La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud reca un sottotitolo su cui meditare ancora visto che non si tratta di un orpello ma di un piano di lavoro futuro di forte impronta gramsciana. Il volume era apparso nel 1961 nella collana “La Cultura” diretta da Enzo Paci per Il Saggiatore, la neonata casa editrice fondata da Alberto Mondadori. Appena un anno dopo la morte del suo autore era apparsa nel 1966 una traduzione dell’opera in francese per la prestigiosa casa editrice Gallimard. La ricerca multidisciplinare dedicata al tarantismo salentino è ora al centro del catalogo Einaudi che sta meritoriamente valorizzando l’intero corpus demartianiano.

Infatti, quest’opera si situa all’interno di un ambizioso e fortunato progetto editoriale inaugurato nel 2017 con la nuova edizione della Fine del mondo e proseguito con le successive edizioni critiche di Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (2021) e del Mondo magico (2022). Un classico dell’antropologia italiana torna in libreria grazie alla curatela di Marcello Massenzio che ha realizzato il primo dei saggi introduttivi, Etnologia e pietas storica, dedicato al confronto con Lévi-Strauss (e con Freud), mentre il secondo testo della introduzione, Il tarantismo e il problema della cultura subalterna è stato realizzato da Fabio Dei e si concentra sull’influenza di Gramsci nel percorso dell’etnologo napoletano.

I due contributi portano in evidenza la ricchezza teorica dell’antropologia demartiniana basata su una teoria del rito come protezione o riscatto della presenza umana nelle situazioni di crisi esistenziale. Tale originale prospettiva si collocava dentro una cornice storicistica che prestava particolare attenzione alle istanze di cambiamento sociale e di emancipazione politica dei ceti subalterni. Era questo lo scenario ambizioso che faceva da sfondo all’esperienza etnografica condotta nell’estate del 1959 a Galatina dall’équipe guidata da Ernesto de Martino e composta dall’etnomusicologo Diego Carpitella, dallo psichiatra Giovanni Jervis e dalla psicologa Letizia Comba, dalle antropologhe Amalia Signorelli e Annabella Rossi, dal fotografo Franco Pinna e dall’assistente sociale Vittoria De Palma (la compagna di De Martino).

Di quella straordinaria esperienza di ricerca restano delle foto celebri di Pinna – riprodotte nel volume di Einaudi – e una ampia mole di documenti sonori registrati sul campo da Carpitella per conto dell’Accademia di Santa Cecilia. Poco dopo il regista Gianfranco Mingozzi, realizzerà il film documentario “La Taranta” (1962), avvalendosi della consulenza scientifica di De Martino e dei preziosi materiali sonori e audiovisivi raccolti da Carpitella. Il lungometraggio, non esente da alcune forme di “orientalismo” un po’ arcaicizzante, era impreziosito da un testo di Salvatore Quasimodo e dalle riprese condotte in loco che testimoniavano la crisi irreversibile di questo rito coreutico-musicale. “La Taranta” si aggiudicò il primo premio al Festival dei Popoli di Firenze e contribuì senza dubbio a veicolare l’attività scientifica dell’etnologo napoletano verso un pubblico più vasto.

Nella prima edizione di La terra del rimorso venne allegato anche un disco Lp 33 giri con un montaggio delle musiche del rito di guarigione dal morso della taranta e un commento storico di Ernesto de Martino affidato alla voce di uno speaker radiofonico. Un documento di particolare rilevanza e suggestione che anticipava la fioritura di nuove forme di comunicazione della ricerca antropologica tramite il disco (che oggi diremmo di public anthropology) e che ci auguriamo possa essere offerto ai lettori anche dalla casa editrice torinese attraverso nuove forme come il sistema QR code. Il disco non risulta una appendice secondaria bensì un tassello chiave della etnologia demartiniana: di fatti, di lì a poco, sarebbe fiorita la produzione di Lp per l’etichetta indipendente dei “Dischi del Sole” delle Edizioni Avanti! dirette da Gianni Bosio, con il chiaro intento di proseguire e innovare la strada tracciata da De Martino nel campo della divulgazione scientifica e della proposta politico-culturale basata sulla etnografia delle voci e dei suoni delle culture popolari.

«La messa in causa del sistema nel quale si è nati e cresciuti» viene evocata da Massenzio come debito culturale di de Martino verso il maestro dell’antropologia d’oltralpe, Claude Lévi-Strauss. La celebre formula tratta da Tristi Tropici (1955) conferisce un carattere espiativo e quasi penitenziale all’esperienza etnografica, ma in De Martino questa istanza etica e autocritica non resta mai disgiunta da un effettivo coinvolgimento politico nelle vicende indagate. Infatti, la spedizione sul campo a Galatina non avvenne all’insegna del mero filologismo positivista o per semplice zelo erudito ma aveva l’ambizione di consolidare una nuova cornice scientifica (etnografica e storico-religiosa), su cui innestare l’impegno meridionalista. Sulla scorta di Gramsci l’etnologo napoletano aveva ravvisato come la questione religiosa e contadina fosse l’elemento qualificante, da un punto di vista antropologico, della più vasta e drammatica asimmetria tra il Nord e il Sud Italia.

Il simbolismo magico della taranta che morde e costringe all’esorcismo coreutico-musicale le donne salentine (vi erano anche degli uomini colpiti dal morso del piccolo animale) viene ripercorso nel volume sia in modo sincronico, grazie a una accurata e profonda analisi del rito in azione e della sua progressiva disgregazione, sia in modo diacronico, seguendo le orme del tarantismo attraverso una vasta comparazione storico-religiosa fra culti dello stesso ambito simbolico. L’etnografia sul campo fa emergere la dissoluzione di un orizzonte mitico-rituale che sosteneva il malessere psichico delle figure più esposte all’incombere del negativo nella propria fragile esistenza, mentre il Commentario storico offre ampie e profonde ragioni della natura multiforme del fenomeno salentino, in ragione delle rappresentazioni, dei contrasti, delle repressioni e delle modifiche apportate al rito dallo sguardo e dalla azione delle classi dominanti e della cultura ufficiale nelle sue varie declinazioni (politica, religiosa, medica, scientifica, etc). Inoltre, risalta in modo particolare nella osservazione sul campo la parziale efficacia del sincretismo magico-religioso offerto dalla Chiesa cattolica con l’istituzione del culto di San Paolo di Galatina, protettore delle tarantate, a fronte della repressione e della stigmatizzazione della efficacia simbolica del rito coreutico-musicale.

Cosa avrebbe detto oggi De Martino di fronte agli spettacoli televisivi della Notte della Taranta e rispetto alle manifestazioni identitarie, creative, spettacolari e commerciali che hanno prodotto una “inversione della tradizione” privilegiando una rilettura in chiave adorcistica del tarantismo come forma di trance liberatoria da attualizzare (a volte in polemica con la lettura demartiniana). Secondo Fabio Dei, l’etnologo napoletano «più che criticarle per infedeltà filologica, le avrebbe forse studiate e inserite come ultimo capitolo del suo commentario storico: documenti di una persistente vitalità del tarantismo e della sua capacità di amalgamarsi con lo spirito dei tempi». Studiare questi fenomeni non implica però l’abbandono del progetto demartiniano di incremento dell’umanesimo contemporaneo rivendicando per le tarantate di ieri e per le soggettività disarmate e sofferenti dei nostri giorni «guarigione, emancipazione sociale, riconoscimento di esse come soggetti storici a pieno titolo».

Vi sono stati momenti diversi della fortuna di De Martino e delle fasi di abbandono della sua opera se non addirittura di oblio tanto che La terra del rimorso (1961) non era stata ristampata per un lungo periodo, fra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’90, prima dell’esplosione della musica salentina che ne ha fatto un vero e proprio best seller per le nuove generazioni. L’oblio era dovuto alla crisi del paradigma demologico che si era imposto nel corso degli anni ’70 enfatizzando il suo ruolo nel “dibattito sul folklore”. Una nuova stagione di studi, inaugurata e sorretta dai lavori dell’Associazione Internazionale Ernesto De Martino (fondata da Clara Gallini e attualmente diretta da Marcello Massenzio) è riuscita a liberare la sua opera dalle interpretazioni che lo avevano relegato nel ruolo angusto di folklorista militante delineando in maniera corale il ritratto di un pensatore inquieto e originale che ha traversato la “civiltà della crisi” alla ricerca di nuovi strumenti teorici e disciplinari per risollevare la cultura europea sospesa tra l’agonia del sacro e la carenza di nuove forme di ethos civile.

Ernesto De Martino, La terra del rimorso: contributo a una storia religiosa del Sud, a cura di Marcello Massenzio, Einaudi, Torino

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