante l’epidemia di AIDS, la cura promiscua si presenta come l’antidoto al sistema neoliberista che ci vuole monadi indipendenti e non correlate, invece che esseri sociali e interdipendenti. La cura promiscua è l’attenzione che si ha gli uni per le altre, al di là delle relazioni di sangue, una cura indiscriminata perché non discrimina nessuno.

È dunque Kiyo, l’elemento estraneo che irrompe nel mondo strutturato delle geishe, a insegnare ad allieve e insegnanti come si fa a voler bene: ogni scelta, dalle verdure al mercato fino al piatto da cucinare, è fatta con in mente la preoccupazione per la felicità e la serenità delle persone che la circondano. E in cambio anche le maiko più conformiste e le geishe più ambiziose imparano a uscire dal loro isolamento e ad apprezzare la diversità e l’unicità delle persone con cui sono in relazione.

In fondo, Hirokazu Kore-eda mostra che siamo tutti weird, strani e strane, ognuno con le proprie idiosincrasie, paure e desideri. Come nell’ottavo episodio, in cui la geisha Momoko, sempre algida e altera, dà libero sfogo alla sua passione per i film di Romero allestendo uno spettacolo e costringendo le maiko a recitare da zombie. E quando la rivalità tra lei e la geisha Yoshino sembra ormai esplodere, è la deliziosa zuppa di Kiyo a insegnare che ognuna è importante, perché è l’equilibrio dei diversi cibi a dare al brodo il suo sapore. Makanai è un piccolo miracolo, la messa in forma di quello che The Care Manifesto auspica: la costruzione di uno stato permanente di cura, a partire dalla consapevolezza della nostra rispettiva interdipendenza.

Riferimenti bibliografici
M. Ashkenazi, J. Jacob, The essence of Japanese cuisine: An essay on food and culture, University of Pennsylvania Press, Pennsylvania 2013.
J. Bardsley, Maiko Masquerade: Crafting Geisha Girlhood in Japan, University of California Press, California 2021.
A. Chatzidakis, J. Hakim, J. Littler, C. Rottenberg, L. Segal, The care manifesto: The politics of interdependence, Verso, London-New York 2020.

The Makanai: Cooking for the Maiko House; regia: Hirokazu Kore-eda; sceneggiatura: Hirokazu Kore-eda; interpreti: Yuuki Luna, Harrison Xu, Bella Asali, Heather Muriel Nguyen, Keisuke Hoashi; produzione: Netflix; distribuzione: Netflix; origine: Giappone; anno: 2023.

Tags     cibo, cura, Kore-eda
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