Probabilmente non si riferiva al solo cinema Federico Fellini quando dichiarò che “L’unico vero realista è il visionario”. Nella storia d’Italia i grandi maestri dell’immagine (pittori, registi, fotografi, direttori della fotografia, illustratori) sono stati spesso consapevoli di essere portatori di una cultura visiva di lungo periodo, e specificamente italiana. Una visualità in cui realtà e immaginazione hanno imparato presto a convivere. Anche il nostro paesaggio è stato storicamente costruito come un’immagine, disegnato negli occhi dei suoi abitanti, dal vescovo al contadino, prima di essere realizzato e condiviso; un’immagine, dunque, che ci esprime, per questo ogni sua violazione dovrebbe essere da tutti considerata come un’aggressione alla nostra stessa identità.

Il paesaggio italiano inteso come “luogo identitario della nostra cultura” e allo stesso tempo come terreno di esperienze artistiche, è proprio l’oggetto della mostra L’Italia è un desiderio. Fotografie, Paesaggi e Visioni (1842-2022)Le collezioni Alinari e Mufoco, da poco inaugurata a Roma presso le Scuderie del Quirinale. Seicento fotografie (dagherrotipi, negativi su carta e su vetro, diapositive, lastre, autocromie, stampe fine art) si susseguono in un percorso cronologico non obbligato, con allestimenti attentamente curati che ne valorizzano la preziosità archivistica e anche quella materialità che per l’immagine ottica è divenuta, in era digitale, oggetto di un nuovo interesse da parte degli studi internazionali. Non sono dunque trascurate le tecniche, che in quasi duecento anni di storia hanno rappresentato esse stesse tante differenti occasioni espressive, e numerose sono le “scintille” suggerite, corti circuiti tra collezioni, autori e contesti: scelte grafiche o linguaggi sono messi a confronto attraverso accostamenti anacronistici volti a sottolineare come un’inarrestabile capacità di sperimentare appartenga al mezzo fotografico fin dalle sue origini.

Ma obiettivo della mostra è anche quello di ampliare il concetto di paesaggio «introducendo dimensioni immateriali – psicologiche, poetiche, politiche – che ne operano una continua rilettura o reinvenzione» (Balduzzi, Scartoni 2023, p.18). Si tratta di categorie note a chi si occupi delle immagini nella loro dimensione narrativa, dal romanzo al cinema, meno scontate in ambito fotografico.

La scelta della categoria del “desiderio” per raccontare una storia visuale che si svolge tra realismo e visionarietà sembra allora particolarmente indicata. L’Italia desiderata indicata dal titolo vuole sottolineare la tensione tra un passato straordinario e virtuoso (o immaginato tale) e un presente corrotto, espressione di una modernità selvaggia. Per Claudio Strinati il paesaggio italiano è certamente un desiderio, sia a livello storico che psicologico, ma forse, aggiunge, soprattutto un rimpianto, a cui però la fotografia è in grado di conferire la vitalità di un ricordo vivo: a differenza di quell’eterno presente che attribuiamo all’immagine pittorica, la fotografia “è il passato”.

La mostra è anche l’occasione per una riflessione sulla cultura fotografica italiana in un contesto che sta cambiando. Pensare alle nostre istituzioni fotografiche come “sistema” è l’obiettivo che si pone Giorgio Van Straten, presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia, creata nel 2020 dalla Regione Toscana per la conservazione e la valorizzazione dei cinque milioni di immagini di uno dei principali archivi fotografici del mondo. La scelta pubblica naturalmente è la più indicata per garantire la tutela e la conoscenza di un oggetto riconosciuto come bene culturale da più di due decenni, e anche il Museo di Fotografia Contemporanea – Mufoco, nato nel 2004 e proprietario di due milioni di immagini, si pone infatti questi obiettivi. Solo con queste premesse il rapporto con i numerosi soggetti privati che in Italia conservano immagini ottiche può conseguentemente diventare virtuoso e collaborativo, senza contare che ne risulterebbe incoraggiata anche la ricerca: non da molto infatti la fotografia, anche come disciplina accademica, gode di una nuova attenzione anche in Italia. Inutile ricordare poi quanto gli archivi, al pari del paesaggio, siano custodi ed espressione viva della nostra identità.

Vale però la pena riflettere brevemente sulla nostra storia per capire se il paesaggio italiano possa ancora oggi essere considerato un portatore di valori, di quale identità cioè esso sia espressione.

Ci sono molti modi per modificare lo spazio naturale, per renderlo il palcoscenico delle vicende degli uomini: «Lo spazio sociale – suggerisce Salvatore Settis – avvolge e determina il corpo dell’individuo, vi genera percezioni e rappresentazioni, un ordine di valori, gli strati della memoria, vi radica le esperienze dell’oggi e le speranze del domani: per converso, percezioni e aspettative individuali si riflettono sullo spazio fisico e sociale, contribuiscono a modellarlo» (Settis 2010, pp. 51-52). Se in secoli di insuperabili e spesso feroci divisioni, nel medioevo e nell’età moderna, gli italiani hanno saputo condividere un codice comune del paesaggio, trasformando lo spazio in uno specchio della loro identità collettiva, la modernità, a cui peraltro appartiene la stessa fotografia, ha progressivamente alterato questo equilibrio.

Lo choc rappresentato dalla fotografia per l’osservatore ottocentesco si inserisce dunque con le sue proprie logiche in questa vicenda. Innanzitutto fin dalla sua comparsa essa è stata capace di sconvolgere oppure consolidare cliché rappresentativi. L’esperienza del Grand tour in versione fotografica, ad esempio, accredita una visione “desiderata” di paesaggio italiano – naturale, urbano e umano – con tutto il corollario romantico che nel frattempo la stessa fotografia si incarica di smentire, spesso riportando l’osservatore, sia pure attraverso semplici dettagli, a una dimensione di crudo e prosaico realismo. È un’Italia che fatica ad essere riconosciuta come “contemporanea” agli occhi di stranieri che partono da casa con una visione idealizzata che vogliono ritrovare almeno nelle immagini, e non sono disposti ad accettare le incongrue ciminiere di una sia pur ancora lontana industrializzazione (quella ad esempio camuffata da perno metallico di una colonna romana in una fotografia di Pompeo Molins).

Ma c’è anche un’altra storia, quella dei Fratelli Alinari, primi grandi classificatori consapevoli del nostro patrimonio culturale, artistico e paesaggistico. Il loro metodo “scientifico” si applica alla forma come al contenuto: gli Alinari ci mostrano, si può dire per l’ultima volta integralmente, il “nostro” paesaggio, quello costruito dall’uomo con gli elementi della natura e dell’architettura, un paesaggio che attraverso l’obiettivo si fa memoria comune. È una unità d’Italia in forma fotografica di grande importanza storica, in cui convergono in un unico progetto il paesaggio e l’archivio come elementi fondativi di identità.

Una sensibilità che trova ancora interpreti nei primi decenni del Novecento e una straordinaria e rivoluzionaria interpretazione giuridica, nel 1948, nell’articolo 9 della nostra Costituzione Repubblicana, che pone la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio tra i principi fondamentali dello Stato. È un passaggio storico fondamentale, condiviso e alimentato dallo sguardo dei fotografi del dopoguerra, uno sguardo documentario che sa cercare e raccontare il genius loci, un’umanità e un territorio carichi di storia, che hanno imparato a vivere in simbiosi; un equilibrio però già minacciato, e spesso le stesse immagini suggeriscono l’avvicinarsi di una perdita imminente.

Da questo momento il tradimento è sistematico, in buona parte anticipato dal piccone fascista, che inizia l’inesorabile trasformazione delle grandi ex-capitali. L’Italia contadina si industrializza a spese del suo paesaggio, in un percorso di offesa del territorio che non ha conosciuto battute di arresto; dagli anni del miracolo economico una cementificazione senza controllo genera incessanti e spesso definitive offese al grande affresco dell’Italia (senza le quali oggi avremmo un immenso capitale da mettere virtuosamente a reddito). Sono gli anni in cui la fotografia italiana cerca una nuova identità e la trova anche attraverso la consapevolezza dei costi dello sviluppo.

Ma non basta la denuncia, c’è bisogno di uno sguardo capace di segnare una nuova strada, come quello discreto di Luigi Ghirri: nel 1984 il suo progetto di Viaggio in Italia (che nella mostra ha la giusta evidenza) coinvolge un’intera generazione di nuovi fotografi e insegna a dialogare con il paesaggio come fosse il proprio mondo interiore. È una storia già antica ma attuale: quella che è stata definita una “scuola italiana del paesaggio” rappresenta la negazione dell’immagine stereotipa (e ancora vitale) iniziata con il Grand tour, a cui preferisce un’Italia marginale e invisibile al turismo di massa, ma ricca di storia, oppure quella che si nasconde tra le pieghe di uno sviluppo già critico.

Diversi sono i percorsi ormai riconoscibili della fotografia digitale inaugurata dal nuovo millennio, e certamente la contaminazione con gli altri media visuali, l’espansione dello spazio espositivo, la modellazione 3D e l’intelligenza artificiale, possono alimentare il suo già consolidato ruolo civile e propositivo anche nel ripensamento del nostro rapporto con il paesaggio.

Mario Botta vuole considerare la mostra come un “canovaccio programmatico” per gli architetti che potranno lavorare a una rigenerazione urbana delle nostre città. Ogni sperimentazione artistica e ogni progetto che la mostra offre può essere di stimolo, anche se una maggiore considerazione delle dinamiche storiche da parte dei curatori avrebbe suggerito ai visitatori qualche riflessione in più. Se il paesaggio ferito della contemporaneità rappresenta ciò che siamo oggi, dobbiamo auspicare che un nuovo paesaggio reinventato e ispirato dalla nostra memoria fotografica rappresenterà positivamente le generazioni future.

Riferimenti bibliografici
M. Balduzzi, R. Scartoni, L’Italia è un desiderio. Fotografie, Paesaggi e Visioni, 1842-2022. Le collezioni Alinari e Mufoco, Electa, Milano 2023.
S. Settis, Paesaggio costituzione cemento, la battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Einaudi, Torino 2010.

L’Italia è un desiderio. Fotografie, Paesaggi e Visioni (1842-2022). Le collezioni Alinari e Mufoco, Scuderie del Quirinale, Roma, 01 giugno 2023 – 03 settembre 2023.

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