Luoghi e non luoghi sembrano essere una questione centrale nel lavoro di Martone, come nel suo ultimo film, Nostalgia, in cui il protagonista torna nella sua Napoli natale dopo quarant’anni di assenza. È così anche per il suo Leopardi.
Nel 2004 viene rappresentato il primo spettacolo teatrale di Martone legato a Leopardi, L’opera segreta, e si fonda già sul rapporto con la città di Napoli. In quel caso non si tratta tuttavia dell’allontanamento di chi vi è nato, bensì, al contrario, della permanenza di tre artisti non napoletani – Caravaggio, Anna Maria Ortese e Leopardi – che hanno potuto trovare l’ispirazione in quel luogo. Nascerà così l’idea di mettere in scena le Operette Morali leopardiane, nel 2011, e in seguito il film Il giovane favoloso, nel 2014, il quale ci dà a vedere i luoghi di Leopardi, le sue città, il suo rapporto con gli spazi. Come spiega bene Martone in Un drammaturgo segreto – saggio introduttivo de Le Operette morali in scena. La teatralità di Giacomo Leopardi –, leggendo i suoi versi «noi vediamo Leopardi, in una delle continue immagini, […] fotografie, che ci consegna di sé. Sempre è possibile vedere attraverso le sue parole dove si trova, qual è la sua posizione nel luogo, quasi lo sentiamo respirare» (Martone, Di Majo 2022, p. 14). È questa presenza di Leopardi in ogni suo luogo che il regista ha saputo restituirci nel film, ovvero «non tanto uno spettacolo o un film su di lui, quanto con lui» (ivi, p. 12).
Con Le Operette morali in scena, Martone torna quindi a Leopardi, pubblicando in compagnia di Ippolita Di Majo diciotto delle Operette Morali messe in scena a partire dal 2011. Furono infatti rappresentate inizialmente ventidue operette, ridotte e adattate per la scena, sulle ventiquattro composte da Leopardi, e questa raccolta finale risulta pertanto da un lungo lavoro di adattamento teatrale, di confrontazione tra il testo e la sua dicibilità.
Insiste Martone sulle potenzialità drammaturgiche che lo hanno colpito in diverse opere leopardiane e, in particolar modo, nelle Operette, le quali, pur essendo per lo più composte da dialoghi, costituiscono un testo fuori dal canone teatrale. La costruzione dei dialoghi leopardiani ricorda al suo «orecchio di regista» sia Molière che Shakespeare, o ancora Beckett, e se Martone si difende dal dare a questi accostamenti alcun valore accademico, essi sono comunque perfettamente fondati: Beckett considerava Leopardi come uno dei suoi punti di riferimento, ed apre il suo libro su Proust con una citazione dei Canti: «E fango è il mondo» (Giacomo Leopardi, A se stesso). Due saggi di Ippolita Di Majo inquadrano la trascrizione delle Operette e sostengono quest’analisi, evocando una «scrittura dialogica proiettata verso la rappresentazione, e la cui articolazione linguistica trova proprio nell’azione, nel gesto, nella possibilità di essere rappresentata, un punto di forza ineludibile» (Martone, Di Majo 2022, p. 18).
La questione dell’immagine è onnipresente nel volume, il quale propone, oltre alla lettura dei testi adattati, una visualizzazione degli elementi scenici attraverso l’inserzione di numerose fotografie delle rappresentazioni realizzate da Simona Cagnasso e Giampiero Assuma, nonché di bozzetti di Mimmo Paladino, che ha curato la scenografia dello spettacolo. Se Leopardi fa sentire nei suoi versi lo spazio fisico dei luoghi in cui si trova, Martone e Di Majo tentano allo stesso modo di non discostarsi mai dallo spazio scenico in cui queste loro Operette sono state rappresentate: «Martone inventa uno spazio scenico completamente libero, aperto, uno spazio raccolto e allo stesso tempo profondo». La platea è liberata dalle poltrone delle prime file, aprendo lo spazio del palcoscenico e disponendo gli spettatori intorno al luogo dell’azione. Questa superficie svuotata è ricoperta da una terra scura, «primordiale come la terra lavica sulle pendici del Vesuvio» (ivi, p. 20). Distruzione e deserto sono il senso del Vesuvio in Leopardi, «Sterminator Vesevo» (La ginestra): Martone crea quindi uno spazio densissimo di senso che rivela come, per lui – così come per Leopardi –, il teatro delle Operette Morali si erge sul nulla. Del continuo agitarsi, «del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso» (Cantico del gallo silvestre).
«È una scena vuota» (Martone, Di Majo 2022, p. 19), spiegherà pertanto Di Majo: la «scena teatrale delle Operette Morali è un non luogo, uno spazio vago e indefinito come sono i sogni» (ivi, p. 111). Nella voce di Leopardi – quella che sentivamo, già distintamente, nel film di Martone, Il giovane favoloso, interamente permeato di testi leopardiani – risiede invece il «senso di realtà», il «sentimento contemporaneo» di questa versione delle Operette, che preserva pressoché integralmente la prosa leopardiana, pur applicando numerosi, e necessari, tagli. Queste «frasi complesse» che i suoi attori devono pronunciare, Martone le paragona a «ponti che si slanciano sul vuoto» (ivi, p. 10) – non per nulla Nietzsche definiva Leopardi come «il più grande prosatore del secolo» (Nietzsche 2000, p. 61) – che gli consentono di mantenere durante lo spettacolo una costante tensione dialogica.
Tale percezione degli spazi vuoti motiva, forse, la scelta di Martone di concludere lo spettacolo con il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, mentre in Leopardi la chiusura del volume era affidata al Dialogo di Tristano e di un amico: «In mezzo di questo mare, in questa solitudine incognita», il Dialogo di Colombo e Gutierrez è una sintesi poetica del pensiero leopardiano, operetta del dubbio assoluto e dell’assenza di ogni punto di riferimento. Un navigare in mezzo al nulla. In un non luogo. Ma in compagnia.
Riferimenti bibliografici
S. Beckett, Proust, SugarCo, Milano 1978.
G. Leopardi, Canti, a cura di L. Blasucci, Fondazione Pietro Bembo – Ugo Guanda Editore, Parma 2019-2021.
F. Nietzsche, Intorno a Leopardi, a cura di C. Galimberti, con un saggio di W. F. Otto, Leopardi e Nietzsche, Il Melangolo, Genova 2000.
Mario Martone, Ippolita Di Majo, Le Operette morali in scena. La teatralità di Giacomo Leopardi, Mimesis, Milano-Udine 2022.