«Il comporre perde totalmente il carattere di lavoro, diventa pura beatitudine.» Con queste parole Pëtr Il’ič Čajkovskij rivelava il senso di estasi, di passionale vertigine che provava nell’atto della creazione di note sublimi. L’abbacinante idolatria per la sua Mus(ic)a si può definire una mistica coltre che va ad oscurare la realtà circostante e qualsiasi relazione con il mondo. Anche Antonina Miljukova, la moglie di Čajkovskij, vive in una febbrile e divina adorazione ma stavolta per il genio del marito. Ed è con gli occhi del suo amour fou che vediamo il film di Kirill Serebrennikov, autore teatrale e cinematografico perseguitato nella (terra) madre Russia. Sono occhi alla ricerca di un’identità (in questo periodo lo stesso regista è uno straniero in patria), di affinità elettive destinate alla frustrazione e alla solitudine ma che vivono di fantasmatiche e spiritate visioni.
Antonina non si rassegnerà mai (nemmeno dopo la morte di Čajkovskij) al pensiero di essere stata un’estranea compagna di sventura per il celebre compositore e si abbandona a oniriche rappresentazioni dell’Es (lussuriosi congressi carnali con uomini sconosciuti e dai muscoli scultorei, fulgidi/algidi ritratti di gioie familiari mai vissute, il suo corpo sinuosamente danzante in un’anonima stanza). La mente della donna è preda dell’Ego del coniuge in un abyme senza coordinate spazio-temporali (anche se il racconto è cronologicamente scandito) che si esprime con sontuosi piani sequenza che annullano il principio di realtà.
Il talentoso Serebrennikov, pur nella contemplazione di immagini spesso deliranti non rinuncia a raffigurare i movimenti culturali della seconda metà dell’Ottocento in Russia (tra Pietroburgo, Mosca e Kiev) dettati da una comunità in fervente mutazione. In particolare nella pittura i paesaggi romantici idealizzati lasciano il posto ad ambienti naturali che riproducono la livida miseria di reietti in una società classista appoggiata da un Impero prossimo alla fine. Sono definiti Peredvižniki (Ambulanti) gli artisti che, dipingendo soggetti e situazioni di carattere storico-religioso, si pongono al servizio del popolo, confidando in un futuro di progresso ed emancipazione. Queste istanze diventano attualità cinematografica nell’accurata messinscena del film, ricca di folgoranti e preziosi dettagli (pratiche ritualistiche tra sacralità e magia, volti cristologici e maschere carnascialesche, laidi vicoli e signorili carrozze).
Arte e quotidianità si sovrappongono anche nella biografia di Čajkovskij: Antonina scrive lettere d’amore e le invia all’indifferente Pëtr dopo averlo conosciuto in un’occasione mondana, come avviene nell’opera Evgenij Onegin dove la protagonista Tat’jana svela i suoi patemi sentimentali in un’ardente epistola. Lo stesso Čajkovskij vede questa coincidenza come un segno fatale e il regista russo lo sottolinea rendendo Antonina consapevole di essere la sua fonte di ispirazione nonostante il controverso rapporto matrimoniale. La disprezzata signora r-esiste nella misura in cui eccita la creatività dell’illustre consorte, ma si tratta di un’effimera sensazione in quanto non pochi sono i presagi mortuari: le nozze sono mostrate con un funereo ricevimento, i tentativi di ricongiungimento nel talamo sono sterili.
L’intimità privata si specchia nella vita pubblica; sono emblematiche la discussione tra i due nell’elegante toilette di un ristorante, la superficie riflettente che scherma la figura di Antonina nella sala d’attesa della stazione ferroviaria, e le porte e finestre che si aprono ad illuminare scene da un matrimonio, facendo cadere il velo dell’ipocrisia borghese in un XIX secolo di luttuosa vanità. Sopravvive nella memoria collettiva (e nel palcoscenico/set) solo la potenza della scrittura (dalla levità/estrosità di Puškin con le sue intriganti trame al romanzo d’impegno morale/sociale di Tolstoj) e lo splendore dei colori (dall’intenso rosso “fuoco” di un abito di Antonina al grigio di quello indossato da Čajkovskij, il giallo ocra degli interni e le sofisticate sfumature cineree degli esterni). Serebrennikov ne è conscio e, con il suo colto tocco, “ri-compone” ed elabora le sue ossessioni (il potere della parola, le crisi spirituali individuali ed etniche, l’emarginazione politica) seguendo scrupolosamente il suo stile iconografico.
La moglie di Tchaikovsky. Regia e sceneggiatura: Kirill Serebrennikov; fotografia: Vladislav Opel’janc; montaggio: Juriij Karich; interpreti: Ekaterina Ermishina, Alyona Mikhailova, Odin Lund Biron, Nikita Elenev. produzione: Kinoprime Funds, Charades, Logical Pictures; distribuzione: Arthouse; origine: Russia, Francia, Svizzera; durata: 143′; anno: 2022.