Seduto tra i rami di un vecchio albero in campagna, un giovane osserva suo nonno raccogliere delle noci, mentre nostalgicamente l’uomo gli racconta delle sue imprese sportive, compiute in un passato ormai lontano. L’orizzonte preannuncia l’arrivo di una tempesta, costringendo i due, in compagnia del loro fedele compagno a quattro zampe, a correre attraverso le sterpaglie, per tornare rapidamente in casa. Un inizio apparentemente idilliaco che, in realtà, rappresenta una fine, quella della serenità di Stefan. Con questa sequenza si apre Lost Country, la nuova pellicola di Vladimir Perišić, un’opera intrisa di significati metaforici e simbolismi che si sveleranno progressivamente durante la narrazione.

Il regista serbo torna a firmare un lungometraggio dopo ben quattordici anni dall’uscita del precedente Ordinary People (2009), con cui ha trionfato al Sarajevo Film Festival ed al Miami International Film Festival. Lost Country, presentato alla Settimana della Critica di Cannes e pochi giorni fa in anteprima italiana al Trieste Film Festival, segue da vicino la storia di Stefan, quindicenne serbo che si trova ad affrontare la difficile fase adolescenziale in un contesto segnato dalle proteste del 1996 a Belgrado. Il partito socialista di Milošević ha perso i consensi di molte città chiave, ma rifiuta di accettare la sconfitta contro l’opposizione. Oltre al disagio di un periodo così traumatico, Stefan è diviso tra due nuclei che gli stanno molto a cuore: da un lato gli amici di sempre; dall’altro la propria famiglia, socialista da generazioni

Il film è frutto dell’esperienza personale di Perišić, che oltre a vivere quel periodo in prima persona, ricorda l’esperienza della madre che era stata impiegata negli uffici del presidente Milošević, proprio come quella del protagonista. Non è la prima volta che il contesto storico turbolento della Serbia degli anni ’90 influenza il lavoro del regista serbo, basta ricordare il già citato Ordinary People, film caratterizzato da un crudo realismo. Quello che invece sembra contraddistinguere questo nuovo lavoro è la presenza di una forte componente autobiografica, per mezzo della quale viene mossa una critica alla condotta degli uomini del governo di quegli anni.

In Lost Country, Perišić gioca con un dualismo persistente: lo scontro tra governo ed opposizione simboleggia la disputa interiore che vive Stefan. Il giovane osserva frequentemente sua madre Marklena – nome frutto della contrazione tra Marx e Lenin – apparire in televisione. I suoi amici invece sono attivisti militanti, che girano per la città con l’obiettivo di mettere in evidenza l’assurdità del regime vigente e le violenze esercitate con lo scopo di far tacere gli oppositori. Trovarsi in mezzo a due poli di natura nettamente contrastante non è affatto cosa semplice, specie se ciò avviene nel tribolato periodo dell’adolescenza. Stefan si trova coinvolto in questa lacerante conflittualità, che fa sempre più fatica a reggere sulle proprie spalle. Man mano che la situazione si complica, si vede attorniare da sguardi pieni di disprezzo e le convinzioni sulla propria famiglia iniziano poco per volta a crollare. 

Centrale è il personaggio della madre, con la quale Stefan ha un rapporto molto forte. I due si scambiano attimi di tenerezza fugaci, nonostante la continua assenza della donna lo porti a vivere gran parte delle sue giornate da solo. Il ragazzo la difende a spada tratta, ma giorno dopo giorno in lui iniziano a sorgere perplessità sulle sue attività politiche. A questo proposito è significativa la scena in cui, nel bel mezzo della notte, Stefan osserva sua madre dormire ed il suo volto è diviso a metà dall’ombra, quasi come il dilemma che lo attanaglia. È combattuto tra l’innocente amore per la donna che lo ha cresciuto e la tenebrosa consapevolezza che lei stia causando gravi danni al suo paese ed alle persone a lui vicine e non sia in realtà la persona che pensa di conoscere.

È nel momento in cui si avvicina ad una giovane attivista delle proteste – a cui prova a nascondere ciò di cui tanto sembra vergognarsi – che la sua presa di coscienza inizia dolorosamente a prendere piede, malgrado i suoi inutili sforzi per resistere al martellante peso della realtà.  “Non è colpa sua”, questo Stefan ripete, quasi ossessivamente, ai suoi amici, nel tentativo, disperato quanto sterile, di salvaguardare l’ormai compromessa figura materna. Il giovane si rifiuta di accettare i consigli dei suoi amici, che lo allontanano, convincendosi che il suo fare protettivo nei confronti della madre celi, in realtà, un velato consenso verso l’operato politico della donna. Con Lost Country, Perišić racconta anche una storia di emarginazione sociale nella quale la significazione metaforica è sorretta da un’abile messa in scena. Vediamo l’espressione massima di questo aspetto in una scena in particolare, che rende al meglio l’idea del dramma che il giovane sta vivendo.  Nel corso della partita di pallanuoto, Stefan nuota nervosamente avanti ed indietro nelle acque della piscina, avvolto dal silenzioso frastuono dei suoi pensieri.  È evitato da tutti, quasi come se fosse invisibile, riuscendo a fatica a tenersi a galla. Nonostante i suoi sforzi, i tentativi di convincere i compagni di squadra a passargli la palla si rivelano tristemente vani.

Presto esploderà la sua rabbia, che si ripercuoterà sulla madre e su chi tenterà di mostrargli un briciolo di sostegno. Ed è qui che torniamo dove il film ha avuto inizio: la casa dei nonni, che tanta spensieratezza aveva trasmesso in apertura, diventa verso il finale una trappola, un covo di socialisti che si rifugia lì, lontano dai tumulti cittadini. È quello stesso socialismo che ha rovinato la vita di Stefan e da cui lui scappa in preda alla rabbia, recandosi proprio alla manifestazione di protesta, quasi come un urlo di ribellione verso la sua famiglia, nei confronti della quale ha perso tutta la sua cieca fiducia. Sempre più consapevole dell’operato corrotto di sua madre, il giovane tenterà di scusarsi con i suoi – non più – amici, venendo però bruscamente scacciato. Ormai privo di certezze e punti di riferimento, si sente da solo a combattere contro tutti ed è proprio qui che Perišić ci regala l’ultimo, forte, elemento metaforico. Come dei macigni insopportabili da sorreggere sulle proprie spalle, le nuove consapevolezze e la delusione delle vecchie convinzioni portano Stefan ad annegare, in solitudine, nelle profonde acque del suo smarrimento. Ha miseramente perso la sua guerra, senza che nessuno provasse ad impedirlo.

Lost Country. Regia: Vladimir Perišić; sceneggiatura: Vladimir Perišić; fotografia: Sarah Blum, Louise Botkay-Courcier; montaggio: Martial Salomon; interpreti: Jovan Ginic, Jasna Đuričić, Miodrag Jovanović, Lazar Ković, Pavle Cemerikic; produzione: Easy Riders Films, KinoElektron, Trilema Films, Kinorama, Red Lion, ARTE France Cinéma, Cosmodigital; distribuzione: Rezo Films; origine: Serbia, Francia, Croazia, Lussemburgo; durata: 98’; anno: 2023.
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