La lotta per il teatro #01 Ottobre, parte del progetto di ricerca europeo INCOMMON. In Praise of Community. Shared creativity in Arts and Politics in Italy (1959-1979), è la prima tappa di una serie di momenti di lavoro pubblici che si articoleranno nei prossimi quattro anni.
Questa esperienza comincia in gruppo, con l’esplicitazione della sua pluralità. Si fonda sul riconoscersi differenti (una differenza che si vuole mettere in valore, che non può essere superata da nessuna posizione magistrale), perché ciò che ci preme in questo incontro, oggi, qui, è che esso si trasformi in una storia comune e parziale: un lavoro sulle e tra le differenze, che divenga ambiziosamente strumento di una politica del sapere, all’interno di una economia della conoscenza fondata invece su individualità e separatezze. La pluralità di percorsi, di posizioni, di generazioni, di pratiche che è rappresentata sia dal gruppo di lavoro sia dai partecipanti ai “campi”, dai reagenti, dagli ospiti e da tutti voi che avete risposto alla nostra chiamata – questa pluralità si incontra attorno a una questione comune, un’urgenza di fermarsi e fare il punto sulla necessità e sulle forme di una “lotta per il teatro” appunto, radicata nel presente e, almeno per questo primo incontro, nel contesto italiano. Si tratta qui oggi di dare avvio a un laboratorio plurale, se con esso si intende un’apertura al desiderio, alla tensione tesa a produrre e annodare linguaggio comune e discorsi personali. Si invoca, non di meno, a una carica festosa.
Ci siamo rivolti al Convegno del Nuovo Teatro, tenutosi a Ivrea grazie all’alleanza con la Olivetti nel 1967, con uno sguardo antimonumentale o non agiografico, così che le istanze, le forze e i desideri espressi allora siano terreno di confronto importante e necessario con l’oggi, con le pratiche artistiche e le sue pronunce, come il campo di investimenti politici, intellettuali, e amorosi. L’occasione del cinquantesimo anniversario del Convegno e del Manifesto che lo convocava sono stati allora un punto di partenza di un gesto intellettuale che intende fare storia non per celebrare, o discutere criticamente, ciò che è stato, ma per imprimere una traiettoria al presente, memori di parole e gesti che sono stati significativi, hanno trasformato un paesaggio e ancora riverberano nell’oggi e lo interrogano.
“La lotta per il teatro” si incunea dunque in una storia, consapevole della pluralità dei suoi strati e delle sue interazioni, e sin dal titolo fa riferimento al testo del Manifesto per un convegno sul nuovo teatro che si tenne a Ivrea, di cui è forse utile ripercorrere insieme alcuni passaggi, a partire dal “compito primo di ricerca e interpretazione [della critica]”; il sentirsi “estranei ai modi, alle mentalità e alle esperienze del teatro cosiddetto ufficiale e alla politica ufficiale nei riguardi del teatro” e il fatto che, pur non ponendosi come gruppo, “al di sopra di ogni diversità pensiamo però di poter individuare una sufficiente forza di coesione nel trovarci comunque di fronte a problemi di lavoro fondamentalmente analoghi”; l’obiettivo di “suscitare, raccogliere, valorizzare, difendere nuove forze e tendenze del teatro, in un continuo rapporto di scambio con tutte le altre manifestazioni artistiche, sulla linea delle esigenze delle nuove generazioni teatrali”; la rivendicazione di “estesi margini di errore” e il rifiuto di “un’attività ufficialmente definita come sperimentale, ma costretta ad allinearsi alle posizioni dominanti; e infine la natura di “convegno di apertura e di verifica”.
Così come il Convegno del Nuovo Teatro riunì allora artisti, intellettuali, critici e operatori portando di fatto a visibilità un orizzonte comune che era prima di allora forse intuito ma certamente non praticato come tale dai suoi protagonisti, abbiamo pensato a questo Ottobre di Lotta per il Teatro come un tempo e un luogo in cui il sapere non si costruisca in pace ma, facendo spola tra esperienza e teoria, si dia come uno spazio critico formato con le pietre portate da ciascuno – l’immagine è di Michel de Certeau – per edificare così un transito comune che contempli una certa dose di rigore e promiscuità. Agli artisti, ai critici, ai teorici invitati – in questo primo momento d’incontro – è chiesto di “partire da sé”. “Partire da sé” non è un invito a restare narcisisticamente ancorati alla propria specificità individuale, al proprio punto di vista, ma viceversa l’occasione per “separarsene”, per innescare, attraverso le proprie pratiche singolari, un plurale non fissato nella logica dell’identità, e capace di camminare nella contingenza, anche in virtù della interconnessione di dati osservati e investimenti soggettivi.
L’invito che abbiamo rivolto a tutti gli ospiti che abbiamo convocato, è quello di restare insieme per due giorni e prendere parte tanto alle discussioni dei singoli “campi” (che sono momenti densi, in cui verrà innanzitutto data la parola ad alcuni ospiti e quindi aperto un confronto tra di loro e poi ai “reagenti” e ai partecipanti), quanto ai momenti di scambio più collettivo e circolare (e a quelli di conversazione informale). Prenderci un tempo insieme è infatti un gesto politico, oggi più che mai, il solo che possa permetterci di stare, individualmente e collettivamente, nella densità e complessità delle parole e delle pratiche di cui siamo portatrici e portatori.
*Il testo di apertura al Convegno La lotta per il teatro. #01 Ottobre di cui si pubblica un estratto è stato scritto da Annalisa Sacchi insieme a Silvia Bottiroli, Ilenia Caleo, Piersandra Di Matteo, Enrico Pitozzi, Stefano Tomassini che, collettivamente, hanno curato l’evento.
*Nell’articolo e in copertina Cathy Berberian, Convegno Ivrea 1967. Courtesy: associazione culturale itàca.