Raccontare che cosa sia la famiglia oggi rimane davvero una delle sfide narrative più difficili da compiere, indipendentemente dalle latitudini in cui ci si muove e dai media di cui si dispone: c’è sempre il rischio di semplificare relazioni complesse, assolutizzare giudizi, ridurre questioni a interpretazioni spesso troppo e mal canonizzate. Nel cinema internazionale, il giapponese Hirokazu Kore’eda è senza dubbio uno dei cineasti che di più e meglio insistono da anni su temi legati all’idea di famiglia, attraverso uno sguardo teso a mostrare la complessità di vicende dove la verità narrativa e quella sentimentale si intersecano senza spesso coincidere. Da questo punto di vista, il suo ultimo film non fa eccezione.

Presentato in concorso al Festival di Cannes di quest’anno, Le buone stelle – Broker racconta in primo luogo di una giovane madre, So-young, del suo abbandono del figlio appena nato in una baby box di una chiesa, e di due uomini, Sang-hyeon e Dong soo, contrabbandieri umani di bambini lasciati dai genitori. I tre adulti incroceranno le loro traiettorie quasi subito: gli uomini convinceranno la madre a venire in viaggio con loro per trovare – previo compenso – una famiglia ideale a cui affidare il bambino. Come si può immaginare, sarà un viaggio in cui ci saranno incontri, compreso l’ingresso di un nuovo membro nel gruppo, ma soprattutto momenti in grado di creare legami profondi fra i personaggi.

Allo stesso tempo però, Le buone stelle – Broker è anche un film un po’ diverso dal solito nell’opera di Kore’eda per via della produzione. Si tratta infatti di un’opera girata e ambientata in Corea del Sud, in lingua e con cast locali. Fra gli attori c’è la presenza di star come, per esempio, Song Kang-ho (Parasite), vincitore della Palma d’oro per il migliore interprete maschile grazie al ruolo di Sang-hyeon. Si notano poi concessioni a certi modi e tempi narrativi tipici del mainstream cinematografico sudcoreano, come altri hanno giustamente osservato nelle loro recensioni. Da aggiungere poi la presenza di un omicidio e di un pedinamento del gruppo da parte di alcuni personaggi. Soprattutto due, determinanti nel corso della storia: una coppia di poliziotte che cerca di cogliere Sang-hyeon e Dong-soo sul fatto per arrestarli.

Ora, soffermiamoci per un attimo sulla vicenda che mette in moto la trama del film, cioè il traffico di bambini senza genitori. È difficile scegliere cosa filmare e cosa no quando le storie che si vogliono raccontare ruotano attorno a temi tecnicamente scabrosi, difficili, dove il rischio di sottovalutazione di determinate implicazioni può portare ad effetti deleteri: superficialità, moralismo, immoralità, disonestà intellettuale e chissà cos’altro ancora. Solo una giusta misura estetica potrebbe riuscire a far evitare questi rischi. Nel corso del film, la profondità dello sguardo di Kore’eda dona una dimensione umana a tutti i personaggi principali della vicenda, con scelte registiche fatte di ellissi e sottrazioni che fanno concentrare l’attenzione più sui ritratti dei personaggi che sui sottotesti sociali dei loro ruoli. Prendiamo per esempio Sang-hyeon e Dong-soo. I due pianificano qualcosa che in termini di legge è illegale e terribile – il traffico di bambini – e il regista giapponese non evita di ricordarcelo, anche grazie al ricorso della presenza della polizia sulle loro tracce. Tuttavia, il film mostra personaggi tutt’altro che disumani: vuoi perché alle prese con il mondo dell’infanzia; vuoi perché alle prese con le proprie debolezze biografiche.

Lo stesso discorso vale per la madre del bambino, cioè la figura di So-young. Se si dovessero considerare i singoli atti da lei compiuti nel film, non si potrebbe che avere un giudizio negativo nei suoi riguardi. Ma la vita è fatta di relazioni oltre che di azioni. Kore’eda riesce a tratteggiare il ritratto del personaggio di lei in modo tale da delinearne un’evoluzione. Il tempo passato con i due uomini e Woo-sung, il proprio bambino, la porterà ad avere aperture psicologiche e sentimentali verso gli altri e ad acquisire una presa di coscienza del suo essere madre.

Su un piano più generale, come è stato detto più volte, Kore’eda è un regista il cui cinema ha spesso raccontato la rappresentazione-decostruzione della famiglia. Secondo la Treccani, la famiglia «è l’istituzione fondamentale delle diverse società umane, ossia la struttura sociale più semplice, che è alla base del processo evolutivo di tutte le civiltà storiche. La compongono individui legati da matrimonio, parentela (di consanguineità o affinità) o rapporti di dipendenza (f. domestica), che, assicurando continuità biologica e culturale alla comunità di appartenenza, diventano partecipi della funzione principale di questa istituzione». Se si guarda ad un tipo specifico di legame, quello dei «rapporti di dipendenza», un film come Le buone stelle – Broker mostra senza dubbio una rappresentazione dell’idea di famiglia in linea con la definizione riportata. Quello che il regista giapponese fa – in questo film come in altri – è approfondire il tema dei rapporti di dipendenza tra individui in situazioni, per così dire, instabili, legate da congiunture transitorie ma non per questo prive di significati.

A questo riguardo, la presenza di bambini nel gruppo in viaggio, alla ricerca di una coppia che possa adottare il figlio di So-young, svolgerebbe una sorta di funzione di unione e critica degli adulti, mettendoli tutti sullo stesso piano. C’è ovviamente il neonato, Woo-sung, che da oggetto di una possibile vendita diventerà l’incarnazione del legame tra gli uomini e la donna. Ma c’è anche da considerare il quinto incomodo nel viaggio: un giovanissimo intrufolatosi di nascosto nel furgone degli uomini e che vivrà momentaneamente con il gruppo. Sebbene accessoria sul mero piano narrativo, la sua interazione con gli altri personaggi sembra quasi servire a mettere gli adulti di fronte a qualcosa di inevitabile: la necessità di fare i conti con l’idea di diventare adulti.

A proposito de Le buone stelle – Broker, c’è della critica che ha sostenuto che si tratti di un film per così dire minore di Kore’eda, con due o tre momenti poetici, o autentici, o dove comunque si riconosce il suo tocco stilistico, dentro invece una storia e una messa in scena che tradiscono dei difetti o che comunque non spiccano per le loro caratteristiche strutturali. Vero, falso, opinabile? Al di là del singolo giudizio critico, che dice sempre di più su chi giudica che sull’oggetto in esame, la visione di un film come questo credo possa essere interessante per ragionare sul cinema d’autore oggi, per chiedersi che cosa si cerca e che cosa si può invece trovare in determinate immagini. Nel caso del film del regista giapponese, ciò che si trova è, comunque, la persistenza di una idea di cinema che non è fondamentalmente cambiata nel corso del tempo. Il suo sguardo tende sempre a mostrare il necessario, senza troppe evidenze formali, per alludere idealmente al massimo delle sfumature possibili di significato, senza ricorso a sentimentalismi urlati. Non solo in sequenze giustamente citate come quella della ruota panoramica, ma anche in altri momenti del film, come per esempio quello del lavaggio del furgone con tutti dentro o quello del finale, suggestivo e in un certo senso aperto.

E se si vuole, inquadrature proprio come quella finale possono forse far capire come il cinema d’autore d’oggi sia ancora indispensabile per quegli spettatori che cerchino un rapporto non superficiale con la rappresentazione della realtà, cioè un rapporto dove ciò che si vede, benché evidente, richiede comunque una partecipazione attiva di chi guarda. Approcci alla messa in scena di questo tipo possono, per così dire, dissipare possibili dubbi – legittimi – sulla qualità di un’opera. Per chi crede nel cinema d’autore, è sempre – prima di tutto – una questione di sguardo, sulla vita e sulle cose, e solo poi una questione artistica.

Le buone stelle – Broker. Regia: Hirokazu Kore’eda; sceneggiatura: Hirokazu Kore’eda; fotografia: Hong Kyung-pyo; montaggio: Hirokazu Kore’eda;  interpreti: Song Kang-ho, Gang Dong-won, Bae Doo-na, IU, Lee Joo-young; produzione: Zip Cinema; distribuzione: Lucky Red, Koch Media; origine: Corea del Sud; durata: 129′; anno: 2022.

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