Disteso a terra in un carcere romano, Caravaggio è sporco e pieno di ferite. Il suo corpo è ammassato insieme a quello di tanti altri che sono costretti a passare la notte rinchiusi. Tra questi, c’è un uomo che attira la sua attenzione; in una cella isolata, Giordano Bruno diffonde il suo pensiero sull’esistenza degli spazi infiniti del cosmo, e per fare ciò gli è congeniale l’utilizzo di una lingua libera che unisce il dialetto napoletano all’utilizzo di anglicismi. L’accostamento alla figura eretica di Giordano Bruno sarà ribadito nel monologo pronunciato dalla voce fuori campo di Caravaggio, alla fine del film, che ricalca il dialogo filosofico De l’infinito, universo e mondi. È a partire da questo incontro ideale che prende forma la biografia di Caravaggio, così com’è stata delineata da Michele Placido nel suo ultimo film.
Nella finzione, la vita di Caravaggio è oggetto di un’indagine commissionata da Papa Paolo V ad un misterioso inquisitore, noto come “L’ombra”, con lo scopo di stabilire se l’artista sia degno della sua grazia. Questo meccanismo attiva una narrazione centripeta che, a partire dalla figura di Caravaggio, si dedica a esplorare le storie di coloro che l’hanno conosciuto. L’inserimento dell’elemento finzionale permette inoltre di enfatizzare il conflitto tra l’artista e le forze repressive del clima della Controriforma.
Come evidenziato da Giacomo Tagliani, la declinazione politica del biopic ha una sua sede privilegiata nel cinema italiano, in cui sono sempre più presenti opere «dedicate a figure che condividono un tratto ben definito, l’essere cioè ciascuna l’incarnazione di una specifica immagine del potere» (Tagliani 2019). È di grande interesse che questa vasta produzione biografica non si limiti al ritratto di «rappresentanti della scena politica mondiale», ma finisca per includere anche «personaggi dotati di un’identità visiva riconoscibile, cesellata nel tempo, che si sovrappone alla mera apparenza esteriore e in qualche modo a loro sopravvive, dopo la morte politica e fisica» (ibidem).
Ancorandosi all’immagine cristallizzata del personaggio storico, l’attore protagonista Riccardo Scamarcio esibisce una notevole somiglianza fisica agli autoritratti del pittore, tra cui la testa di Golia che ritorna più volte nel film, e il noto ritratto a pastelli lasciato da Ottavio Leoni. Per questo motivo, nonostante il film copra un arco temporale che supera il decennio, l’interpretazione di Scamarcio sembra avvenire in un eterno presente; i cambiamenti più drastici si verificano solo nelle scene che corrispondono all’ultimo periodo della vita del pittore, quando questi si trova in fuga, e si fa cenno alla malattia che lo affligge nonché alla sua fragile condizione psichica.
Com’è stato già notato, il mondo di Caravaggio prende forma ricorrendo ad un immaginario artistico diffuso. In questo senso la festa organizzata dal Cardinal del Monte nel suo palazzo si configura seguendo lo schema pittorico del Parnaso, mentre la scena in prigione riprende l’atmosfera della Liberazione di Pietro del Raffaello delle Stanze Vaticane. Gli esterni sono stati girati tra scorci e rovine romane, mentre gli interni, in particolare lo studio del pittore, sono spazi scuri, illuminati da fonti come il lume di una candela o la luce naturale di una finestra, motivando così a livello storico l’adozione di una delle tecniche più note del pittore. La colonna sonora degli Oragravity (duo formato da Umberto Iervolino e Federica Luna Vincenti) si discosta dalla musica filologica del barocco per adottare delle sonorità elettroniche dinamiche e dissonanti, che mantengono comunque delle suggestioni classiche nell’utilizzo degli archi.
Nel caso specifico della biografia d’artista, le opere sopravvissute svolgono una funzione documentaria a partire della quale è possibile tradurre in modo intuitivo quello che è stato il loro orizzonte referenziale. Questa operazione mimetica è portata agli estremi con l’allestimento di tableaux vivants delle opere di Caravaggio, in particolare quello della Morte della Vergine. Dopo una serie di tentativi fallimentari di rappresentare la Madonna, l’ispirazione è offerta come in altre occasioni dal “vero”, e la scena presenta una collocazione dei personaggi che avviene in modo spontaneo, come atto di pietà verso una prostituta annegata nel fiume, da parte del gruppo di emarginati che erano soliti posare per il pittore. Si tratta di un momento di grande emotività in cui la musica inizia a scomparire in fade out, per lasciare solo il silenzio, il rumore del respiro e dello spostarsi dei corpi.
La rilocazione delle opere dell’artista in un nuovo medium e all’interno di un preciso contesto politico, morale ed estetico risponde ad un atteggiamento contemporaneo che trova nel corpus dell’artista un «Caravaggio umanitario» (Zucconi 2018) quale potente modello iconografico utilizzato per rappresentare la sofferenza e il dolore. L’esistenza precaria dei soggetti dipinti da Caravaggio è così anch’essa inquadrata secondo uno schema che veicola la loro alterità e impotenza rispetto ad un potere soffocante, suscitando forti emozioni e sentimenti morali. Il Caravaggio in carcere, il Caravaggio inseguito e perseguitato, il Caravaggio della povera gente, sono alcune delle rappresentazioni offerte da Placido finalizzate a un ritratto dell’artista come animale necessariamente politico.
Riferimenti bibliografici
G. Tagliani, Biografie della nazione. Vita, storia, politica nel biopic italiano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019.
F. Zucconi, Displacing Caravaggio. Art, Media and Humanitarian Visual Culture, Palgrave Macmillan, Londra 2018.
L’ombra di Caravaggio. Regia: Michele Placido; sceneggiatura: Michele Placido, Fidel Signorile, Sandro Petraglia; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Consuelo Catucci; musiche: Umberto Iervolino, Federica Vincenti; interpreti: Riccardo Scamarcio, Louis Garrel, Isabelle Huppert, Michele Placido, Micaela Ramazzotti; produzione: Goldenart Production, Rai Cinema, Mact Productions, Le Pacte; origine: Italia, Francia; durata: 119′; anno: 2022.