La parola live sembra diventata un ossimoro in questa fase di distanziamento sociale: concerti annullati o rimandati mentre Instagram, Facebook o YouTube ci hanno sommerso di performance musicali presentate come dal vivo. Performance, concerto, live, dal vivo sono spesso considerati sinonimi, tanto dall’audience quanto dall’industria e dalla stampa, pur avendo origini e accezioni diverse. Una performance musicale non è necessariamente pensata e prodotta come un concerto, ma il concerto live è un modello narrativo e produttivo, replicato dai media fuori dallo spazio della compresenza fisica e del qui ed ora.
Il 24 aprile Travis Scott ha radunato 12 milioni di utenti su Fortnite per Astronomical, una performance di 9 minuti: il rapper appare digitalizzato dentro l’ambiente del videogioco per presentare il nuovo singolo The Scotts. L’evento è stato ripetuto più volte e per questa ragione promosso come «tour», mentre testate come Wired, Mashable, Rolling Stone hanno parlato del «concerto di Travis Scott» e Fortnite rilanciava l’esperienza di «giocatori che hanno partecipato live». Ma cosa c’era del live, oltre alla possibilità per i giocatori di interagire tra di loro durante la performance digitale? Tuttavia, il dato che emerge da queste settimane va oltre la sospensione degli spettacoli dal vivo in presenza causata dalla pandemia: è la trasformazione del significato di live ad opera delle piattaforme digitali, un processo in atto da tempo.
Liveness, mediatizzazione e autenticità.
La definizione di live nasce in radio negli anni ’30 per distinguere i contenuti pre-registrati da quelli realizzati e trasmessi in tempo reale. È poi nella musica che l’idea della liveness diventa sinonimo di autenticità, di una performance genuina e senza filtri. Un concerto è un evento prodotto in serie, mediato tecnologicamente da amplificazione e software audio, spettacolarizzato da megaschermi ed effetti di palco: ma il performer deve apparire come vero, il concerto deve essere percepito come evento unico (Auslander 2008). Soprattutto nel fandom rock l’idea di live è spesso contrapposta a show: per i fan intransigenti, questo termine assume una connotazione negativa, e non rimanda alla complessità dei meccanismi produttivi e spettacolari dietro le quinte. Ma capita che anche la parte musicale dei concerti non sia sempre dal vivo: si ricorre a basi musicali pre-registrate, riprodotte in playback e mimate sul palco dal performer. Quando un performer viene scoperto a fingere il live, perde credibilità: uno degli ultimi casi famosi è quello dei Kiss, nel 2019. Live, con il tempo, è diventato tanto un sostantivo («il live di…»), quanto una categoria valutativa dei media (Van Es 2017). Il suffisso viene esibito tanto dai programmi TV (Saturday Night Live, Jimmy Kimmel Live, o Propaganda Live, per rimanere in ambito italiano) quanto dalle piattaforme nelle forme di trasmissione in diretta: Instagram Live, Facebook Live, YouTube Live. Il live è la promessa (illusoria) di qualcosa che avviene qui ed ora, senza filtri.
La piattaformizzazione della musica live.
In un recente sondaggio su un campione di circa 15.000 consumatori italiani di musica solo l’1,6% si dice disposto a pagare per concerti in streaming. Ma il fenomeno dei Couch Tour è una modalità produttiva e di consumo consolidata da anni, oltreoceano. L’esempio più significativo: nel 2015 oltre 400.000 persone hanno pagato 80 dollari per vedere in webcast o al cinema i cinque concerti di reunion dei Grateful Dead, contro i 360mila fisicamente presenti negli stadi di Santa Clara e Chicago. La piattaformizzazione della musica live nasce come versione ufficiale, aggiornata e digitalizzata dei bootleg, le registrazioni amatoriali o illegali che fin dagli anni ’60 costituiscono un mercato parallelo per i fan. Lo streaming dei Grateful Dead è stato curato da Nugs, piattaforma dedicata esclusivamente alla musica dal vivo, fondata nel 2002. In catalogo, registrazioni ufficiali audio e dirette video di grossi nomi del rock, in streaming su abbonamento o venduti singolarmente.
Ma non è solo un fenomeno di nicchia: Apple ha organizzato per anni festival e concerti (anche in Italia, in Piazza Liberty a Milano), resi disponibili in esclusiva agli utenti della sua piattaforma streaming. Le OTT hanno in catalogo speciali live di artisti: si pensi a Homecoming di Beyoncé e Springsteen on Broadway su Netflix, a Coldplay e The National su PrimeVideo; YouTube produce concerti esclusivi di grandi artisti ed è la piattaforma di dirette di festival come il Coachella.
Fino a qualche anno fa industria discografica e artisti erano scettici verso performance realizzate specificamente per una piattaforma video o per il web: erano percepite come una svalutazione della musica, in uno spazio di bassa qualità. Da qualche anno invece i format live per le piattaforme sono modalità diffuse di promozione della musica, con una funzione simile a quella dei videoclip: sembrano persino più autentici, senza il fastidioso playback. Il più famoso è il Tiny Desk Concert prodotto da NPR, una versione aggiornata del format televisivo Unplugged di MTV: gli artisti suonano per il web e tra le scrivanie degli uffici della radio pubblica americana. Ottocento performance che in dodici anni hanno generato più di tre miliardi di visualizzazioni; ma solo negli ultimi anni sono arrivate star come Taylor Swift, Harry Styles, Sting, Sheryl Crow, Coldplay.
Questi nuovi format mostrano come la «piattaformizzazione della produzione culturale» (Nieborg, Poell 2018) applicata alla musica live ne cambia le regole e i linguaggi. Le performance digitali sono spesso più brevi, o quando non è così risultano comunque prive di una struttura narrativa: si presentano come un flusso ininterrotto di canzoni eseguite in un contesto informale, alternate da chiacchiere o ospiti che intervengono a distanza; l’interazione con l’audience è delegata al feedback loop dei commenti: qualche artista li legge in tempo reale modificando il flusso stesso della performance.Abbiamo visto diversi esempi recenti, in Italia (come il Jova House Party di Jovanotti) e all’estero: dall’Instagram Live di Chris Martin dei Coldplay avvenuto il 16 marzo è nato il progetto One World: Together At Home, una serie di quarantacinque performance digitali e una diretta transmediale su TV e piattaforme video il 18 aprile, con otto ore e quasi ottanta artisti, con performance prevalentemente casalinghe.
Il futuro della liveness.
Come la musica registrata, anche la performance dal vivo è diventata una «Digital Music Commodity», ovvero una «combinazione particolare di dati e suoni che esiste come un’entità a sé stante, in vendita o accessibile in rete» (Morris 2015, p. 2). Tale era e tale rimarrà anche quando l’emergenza sarà finita, e si tornerà a formati di performance dal vivo in presenza. La piattaformizzazione della performance musicale sui social network ci ha insegnato quello che Giovanni Boccia Artieri e Laura Gemini definiscono «il bisogno di liveness all’epoca del distanziamento sociale», ipotizzando per il futuro forme blended di spettacolo dal vivo.
I “concertini su Instagram o su Facebook” che abbiamo visto in questo periodo sono evidentemente un palliativo dell’assenza delle esibizioni tradizionali. Ma anche performance digitali più strutturate e i Couch Tour non possono e non potranno sostituire completamente la musica dal vivo in presenza. La vera sfida sarà la creazione e diffusione di nuovi modelli digitali che si integrino alle performance in presenza e che abbiano un valore capace di compensare almeno in parte il filtro della piattaforma: dettagli non visibili, forme di interazione diversa e in tempo reale con l’artista (ad esempio, l’accesso guidato al backstage, o dei meet & greet digitali).
Queste nuove forme di performance verranno sempre definite Live: è un termine che riflette un sistema produttivo e narrativo complesso. Le trasformazioni dell’industria della musica sono in grado di fornire una chiave interpretativa e un modello di riferimento che aiuta a comprendere il concetto di liveness e le dinamiche della piattaformizzazione della produzione culturale tout court.
Riferimenti bibliografici
P. Auslander, Liveness. Performance in a Mediatized Culture, Routledge, London-New York 2008.
J.W. Morris, Selling Digital Music, Formatting Culture,University of California Press, Oakland 2015.
D.B. Nieborg, T. Poell, The Platformization of Cultural Production: Theorizing the Contingent Cultural Commodity, New Media & Society, 2018, Vol. 20(11), 4275–4292.
K. Van Es, The Future Of Live, Polity Press, Cambridge 2017.