In che senso La notte dei morti viventi può essere considerato un film sessantottino? E perché? Facciamo un passo indietro. Prima del film di Romero, gli horror erano già stati in grado di generare interpretazioni in grado di eccedere il genere. Un film di fantascienza come L’invasione degli ultracorpi (Snatchers, 1956), nato in un contesto di forte tensione ideologica, aveva per esempio recepito letture oppositive, alcune delle quali (metafora maccartista vs accusa anti-capitalista) avevano fatto capolino proprio negli anni Sessanta per poi detonare nel clima teorico del dibattito anglosassone degli anni Settanta.

Diversamente, un film come La notte dei morti viventi nasce già nella dimensione più meta-linguistica della protesta di quegli anni, e Romero era un perfetto rappresentante della controcultura. Dunque non ci troviamo a fare esegesi di un prodotto della cultura popolare pregno di controversie ideologiche nascoste, bensì di un testo perfettamente consapevole e desideroso di utilizzare l’horror come contenitore di elementi riflessivi e meta-discorsivi.

Nei manuali di retorica classica che abbiamo studiato all’Università, tra similitudine, metafora e allegoria ci sono quasi solo differenze di intensità. Secondo Lausberg, la metafora è un paragone abbreviato cui manca l’indicazione esplicita (non “Achille combatte come un leone”, ma “Achille è un leone in battaglia”). A sua volta, Lausberg scrive che “l’allegoria è la metafora continuata come tropo di pensiero”. Diremmo dunque l’intera storia di un leone in battaglia potrebbe rimandare alla vicenda di Achille (o viceversa).

L’allegoria di La notte dei morti viventi è lo zombi. Sebbene gli studiosi di horror abbiano messo in luce alcune precedenti comparse del morto vivente nella storia del cinema, non vi è dubbio che a Romero spetti il primato iconografico sulla rappresentazione dello zombi. Il morto vivente trasmette un’angoscia psicologica prima che simbolica: oltre alla trasgressione della morte, che appartiene al primo livello del fantastico, è nel trattamento del corpo che si esplicita l’orrore. Sarebbe infatti superficiale pensare che raccapriccio e ansia si esprimano solo nell’idea. È la cosa in sé, il corpo privato di cervello e ridotto a poltiglia (benché affamato), a ricordarci la finitudine organica del nostro essere e quanto l’inumazione o la cremazione sottraggano pietosamente nella vita reale lo spettacolo della riduzione a materia, della decomposizione del corpo, ai nostri occhi. Come spiega Barbara Le Maître nel suo bel viaggio dentro le suggestioni cliniche e filosofiche dello zombi, c’è tutta una storia rappresentativa che parte dal Medioevo e passa attraverso Charcot e la neurologia moderna.

Lo zombi parla per prima cosa di morte, poi di società. Merito di Romero intuire che bisognava offrire una rappresentazione organica e letterale del morto vivente con tutti i suoi imbarazzanti problemi fisiologici, e contemporaneamente gettarlo in faccia alla società per produrre allegorie del presente. In effetti, la storia degli uomini assediati dagli zombi è un’allegoria di altri assedi (il razzismo alle porte, come il celeberrimo finale suggerisce con una nuova metafora; o forse il neo-capitalismo famelico), con la differenza che – rispetto ad altre storie simboliche – qui si resta volontariamente e cocciutamente ancorati alla carne e alla paura.

Anche l’aspetto da film quasi studentesco che La notte dei morti viventi possiede, specie nella prima parte, risponde a esigenze di alternativa iconografica tipica della fine degli anni Sessanta. Per intenderci, siamo ben fuori dalla nascente New Hollywood, dove solo un anno prima Il laureato (1967) di Mike Nichols offriva una versione (legittima, s’intende) tutta interna alla borghesia bianca e alla società capitalista della crisi vocazionale dei giovani e del disinteresse delle nuove generazioni verso la mitologia famigliare. La New Hollywood, però, come noto – e secondo la lettura ancora valida di Franco La Polla – è in fondo il processo di riposizionamento del Capitale cinematografico verso l’agenda di interessi e sensibilità dei nuovi pubblici, mentre la lacerazione prodotta da Romero (poi sviluppata con grande lucidità teorica e ideologica nei seguiti, laddove l’allegoria anti-capitalista diventa palese) assume i toni di una ribellione all’ipocrisia degli Studios (e forse anche dei presunti indipendenti). In questo dobbiamo rinvenire il combinato di spericolatezza narrativa e ribalderia figurativa di La notte dei morti viventi rispetto al suo tempo.

Forse vale anche la pena ricordare la curiosa accoglienza del film, verso il quale né il pubblico né la critica erano preparati. È noto infatti che per un certo periodo, in quanto film non distribuito da una Major e privo di certe caratteristiche legali, La notte dei morti viventi circolò privo di divieti, visto dunque da molti minorenni e da spettatori disabituati al livello di violenza messo in scena. Ma se il pubblico intuì la radicalità dell’opera e – fatta la tara ad alcune reazioni di rifiuto – portò Romero a ottenere uno straordinario successo internazionale, fu la critica ufficiale a mostrarsi conservatrice, con i recensori delle principali testate americane che si dichiaravano disgustati dal sadismo del film, permettendosi persino di valutare moralmente l’operazione. Gli stessi critici, intendiamo, che salutavano invece con soddisfazione le innovazioni mainstream della New Hollywood, talvolta contribuendo a costruire un clima di simpatia artistica che si è poi rovesciato in una storiografia non solo benevola ma anche un po’ semplicistica nei confronti di questa decade.

E forse proprio nella separazione così netta di La notte dei morti viventi da un processo di legittimazione culturale del ceto intellettuale statunitense, dei critici newyorkesi dal gusto europeo e dei circoli più paludati, che intravediamo – anche nella storia della ricezione – in questo film un esempio concreto di sessantottismo al tempo stesso limpido e spontaneo, razionale e anarcoide.

Riferimenti bibliografici
H. Lausberg, Elementi di retorica, Il Mulino, Bologna 2002.
F. La Polla, Il nuovo cinema americano 1967-1975, Marsilio, Venezia 1978.
B. Le Maître, Zombie. Una favola antropologica, Armando Editore, Milano 2017.

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