Il bel libro di Schimmenti L’arte contesa. L’estetica, la sinistra hegeliana e il giovane Marx, ha il merito di mettere in evidenza la centralità della “questione estetica”, ossia del problema della natura dell’arte e del suo destino nel mondo moderno, non solo nel confronto critico della sinistra hegeliana con il filosofo di Stoccarda ma anche nella riflessione dello stesso giovane Marx, nel periodo “berlinese” della sua prima formazione idealistica.
La ricerca di Schimmenti si concentra in modo particolare sulla dimensione politica di tale questione, mostrando come proprio attorno al problema dell’arte viene definendosi nei principali esponenti del movimento giovane-hegeliano, e in particolare nella riflessione di Arnold Ruge e di Bruno Bauer, una nuova concezione della filosofia intesa come massima espressione dell’attività “spirituale” e creatrice dell’ “autocoscienza”, vale a dire come capacità della soggettività pratico-critica del pensiero non solo di intendere il mondo ma anche di trasformarlo, piegandolo alle sue esigenze e finalità storiche, e così riappropriandosi di se stesso. Di tale attività spirituale l’arte rappresentava un momento essenziale proprio in virtù del suo rapporto immediato con la dimensione religiosa e politica.
Di contro alla concezione tipica della Romantik della soggettività come puro sprofondare del soggetto in se stesso, in una interiorità priva di mondo, i giovani hegeliani esaltano la capacità del soggetto di produrre un mondo artistico e insieme oggettivo, compenetrato di sé e per questo regolato dalle leggi dell’arte e della bellezza. Sul terreno della creazione artistica, la soggettività si definisce dunque non solo come affermazione della sua liberta, dell’autonomia del suo essere per sé ma anche come capacità di oggettivazione, potere di dissoluzione delle vecchie forme e quindi di produzione e di elaborazione di nuove forme. L’affermazione del carattere “critico” e produttivo della creazione estetica, nella riflessione filosofica ed estetica di Ruge, culmina nell’esaltazione del “comico”: è nel comico infatti che l’arte esprime nel modo più compiuto e consapevole la sua essenza eminentemente critica e pratica. E tuttavia proprio in questo culmine della sua espressione l’arte sembra consumare nello stesso tempo la sua fine, quella “morte” in cui Hegel aveva già individuato una delle conseguenze dello stesso dispiegarsi della prosa e del realismo del mondo borghese moderno. Il moderno, anche in conseguenza della rottura storica con il mondo antico rappresentata dal cristianesimo, aveva spezzato per sempre quella sintesi armonica tra “ideale” e “sensibile”, ossia tra “spirito” e “natura” che aveva trovato nella grecità classica e in particolare nella dimensione insieme religiosa e politica, “popolare” e “soggettiva” della sua arte la sua massima incarnazione storica.
Schimmenti ci mostra tutta la contraddittorietà e complessità della riflessione dei giovani hegeliani sulla questione estetica, continuamente oscillante tra l’esaltazione della superiorità dell’arte sulla religione, sulla base dell’antitesi tra la natura soggettiva e spirituale della prima e l’oggettività irrigidita e feticizzata della seconda, e l’affermazione del carattere non più “artistico” del mondo moderno. Bauer non manca di esaltare proprio contro la prosaicità e il pragmatismo del mondo cristiano medievale ancora persistenti in quello moderno nell’epoca della Restaurazione, particolarmente in Germania, il carattere spirituale e ideale della libertà dei greci, in grado di trovare nell’autonomia e nell’equilibrio delle forme propri dell’arte classica la sua più adeguata e organica espressione. Non sfugge, tuttavia, a Bauer il contrasto tra la “bella eticità” del mondo greco e il carattere scisso e conflittuale della modernità borghese.
A differenza che nella pacificata totalità dei greci, l’autonomia dell’arte da ogni istituzione oppressiva come da ogni finalità immediatamente pragmatica e utilitaristica, non potrà dunque che essere il prodotto, sempre incerto e precario, della lotta e del conflitto, sul terreno della “critica” e dell’azione politica. Nessuna totalità, già data e garantita come tale come può più darsi nel moderno, proprio in conseguenza del primato del momento soggettivo dell’”autocoscienza” su quello “oggettivo” del “naturale” e del “sensibile” che ne contraddistingue l’intima struttura. Di qui l’affermazione del carattere “sublime” della critica, della sua superiorità etica sulle potenze della natura, condizione fondamentale per la formazione di una nuova totalità, non più tuttavia definitiva. Bauer finiva per inscrivere il sublime, inteso come incapacità dell’infinito di trovare nel finito e nel fenomeno un oggetto adeguato alla sua rappresentazione, proprio nella soggettività critica.
Schimmenti non manca di rilevare come proprio su questo carattere astrattamente “sublime” della nozione baueriana di “critica” si concentrerà la “critica” di Marx ed Engels nella Sacra famiglia nel 1844. Nel “sublime” di Bauer essi individueranno infatti polemicamente l’idea di una soggettività essenzialmente esterna al mondo, già presupposta alla specificità storicamente determinata delle relazioni materiali di produzione di cui essa è invece un prodotto storico. Ma la ricerca di Schimmenti ci mostra come Marx perverrà a tale così aspra critica del soggettivismo di Bauer anche attraverso un’intensa riflessione sui temi estetici. Il tema della “morte dell’arte” è presente nella sua dissertazione di laurea sulla differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro scritta nel 1841. Riprendendo alcune fondamentali acquisizioni di un grande e pioneristico libro dello studioso sovietico Mikhail Lifschitz sulla filosofia dell’arte di Marx, uscito a Mosca nel 1933 e in edizione inglese a New-York nel 1938, Schimmenti evidenzia come lo stesso tema del “feticismo” trovi proprio nella riflessione del giovane Marx sui rapporti tra arte e religione e in particolare sulla natura “feticistica” di quest’ultima le sue prime anticipazioni.
Come già Hegel, anche il giovanissimo Marx nel periodo berlinese individua nello stato cristiano e nella società borghese un ostacolo allo sviluppo creativo dell’arte. Di qui la contrapposizione dell’epoca “artistica” dei greci, dominato dalla libertà politica del “citoyen” a quella moderna segnato dal primato del “bourgeis”. Tuttavia la riflessione di Marx sulle ragioni storiche della fine del mondo classico si differenzia già radicalmente da Hegel. Se quest’ultimo aveva fatto discendere il declino della “bella eticità” della polis dal prevalere dell’elemento “corporeo” e “sensibile” su quello “spirituale”, Marx tende invece a cogliere nel carattere ancora troppo astratto e puramente ideale della libertà politica dei cittadini il limite storico della grecità classica. La perfetta plasticità delle forme caratteristica della scultura antica era in tal senso anche l’espressione sul piano del distacco dell’arte greca dai condizionamenti dello sviluppo materiale.
Tuttavia questo suo limite non aveva impedito all’ideale classicista dell’arte greca di riacquistare nuova vita e contenuti sociali e politici moderni nell’esperienza democratica e repubblicana della Rivoluzione francese. Del resto, già l’arte greca con il suo culto delle forme e l’esaltazione della loro autonomia aveva spezzato secondo il giovane Marx il nesso tra politica e religione su cui si era incardinato il carattere “sostanziale” dell’eticità classica. In quanto non più radicato nel “sostanziale” ma nello “spirituale”, il destino del mondo moderno sarebbe stato segnato non solo dal suo carattere ma da “lotte titaniche” dalle quali soltanto sarebbe potuta emergere una nuova totalità, una nuova sintesi tra “sostanza” e “soggetto”, tra “spirito” e “natura”.
In questo senso il tema della morte dell’arte si intreccia nella riflessione di Marx come già in Ruge e in Bauer, con quello della necessità della sua politicizzazione. Marx sottolinea come alla fine del “periodo artistico” dei greci, riflessa nelle filosofie ellenistiche, segui “l’epoca ferrea” dei Romani. È in essa che sulla scia di Hegel, Marx coglie il delinearsi dei primi elementi del mondo moderno. Tuttavia, egli continua ad attribuire all’arte, vale a dire alla dimensione propriamente estetica dell’attività spirituale e umana un ruolo centrale nella critica della religione e in particolare del suo carattere essenzialmente feticistico e idolatrico. Attorno al tema del feticismo, Marx sembra così fissare il rapporto tra arte e religione: se la prima trova nell’organicità e nella misura della forma una sintesi tra il naturale e lo spirituale, tra il sensibile e il sovrasensibile, la seconda si risolve nella pura adorazione della cosa, dell’oggetto nella sua materialità. La rigorosa ricostruzione da parte di Schimmenti di questo primissimo periodo dell’evoluzione del pensiero del giovane Marx, condotta soprattutto sulla base di uno studio dei suoi Quaderni di Bonn, ovvero dei materiali preparatori di un Saggio sull’arte cristiana non pervenutoci, ci dà già alcuni elementi essenziali anche per comprendere il suo successivo sviluppo.
Nei Grundrisse (1857-1858), com’è noto, Marx ritornerà sul tema della superiorità del mondo antico su quello moderno dal punto di vista della perfezione e della compiutezza delle sue forme ma non mancando di rilevarne la limitazione storica, riflesso sul piano culturale ed estetico di una capacità di sviluppo delle forze produttive materiali infinitamente minore di quella a cui la formazione sociale borghese avrebbe dato luogo. Ma proprio la ricerca di Schimmenti sul giovane Marx e sulla centralità della questione estetica nell’evoluzione del suo pensiero ci mostra come tale tema non può essere interpretato in un senso puramente “produttivistico” o in una prospettiva materialistico-volgare. Nell’affermazione della necessità di una diversa regolazione sociale del mondo produttivo nella prospettiva di un pieno sviluppo delle potenzialità dell’individuo e delle personalità umana anche sul terreno dell’arte e non solo della scienza e della tecnica, nucleo della concezione propria del Marx maturo del socialismo e del comunismo, v’è ancora qualcosa di quell’idea della finalità umana e sociale della produzione tecnico-materiale e della stessa creazione estetica che il giovane Marx aveva posto del centro della sua riflessione sul mondo greco.
Gabriele Schimmenti, L’arte contesa. L’estetica, la sinistra hegeliana e il giovane Marx, Orthotes, Napoli-Salerno 2022.