Mentre Tre piani, diretto da Nanni Moretti e presentato a Cannes nel 2021, è ancora in programmazione sulla piattaforma Sky, già ci si chiede chi porterà sugli schermi il nuovo romanzo di Eshkol Nevo. L’Italia è, lodevolmente, tra le prime nazioni a rivolgere piena attenzione al cinquantenne autore israeliano, traducendo a spron battuto tutti i suoi libri e riadattandone alcuni per il cinema.
L’originale titolo ebraico dell’ultimo romanzo è Un uomo entra nel frutteto. La traduzione italiana, Le vie dell’Eden, dà forse meglio conto del carattere polifonico di una scrittura in cui le voci si incalzano senza sovrapporsi, moltiplicando le prospettive e i punti di vista. Come in Tre piani, si intrecciano anche stavolta storie diverse e vibranti, al punto che se ne potrebbe trarre un’interessante sceneggiatura, magari anche per una di quelle fortunate serie tv di cui gli israeliani si sono scoperti maestri. Avremmo già anche la colonna sonora, perché ogni poche pagine Nevo evoca una canzone o una sonata e il libro tutto risuona delle musiche più varie, dai King Crimson e Cat Stevens a Schubert, dagli autori medio-orientali contemporanei al fragore dei rave party. Le note si mischiano alle voci, valorizzando ulteriormente l’oralità molto marcata, caratteristica delle scritture di Nevo.

Fin quando si è giovani, la felicità è quasi scontata, scrive Nevo. Dopo no, dopo va estratta, con fatica. È come se dopo una certa età tutti, ogni mattina, dovessero andare a scavare nella miniera della gioia. Come fanno i suoi personaggi, spesso poco oltre i quaranta. Nel romanzo, sono almeno tre le anime inquiete che, ciascuna a suo modo, cercano il proprio paradiso – il Pardès, frutteto in ebraico – in un altrove innanzitutto spaziale, in un luogo altro, ma non solo: in incontri a venire, in esperienze diverse. Ma, come le Scritture insegnano, oltrepassare una soglia non significa necessariamente che la si varcherà di nuovo. Dei quattro saggi Maestri che entrarono nel frutteto, solo uno ne uscì (Talmud Chagigah 14b, 15b). Attraversare la novità può infatti cambiarci profondamente, al punto da farci smarrire, nel bene o nel male.

Una costante in Nevo è che il cambiamento è sì dovuto all’esperienza, il cui fulcro può essere costituito da un viaggio, da una scelta, dall’imperativa chiamata del proprio intimo desiderio, ma in ultima analisi sarà sempre dovuto all’incontro con altri. Era già questo il centro motore de La simmetria dei desideri (2010), la storia di quanto quattro amici provino, negli anni, a restare fedeli alla promessa di amicizia scambiatasi un giorno. Tutto sta nel mantenere a fuoco il proprio desiderio, nel non smarrire l’asse primario delle nostre scelte, in grado di conferirci un’identità indubitabile anche quando ci misuriamo con gli altri, fossero anche culture e persone che possono trasformarci profondamente.

In ognuna delle tre parti che costituiscono il romanzo è riconoscibile un triangolo di rapporti. Nella prima storia, tra una giovane donna, il marito e un estraneo incontrato durante un viaggio in Bolivia. Nella seconda, la figura si ripropone attraverso un anziano e coscienzioso primario ospedaliero, una giovane specializzanda di medicina e sua madre. Nell’ultimo, una quarantenne inquieta è il vertice del triangolo costituito con suo marito, improvvisamente scomparso, e con la loro discendenza, i due figli. Nevo ammette di ricorrere spesso al triangolo in quanto forma di scrittura in grado di introdurre immediatamente l’asimmetria, lo squilibrio e quindi il dramma. Tiene infatti innanzitutto a rappresentare la potenza destrutturante ed eversiva del desiderio, cioè della vocazione individuale, per ognuno diversa, che distoglie dai sentieri della consuetudine, spingendoci lungo percorsi sempre esposti e accidentati: in questo caso, lungo i tornanti e le picchiate di un divorzio e di un innamoramento, di una storia equivocata di molestie sessuali, di una sparizione inspiegabile. Eventi che alterano ma non interrompono quel basso continuo costituito dalla malattia del vivere e dalle sue stazioni: le ansie dell’essere genitori, le secche nei rapporti di lunga data, l’invecchiare, il pensionamento.

Ogni cambiamento è esposto all’errore. Non è questo quello che fanno gli esseri umani? Sbagliare, sbagliare, e poi sbagliare ancora, nota a tono Annalena Benini che legge Nevo con Philip Roth alla mano. Perché l’umanità che l’israeliano racconta tende ostinatamente verso l’amore conflittuale, verso quell’incontro a due che Roth ha distrutto e rivoltato mille volte. Anche l’autore israeliano pare accreditare una versione ferita e sofferente dell’umanità di oggi, e nel romanzo, al di là delle loro intenzioni, le maschere maschili appaiono a volte confuse, inopportune e violente, così come le femminili esibiscono lati indifesi e delicati, ma altre volte si scoprono ambigue, traditrici e manipolatrici. I rapporti tra i sessi sono difficili, anche quando ci si ama: la vita di coppia è una giungla, dice Mor nel primo racconto.

Il punto è che le traiettorie del vivere sono per ognuno diverse e anche quando si condivide un punto di partenza è molto improbabile si spartisca anche quello di arrivo, né le varie tappe dell’itinerario, e tanto meno la simultaneità dei percorsi. Le esperienze sono forzatamente personali, i passi e le falcate hanno diversa ampiezza ed è molto difficile sintonizzarli. Perciò è un dono raro ritrovare insieme la porta del giardino, dopo aver vissuto esperienze e incontri, e ancor più raro è varcarla mano nella mano con chi amiamo, come sogna di fare Heli, l’ultima delle protagoniste del romanzo.

La narrativa di Nevo riflette una vita fatta di scontri, più che di incontri. Ci si ama, però spesso ci si attacca. Come accade nel primo episodio, in cui la giovane Mor, durante un viaggio in Bolivia, si avventura con il marito Ronen, con il quale è in lite, in un trekking in bicicletta su un percorso andino rischioso al punto da essere noto come la Strada della morte. Alla fine del romanzo, potremmo dire che ogni itinerario di vita condiviso si rivela in ultimo una sfida, ogni percorso è un cammino di morte, anche se in partenza lo si affronta con spirito solidale.

Fa tenerezza il tentativo, reiterato nei tre racconti, di ricostruire ex post il senso della propria vita, magari intrecciandolo con quello degli altri, attraverso i ricordi. Siano questi costituiti dagli album fotografici di famiglia, che i figli scrutano sperando di decifrare particolari come fossero indizi in grado di gettare luce sul comportamento e le scelte dei genitori, siano piuttosto i mini-racconti di 120 parole, come quelli scritti dal protagonista scomparso nel frutteto dell’ultima sezione del romanzo, brevi narrazioni nelle quali la figlia ricerca il bandolo della sparizione del padre.

Non basta a volte neppure oggettivare le proprie traiettorie esistenziali escrivendole per intero, mettendole nero su bianco per confrontarle. In ognuna delle tre vicende, i protagonisti si trovano costretti da circostanze ingrate a mettere per iscritto la loro storia davanti ai propri avvocati. Ma nessun ascolto sarà comprensivo e accogliente al punto da rispettare l’originale verità di ognuno, intonandola alla verità degli altri. Emergeranno versioni diverse e contrastanti, punti di vista per forza di cose soggettivi, e l’incomprensione, il malinteso saranno in agguato.

L’esempio più doloroso di quanto un comportamento possa esser travisato è nel vissuto del dottor Asher Caro nella seconda parte del romanzo, esperto primario di medicina interna in un ospedale di Gerusalemme. Ha da poco perso la moglie Niva, amatissima. Vive solo in casa, dato che i due figli ormai grandi sono da tempo all’estero. Si tiene compagnia con la musica: ama Schubert, ma dà spazio anche ai classici degli anni settanta e alla musica mediorientale. Combatte l’insonnia guardando le repliche del tennis in tv. Il suo vero centro d’interessi resta però l’ospedale e la routine alla quale volentieri si consegna: vedere pazienti, fornire diagnosi, prescrivere terapie. Senza trascurare i compiti didattici ed educativi: fare il giro in corsia con gli specializzandi, passando di letto in letto, soffermandosi accanto a ciascuno per rassicurarlo, convinto che per un malato sopportare l’incertezza sia peggio del dolore. E poi deve affrontare i parenti dei pazienti, per i quali ci sarebbe ovviamente un orario, ma che di fatto sono tutto il tempo nelle camere, nei corridoi, pronti a bussare alla porta della stanza dei medici, a fermarti, a tirati per la manica. A esigere attenzione. A pretendere un secondo parere. A chiamare, infermiera! Rosi dall’angoscia legittima, dalla permanenza frustrante vicino a un malato in un’istituzione respingente come l’ospedale.

E quando allora una giovane specializzanda equivoca le attenzioni protettive di Caro, fossero anche appena venate dalla pulsione che comunque risveglia una ragazza giovane e intelligente come Liat, ecco che il mondo dell’anziano medico parrebbe andare definitivamente in frantumi, e con quello la sua stessa vita. La ragazza lo denuncia alla Direzione sanitaria per quel che ha vissuto come una molestia sessuale: la sua parola contro quella di chi però nel frattempo pare aver smarrito perfino la voglia di difendersi, e che alle ingiuste accuse sceglierà di opporre soltanto la propria dolente umanità.

Sono pagine di grande bellezza, nelle quali Nevo sembra omaggiare le potenti figure di vecchi nei romanzi di Abraham Yehoshua, con un di più di tenerezza e pietà per una maschera di anziano del quale ricorderemo il ritegno, le risposte sospese, l’attenzione a non prevaricare gli altri nelle discussioni, a non emergere a costo di scapitarne. E i suoi affetti pudichi, la tenerezza per i figli, anche per il maschio difficile. In fondo, Asher Caro resta impresso per la sua capacità d’incarnare al meglio la mancanza, la vera cifra della scrittura dell’israeliano, la fonte più fresca della sua narrativa.

Riferimenti bibliografici
A. Benini, Il fascino dell’ambiguità. “Le vie dell’Eden”, l’ultimo libro di Eshkol Nevo, in “Il Foglio”, 28 febbraio 2022.
E. Nevo, Le vie dell’Eden, Neri Pozza, Vicenza 2022.
Id., Tre piani, Neri Pozza, Vicenza 2017.
Id., La simmetria dei desideri, Neri Pozza, Vicenza 2010.

Eshkol Nevo, Le vie dell’Eden, Neri Pozza, Vicenza 2022.

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