L’ambito della teoria dei media si presenta oggi come con un campo di riflessione molto articolato, in cui è possibile individuare prospettive metodologiche diverse, che a volte possono coesistere e contaminarsi, altre sembrano tracciare direttrici autonome. Gli studi che si focalizzano sugli aspetti industriali ed economici del mondo dei vecchi, nuovi e nuovissimi media, analizzando le forme di distribuzione e fruizione dei contenuti, coesistono con quelli di carattere socio-semiotico volti a spiegare il funzionamento di specifiche prassi, nuove forme di agentività e partecipazione online, e con quelli di carattere critico-filosofico, in cui la teoria dei media incontra la filosofia e la teoria dell’immagine. È in quest’ultimo ambito che va collocato il testo di Michele Cometa, La svolta ecomediale (Meltemi, 2023), ed è sempre in questa specifica prospettiva che si può rintracciare il più fecondo contributo italiano alla riflessione sui media, se si pensa ad autori come Carbone, Casetti, Eugeni, Montani, Pinotti, Somaini

Il volume di Cometa, che ha dedicato importanti studi alla riflessione sulla cultura visuale, mette a sistema proprio questo rapporto di contaminazione metodologica tra la teoria dei media e la riflessione sull’immagine, prendendo le mosse dall’assunto che la teoria dell’immagine novecentesca, nei suoi momenti fondativi, ha manifestato la necessità «di studiare le immagini a partire dai concetti chiave dell’ecologia, primo tra tutti il concetto di relazione, tra un organismo e il suo ambiente, e i suoi corollari: distribuzione, energia, forma, processo, riproduzione, adattamento, successione» (p. 10-11). Da Gombrich a Mitchell, la riflessione sulle immagini ha fatto propria la prospettiva biologica per pensare le immagini e il modo in cui esse funzionano e si influenzano, ma anche il modo in cui entrano in relazione con lo spettatore/utente. Ed è proprio Gombrich a utilizzare il concetto di nicchia ecologica per spiegare alcuni sviluppi dell’arte figurativa, a partire da cui Cometa declina quello di nicchia ecomediale, proposto nel primo capitolo, a fondamento di una ricognizione della riflessione ecomediale, colta attraverso alcuni autori che secondo Cometa possono essere ricondotti ad essa: Casetti, Parikka, Peters e Grusin. 

Le domande intorno a cui si sviluppa il volume e implicitamente già contenute nel titolo sono essenzialmente due: perché parlare di svolta, in cosa essa consisterebbe, e quale è il vantaggio che un simile paradigma porta con sé, nel variegato e già citato orizzonte di prospettive che si fanno carico di analizzare il funzionamento dei media contemporanei. 

Per far fronte alla prima questione, Cometa si confronta con la tradizione classica della teoria dei media, consolidatasi negli anni ’60 del secolo scorso. È significativo che nel momento in cui qualcosa come una teoria dei media si configura, la prospettiva ecologica fosse già ben identificata, implicitamente nel pensiero di McLuhan, esplicitamente in quello di Postman. In un testo degli anni ’70, dedicato alla riforma dell’insegnamento dell’inglese nelle scuole, Postman avanza l’ipotesi dell’ecologia dei media quale presupposto teorico fondamentale per poter pensare un’alternativa alle tradizionali modalità di insegnamento. I media, in relazione agli effetti che essi generano, non possono essere compresi se pensati come mere macchine; pensarli in termini di “ambienti” significa ragionare, secondo Postman, sulle relazioni che essi instaurano con l’essere umano, «come strutturano ciò che vediamo e perché ci fanno sentire e agire nel modo in cui sentiamo e agiamo» (Postman, 1970, 161).

Proprio come scrive Cometa, il concetto di ambiente nella teoria classica è declinato primariamente in termini di relazione, tra il medium e l’essere umano, come accade anche nel caso del pensiero di McLuhan, in cui tale relazione viene pensata nei termini di “estensione”. Rispetto a tale tradizione, la prospettiva che Cometa offre con il concetto di nicchia ecomediale propone un significativo ampliamento del concetto di relazione: non è in gioco più soltanto il rapporto tra l’essere umano e il dispositivo tecnico, ma in una prospettiva più radicale – per usare un termine di Grusin su cui Cometa si sofferma, – il rapporto tra umano e non umano, tra viventi e non-viventi, il denso «intreccio tra istanze del bíos, della zoe e della téchne» (p. 35).  Insieme all’allargamento del concetto di relazione, è necessario ampliare anche quello di medium, che non comprende solo gli artefatti tecnologici inventati da Homo Sapiens, ma «tutta una serie di dispositivi complessi organici e non» (p. 28). In questa prospettiva il paradigma di nicchia ecomediale, individua quali propri principi cardine degli elementi che la teoria classica non teneva in considerazione, ovvero:  

1) Il ruolo attivo, la agency, che gli organismi, ma anche i materiali, hanno nella costruzione della nicchia ecomediale; 2) l’ineludibilità degli artefatti e dei materiali che “supportano” la comunicazione umana e non-umana; 3) [il fatto che]  le relazioni tra le componenti della nicchia vanno intese come processi in costante divenire (p. 28)

Possiamo cogliere lo scarto tra l’approccio ecomediale e la tradizionale ecologia dei media, che consiste principalmente nel superamento di una prospettiva eminentemente antropocentrica, ovvero focalizzata sugli effetti dei media sull’essere umano, per fare spazio all’analisi dei «processi che i media istaurano» (p. 29), processi che implicano tanto il carattere ambientale dei media (pensiamo al mediascape di Casetti), quanto quello mediale degli ambienti e degli elementi materiali (come nella prospettiva archeologica di Parikka o nella mediologia elementale di Peters). I media dunque vengono colti in quanto momenti isolati di quel processo di mediazione, in cui sempre stiamo e in cui non possiamo non collocarci, che definisce gli elementi stessi su cui agisce (Grusin). 

Se questa è la differenza tra la teoria della nicchia ecomediale e l’ecologia dei media classica, qual è il vantaggio di un simile approccio? Scrive Cometa: 

Si tratta, da un lato, di sfuggire al catastrofismo dei profeti del post-antropocene – per altro figlio del suprematismo dell’Homo Sapiens, che s’immagina di poter distruggere il pianeta, mentre in realtà distruggerà solo se stesso – e dall’altro di riconsiderare i tempi lunghi di un’evoluzione che “non ci aveva previsto” e potrebbe nuovamente fare a meno di noi. (p. 136)

La prospettiva ecomediale ci permetterebbe di collocare le specifiche trasformazioni che avvengono nell’ambito della tecnologia o della comunicazione in un orizzonte più ampio, che tiene conto delle relazioni profonde che si vengono a creare tra viventi e non-viventi  – e quasi viventi se vogliamo considerare sotto questa categoria le tecnologie che sembrano mostrare appunto una propria agentività (Cimatti, Maiello 2024). Secondo Cometa non si tratta quindi di attestare il fatto che i media non esistono più perché non è più possibile distinguere ciò che è mediale da ciò che non lo è, come sostiene Eugeni nella sua teoria della condizione postmediale, quanto di coglierne l’originale ontologia: «I media come il potere si nascondono» (p. 133). 

Riferimenti bibliografici
F. Cimatti, A. Maiello, a cura di, Quasi viventi. Il mondo digitale dalla A alla Z, Codice Edizioni, Torino 2024.
N. Postman, The Reformed English Curriculum, in High School 1980. The Shape of the Future in American Secondary Education, Pitman Publishing Corporation, New York 1970, pp. 160-168.

Michele Cometa, La svolta ecomediale, Meltemi, Milano 2023.

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