«Quando vedo la crisi della nostra Repubblica, devo constatare che non piccola è la parte di rovina provocata dagli uomini più bravi a usare le parole». Non l’ha scritta un editorialista dei giorni nostri, questa frase. L’ha scritta Cicerone nel I secolo a.C. Si riferiva a quelli che lui stesso definiva i loquentes (quelli che parlano per parlare, senza pensare alle conseguenze di quello che dicono) contrapponendoli agli eloquentes (quelli che parlano bene, parlano per bene, parlano valutando gli effetti di ciò che comunicano). I primi sono per Cicerone disertissimi homines: illusionisti del linguaggio, comunicatori da quattro soldi, demagoghi del foro o del Senato.

Ne siamo circondati ancora oggi, li vediamo in azione ogni giorno nella galassia dei media: sono i ciarlatani da talk show, gli acrobati degli anacoluti, i prestigiatori dell’insulto, i campioni della rissa verbale, i pusher di viagra mentale. Sono quelli che in piena pandemia hanno avuto la responsabilità non solo di provocare un collasso della comunicazione ma di precipitare l’opinione pubblica nell’incertezza, nel disorientamento, nella misinformazione. Che è cosa anche peggiore della disinformazione: quest’ultima sottrae o nasconde notizie all’opinione pubblica (c’è stata anche questa, nei mesi scorsi: nel primo anno della pandemia qualcosa come 400.000 notizie sono state “taciute” o retrocesse per la colonizzazione dell’agenda mediatica effettuata da Covid 19), mentre la misinformazione dà l’illusione di sapere ma pone l’utente finale dell’informazione nella condizione di non poter verificare l’attendibilità o la veridicità delle informazioni che gli vengono trasmesse. Il carosello informativo sulle mascherine (sì, no, così, cosà, queste sì, queste chissà…) o su Astra Zeneca (solo sotto i 50, mai sopra i 65, no solo sopra i 65…) sono solo due degli infiniti esempi di una misinformazione che ha gettato tutti nella confusione e nella sfiducia.

In questo scenario di ecolalia dilagante, di incapacità informativa, di reiterati e ripetuti insuccessi della maggior parte delle campagne comunicative sui vaccini, ecco piombare come un miracolo di leggiadria e di luminosità il video di Checco Zalone e Helen Mirren che – deformando il linguaggio e i protocolli politicamente corretti – impiegano tre-minuti-tre per celebrare gli effetti del vaccino e cantare la ritrovata desiderabilità erotica di chi è stato vaccinato. Foulard rosso e fiore all’occhiello, alla guida della sua decapottabile per le strade del “Saliento”, Checco modifica lievemente la sua maschera e si trasforma in Oscar Francisco Zalon, sfacciato stereotipo del latin lover iberico-mediterraneo. Mentre percorre una strada sterrata si ferma accanto a un muro a secco per chiedere a un’anziana signora che sta lavorando in giardino informazioni sulla grotta Zinzulusa. Mentre lei risponde, lui è attratto da un dettaglio: il punto di iniezione del vaccino sul braccio sinistro della donna. “Vacinada?”, le chiede. E lei, con noncuranza: “Sì, certo!”. Primo piano su di lui che abbassa le palpebre, e spinge indietro il capo sospirando, come rapito dalla rivelazione. E via con la musica e le prime strofe della canzone: «Tiene la zinna un pochito calada, ma non fa nada, non fa nada e la caviglia un pelito gonfiada e non fa nada, non fa nada, quando se mueve suave e sensual, parre che il femore è original». Helen Mirren sta al gioco, scioglie i capelli, si veste di bianco e danza con Checco fra gli ulivi di Puglia. E il messaggio arriva chiarissimo per tutti nel suo celebrare la desiderabilità di chi è vaccinato e quindi – per proprietà transitiva – anche del vaccino.

Dopo mesi di comunicazione dominata dai registri dell’invettiva, della rissa, della smentita, o dall’oscurità burocratica del linguaggio dei decreti, dai balbettii istituzionali, dalle rettifiche e dalle precisazioni, dagli insulti fra virologi e immunologi, da bradidismi e borborigmi verbali di ogni tipo, ci volevano un comico e un’anziana signora “con un corpo da cineteca” per ritrovare i registri dell’ironia e dell’autoironia, del gioco, del corteggiamento, del ballo, e per ricordarci – quasi in forma di madrigale – che il linguaggio non è mai solo uno strumento inerte ma è un modo di pensare e, quindi, anche di vivere. A suo modo, La Vacinada è un esempio di ecologia linguistica: un messaggio che non inquina l’habitat comunicativo ma lo vivifica e lo rende di nuovo abitabile e vivo e vitale. Credo che Cicerone lo avrebbe messo fra gli eloquentes, uno come Checco: anche se sbaglia le desinenze e a volte, scherzando, deturpa grammatica e sintassi.

La Vacinada di Checco Zalone; origine: Italia; anno: 2021.

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