Siamo alla fine. Kim è andata a trovare Jimmy in carcere. Jimmy la saluta con il gesto delle pistole fumanti con le dita. Una mimica senza parole attraverso la rete della prigione, dal campo di basket dove si trova, per salutare la donna amata. Che lo ricambia con sguardo muto ma non giudicante. L’enigma di una grande storia d’amore che lega inspiegabilmente – ma proprio per questo più saldamente – un uomo ed una donna trova conferma nel finale.
E rende quel gesto rivelatore. Di cosa? Di una grande segnatura ironica che accompagna sempre ogni gesto in quanto teso strutturalmente a minare l’azione. Ed anche ogni situazione, sospendendola ed aprendola dall’interno. Se l’azione si salda indissolubilmente al soggetto che la compie, che diventa così soggetto di imputazione, il gesto definisce la zona inafferrabile tra il soggetto e il mondo, il soggetto e gli altri. Il gesto traccia nell’aria una figura e quella figura inconsistente definisce uno spazio ambivalente che tiene insieme sia la transitività della comunicazione – risposta al gesto di Kim delle pistole con le dita della quinta stagione – sia la dimensione autoriflessiva del soggetto, che attraverso il gesto sospende la situazione e la condizione in cui si trova. Nel caso di Jimmy quella di condannato ad ottantasei anni di carcere per i crimini commessi e confessati.
Quel gesto libera, anche solo per un istante, il soggetto dalla condizione in cui si trova rendendolo libero. Ma che cos’è questa libertà che quel gesto traccia? Non è la libertà di fare delle cose, che in carcere è molto ridotta. All’opposto. È la libertà tutta umana di poter prendere le distanze dalla situazione e, in questo prenderle, lasciare emergere un tratto comico della vita, distinto dal mero ridere. È il comico di chi non coincide del tutto con le situazioni date e le azioni compiute, pur alla fine riconoscendole e assumendosene la responsabilità. È la presa di distanza che Jimmy opera da se stesso attraverso le diverse maschere che si costruisce. Maschere che non rispondono solo alla necessità di nascondersi e sfuggire alle colpe commesse – passando da Jimmy a Saul a Gene –, ma al bisogno profondo di teatralizzare la vita (“It’s show time” dice in tribunale prima della confessione). Bisogno che giunge fino al finale, quando Saul mettendosi in scena riesce a farsi condannare per pochi anni, prima di riconoscere le sue colpe. Teatralizzare la vita significa non farla coincidere con un unico destino, anche se tale coincidenza sembra avvenire nella ripida pendenza tragica degli eventi. Ma non sarà per Jimmy quello che è stato per Walter White. Jimmy non è un eroe tragico, che precipita nel male fino a morirne. Sapevamo che tra i tanti finali possibili della serie uno sarebbe stato impossibile: far morire Jimmy (è sufficiente che muoia Saul).
E se Jimmy usa le maschere è perché parte da una debolezza di fondo, tutta umana, che orienta la sua vita: la necessità di essere amato (prima dal fratello, poi da Kim), per trovare in quell’amore una conferma costantemente cercata del suo valore.
Ed anche l’amore (in assenza del sesso, come anche in Breaking Bad) si nutre di semplici gesti. L’amore è il luogo per eccellenza dei gesti. Gesti d’amore, appunto. Come la sigaretta che Kim dà in carcere a Jimmy quando nel finale lo va a trovare. Quella sigaretta condivisa è il segno del tra-due dell’amore che Jimmy e Kim ricostruiscono dopo tempo nel breve incontro in prigione senza bisogno di dirsi molto. Dopo che Jimmy ha confessato le sue colpe, ma non – ed è questo il grande scarto dalla tradizione del cinema americano – per rispetto della legge e della morale, ma esclusivamente per amore. Decide di confessare quando viene a sapere della confessione di Kim in merito alla morte di Howard. E decide di farlo davanti a Kim. La chiama, la vuole, vuole che lei lo veda e lo torni ad amare. E per fare questo deve abbandonare la maschera istrionica di Saul. Ma senza arrendersi al giogo prevedibile e demonico della legge e del prezzo da pagare per espiare le proprie colpe. Le colpe ci sono e la pena va scontata. Ma Jimmy non perisce sotto un peso che sarebbe insopportabile. È capace comunque di giocare. E se è capace di giocare, questo accade perché Jimmy al fondo è innocente. Non legalmente, ma umanamente. Il suo tratto infantile ne è segno evidente.
Tuttavia questa innocenza, di cui è costante indice la simpatia che noi abbiamo nei confronti del personaggio, magnificamente esemplificata nel “coro” finale dei galeotti che ritmano ed intonano nel furgone della polizia penitenziaria un “Better Call Saul!”, è l’innocenza umana al fondo della colpa, di ogni colpa. Il tratto commedico del film è in fondo quello che accompagna ogni commedia: in definitiva la storia dell’innocenza del colpevole. Noi sappiamo che Saul è un criminale ma in nessun momento sentiamo nei suoi confronti astio od odio. Solo simpatia. Perché di quelle colpe lui non è del tutto colpevole, non è un gelido ed efferato manipolatore come i criminali che lo circondano. Quelle colpe coincidono con la sua debolezza umana. La sua capacità istrionica, che lo porta a fuggire ogni responsabilità e che seduce inesorabilmente Kim, dovrà avere un arresto se vuole recuperare la sua vita. Ma quell’arresto di fronte alla verità delle cose non è un arresto davanti alla capacità di giocare, di mimare, di tracciare il gesto. Di riaprire per quanto possibile la vita, per quanto la situazione lo consente.
Allora Better Call Saul è uno spin off di Breaking Bad nella misura in cui ne costituisce un secondo momento. Il secondo momento di una storia dell’umano. Se Walter White individua il tratto tragico e demonico della coincidenza inesorabile con una maschera del male non sfilabile (Heisenberg), che trasforma un uomo medio in un efferato e gelido uomo del crimine, Jimmy McGill identifica il tratto comico di una liberatoria non coincidenza con la maschera. Le sue maschere sono sfilabili, reversibili. Il suo essere è sempre un tra-le-maschere, un tra sé e gli altri. In un certo senso Breaking Bad sembra una sorta di condizione per liberare la potenza tutta umana di Better Call Saul.
Se Walter White è l’uomo medio americano con la famiglia come alibi e sé stesso come compito. Jimmy è un errante dall’identità incerta, e la cui infanzia perenne coincide con la sua domanda d’amore. Il primo è preso nella spirale demonica dell’azione, il secondo nella liberazione e gratuità del gesto. Il primo è l’America senza via d’uscita della colpa infinita, il secondo è l’America come avventura irripetibile dell’umanità e appartiene ai tanti indimenticabili antieroi comici e perennemente in fuga dell’immaginario americano.
Better Call Saul. Ideatore: Vince Gilligan e Peter Gould; Interpreti: Bob Odenkirk, Jonathan Banks, Rhea Seehorn; produzione: High Bridge Productions, Crystal Diner Productions, Gran Via Productions, Sony Pictures Television; origine: USA, anno: 2015-in produzione.