L’edificio scolastico, luogo nel quale si sviluppa interamente La sala professori, è introdotto fin da subito come uno spazio da attraversare. La protagonista, la professoressa Nowak, dopo aver concluso una telefonata, si dirige frettolosamente, attraversando scale, porte e corridoi verso la sala professori: ad aspettarla due colleghi e due allievi intenti in un vero e proprio interrogatorio da legal thriller. I due rappresentanti di classe, convocati dagli insegnanti, sono spronati a testimoniare su alcuni furti commessi all’interno della scuola: mediante procedimenti coercitivi uno dei due insegnanti riuscirà a far confessare all’alunno il nome del presunto colpevole, innescando una vera e propria indagine all’interno dell’istituto.
Nelle sequenze successive la direttrice della scuola, accompagnata da alcuni insegnanti, si intrufolerà nella classe della professoressa Nowak perquisendo gli studenti: l’alunno Ali, a causa della presenza di molto denaro nel suo portafoglio, sarà sospettato e convocato insieme ai genitori in un secondo interrogatorio. L’ispezione in classe e gli interrogatori istituiscono un regime di controllo e sorveglianza che nel corso del film sarà alimentato dalla presenza di dispositivi tecnologici come smartphone, webcam e registratori.
Infatti, la professoressa Nowak, animata da un profondo senso di giustizia, porterà avanti un’indagine personale utilizzando la webcam del proprio computer: organizzando una vera e propria trappola verrà in possesso di un video che ritrae una sagoma sfilare dei soldi dalla tasca della sua giacca. Riconoscendo un indumento, l’insegnante conclude che si tratta della responsabile della segreteria, nonché madre dell’alunno Oskar, la signora Kuhn, che sarà sospesa e indagata per la serie di furti.
Costruendo una dimensione di sospetto e vigilanza, La sala professori riflette sulla cultura della sorveglianza e in particolare sulla videosorveglianza nei luoghi pubblici: il film, vertendo sul rapporto conflittuale tra sicurezza e privacy, mette in gioco attualissime questioni sociali, politiche e culturali che ruotano intorno a problematiche relative al potere, alla visibilità e al controllo.
Nonostante riproduca i contenuti e le forme di un legal thriller, La sala professori fa a meno di avvocati, giudici, tribunali e sentenze, non concentrando le dinamiche di accusa e di colpevolezza in scenari giuridici e polizieschi, ma diffondendole in luoghi del quotidiano come appunto l’edificio scolastico. «Ciò riflette il modo in cui la sorveglianza ha sempre più a che fare con il controllo della vita quotidiana in un numero crescente di situazioni» (Lyon 2002, p. 206). L’ambiente scolastico, senza ricorrere ad elementi distopici, ma semplicemente ispessendo alcuni dei suoi tratti costitutivi, assume le sembianze di un’istituzione totale.
La scuola fin dalla riflessione foucaultiana sull’architettura del Panopticon di Bentham, che può essere abitato indistintamente sia da un condannato che da uno scolaro, è spesso considerata un luogo di sorveglianza in cui si monitora e si è monitorati in un costante modellamento del corpo e dell’azione. Sono molti gli studi che, analizzando le forme contemporanee di sorveglianza, associano le riflessioni foucaultiane all’istituzione scolastica odierna: le scuole sarebbero degli spazi panottici (Gallagher 2010) che, soprattutto sfruttando il potenziamento delle tecnologie digitali, sottopongono i corpi a una vigilanza continua e serrata.
Alcuni elementi narrativi, come la webcam che la professoressa Nowak lascia accesa per spiare la sala professori, il gruppo whatsapp dei genitori, il registratore col quale gli alunni registrano l’intervista fatta all’insegnante (poi manipolata e pubblicata sul giornalino scolastico), intessono una rete di dispositivi tecnologi che virtualizza lo spazio panottico dell’edificio scolastico sottoponendolo a un processo incontrollabile di falsificazione.
Inoltre, La sala professori affronta la tematica della sorveglianza non solo a livello di contenuto, ma anche di forma: nonostante le vicende implichino da parte dei personaggi un travolgente coinvolgimento emotivo, il regista non costruisce soggettive al fine di produrre una maggiore identificazione, ma impone invece un punto di vista impersonale. Assistiamo alle vicende come se stessimo guardando dal nulla (Zimmer 2015, p. 89). Si potrebbe parlare di una vera e propria estetica della sorveglianza che ha ormai influenzato profondamente la produzione cinematografica contemporanea.
Nel 2015 Catherine Zimmer conia l’espressione surveillance cinema per riferirsi non semplicemente alle iconografie della sorveglianza ricorrenti in alcuni film, piuttosto al modo in cui pratiche di sorveglianza diventano pratiche rappresentative e, viceversa, le pratiche rappresentative diventano sorveglianti (ivi, p. 2). La videosorveglianza si trasforma così in un genere narrativo che può assumere toni umoristici o ricreare la suspense del thriller e il brivido del cinema horror.
In effetti, gli stessi dispositivi del cinema sono strumenti di monitoraggio e sorveglianza, dotati di una dimensione voyeuristica: lo spettatore in La sala professori è un occhio sorvegliante che, a partire dalla sua volontà scopica di conoscenza, costituisce i personaggi del film osservandoli e scrutandoli. Assistendo a un montaggio di sguardi (quelli della professoressa Nowak, della signora Kuhn, di Oskar), lo spettatore impersona una specie di addetto ai monitor di una control room, intento a sorvegliare l’intero edificio scolastico. La ricognizione spaziale delle sequenze finali, in cui l’occhio meccanico della macchina da presa inquadra, tramite un punto di vista extradiegetico, i luoghi dell’edificio in successione (la sala professori, l’aula scolastica, il cortile, la palestra), offre allo spettatore un resoconto finale dei luoghi ormai vuoti dopo esser stati spazi sorvegliati.
Anche il cinema stesso, dunque, sembrerebbe esser nato da un impulso al controllo e alla sorveglianza: il dispositivo cinematografico può essere considerato una tecnologia culturale per la disciplina e la gestione del corpo umano (Cartwright 1995, p. 3), fortemente connessa all’esercizio di un controllo sociale sui corpi, assecondando la pulsione moderna di investigazione del corpo.
L’impulso del cinema delle origini verso un impianto corporeo – la sua insistenza a compiere atti sul corpo e a re-inventare la lezione di anatomia – si rivela espressione di un più ampio paradigma analitico epistemologico riguardante la geografia degli interni e l’incarnazione delle tecniche di osservazione (Bruno 2009, p. 101).
L’occhio della macchina da presa, agli albori della sua nascita, ambiva a restituire una porzione di realtà: proprio come gli occhi meccanici delle webcam, dei nostri smartphone, delle videocamere di sorveglianza, il dispositivo cinematografico era considerato un testimone oculare incontestabile. È proprio l’ingenua teoria della veridicità assoluta dell’occhio meccanico ad essere posta in questione in La sala professori.
La domanda è infatti lecita: le immagini registrate dalla webcam del computer della professoressa Nowak non potrebbero esser state manipolate? Montare, rallentare, accelerare, correggere il colore, sono solo alcune delle possibilità che incrinano la teoria dell’immagine registrata come oggettiva e incorruttibile. Non a caso, le lezioni della professoressa Nowak fanno tutte riferimento ad esempi matematici posti come verità assolute: l’identità tra due numeri, l’algoritmo del cubo di Rubik, Talete e la nascita dell’astronomia moderna; dal lato opposto rispetto alla scienza esatta della matematica, si situa invece il lavoro dei dispositivi di registrazione che, più che un’oggettività, ci restituiscono una parvenza di realtà. Nulla che abbia a che fare con i comportamenti umani e con la loro registrazione ha l’evidenza scientifica di un calcolo matematico.
Riferimenti bibliografici
G. Bruno, Atlante delle emozioni, Mondadori, Milano 2009.
L. Cartwright, Screening the Body: Tracing Medicine’s Visual Culture, University of Minnesota Press, Minneapolis 1995.
M. Gallagher, Are schools panoptic? in “Surveillance and Society”, n. 7, 2010.
D. Lyon, La società sorvegliata.Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2002.
C. Zimmer, Surveillance Cinema, New York University Press, New York 2015.
La sala professori. Regia: İlker Çatak; sceneggiatura: İlker Çatak, Johannes Duncker; fotografia: Judith Kaufmann; montaggio: Gesa Jäger; interpreti: Leonie Benesch, Leonard Stettnisch, Eva Löbau, Michael Klammer; produzione: if… Productions, Arte, Zweites Deutsches Fernsehen; distribuzione: Lucky Red; origine: Germania; durata: 98′; anno: 2023.