Un grande paio di baffi neri all’insù su uno sfondo bianco si staglia con nettezza sulla copertina del libro di Paolo Vignola La funzione N. Sulla macchinazione filosofica in Deleuze (Orthotes, Napoli-Salerno, 2018). Sono i leggendari baffi di Nietzsche, naturalmente, il filosofo di cui si approfondisce in questo libro il legame con Deleuze (e forse anche i baffi dell’autore del volume). Ma sono anche un segno, un sorta di logo che sta ad indicare un modo differente da quello tradizionale di concepire la storia della filosofia, non più riflessione su un autore, commento filologicamente fedele, ma tradimento, “macchinazione”. Si tratta insomma di sottoporre l’autore che si è scelto di studiare, e con cui dunque si ha una causa in comune, a una serie di variazioni, di ripetizioni differenzianti tali per cui, come scrive Deleuze nel 1968 in Differenza e ripetizione, si può immaginare «un Hegel filosoficamente barbuto, un Marx filosoficamente glabro così come si pensa ad una gioconda baffuta».
È questo il primo focus del libro di Vignola, che nel ricostruire la doppia influenza che lega Nietzsche a Deleuze e Deleuze a Nietzsche – una influenza reciproca per la quale lo stesso filosofo tedesco risulta trasformato, “macchinato” dal trattamento del francese – si concentra innanzitutto sulla possibilità di una “contro-storia della filosofia”. Se Deleuze è stato uno degli operatori più impegnati nella cosiddetta Nietzsche-Renaissance francese, che di fatto ha partorito un nuovo Nietzsche, l’influsso del filosofo col martello è stato infatti per Deleuze, dagli anni sessanta in poi, un vero e proprio fattore di contagio.
Secondo Vignola, convincentemente, è stato infatti in primo luogo il pensiero nietzschiano a guidare Deleuze nella concezione di storia della filosofia come possibilità di prendere un autore e «fargli fare un figlio mostruoso», proponendo una «immacolata concezione» molto citata dai suoi lettori ma forse mai presa abbastanza seriamente. L’autore di questo libro la prende seriamente, invece e per fortuna, e scrive un testo ispirato dal doppio vincolo tra Nietzsche e Deleuze in cui “macchina” i suoi autori senza l’enfasi del fedele o il distacco dell’erudito.
Se nel libro su Kafka del 1975 la funzione K per Deleuze e Guattari significava un concatenamento collettivo tra autore e personaggi, una indiscernibilità tra narratore e narrato, «la funzione N agisce nel campo della storia della filosofia, sia in direzione del futuro, sia lateralmente, vale a dire per uscirne, offrendo la possibilità di parlare “a proprio nome” attraverso il nome di Nietzsche» (Vignola 2018, p. 31), permettendo in un colpo solo di sottrarsi all’autorialità, all’interiorità, al dogmatismo. La funzione N, certo solo una delle possibili chiavi per entrare nell’opera di Deleuze, ma a mio avviso tra quelle più produttive, è ciò che guida il filosofo francese contro una certa idea della filosofia e della sua storia, contro l’idea di desiderio come mancanza proposta dalla psicoanalisi, contro qualunque forma di criterio trascendente, ma anche costruttivamente verso una nuova immagine del pensiero.
La proposta nietzschiana di un pensiero che non è mai antecedente a ciò che pensa, di una vita come campo di lotta tra forze attive e reattive guiderà Deleuze, insieme ad altri autori come Simondon, giustamente molto trattato, nella costruzione di quel campo trascendentale impersonale anch’esso definito da Vignola un «trascendentale coi baffi»: un campo popolato da singolarità anonime e nomadi, da intensità e forze vitali, e che diverrà poi il piano d’immanenza. «Se il pensiero non è mosso da facoltà innate, ma da intensità che lo costringono a pensare, violentandolo, scioccandolo e attraversandolo, queste stesse intensità formano un campo trascendentale che può perciò dirsi impersonale. Si tratta, a ben vedere, di un’altra operazione mostruosa, che si scontra inevitabilmente con tutta la tradizione filosofica» (ivi, p. 63).
Un altro importante focus del libro riguarda invece le possibilità di sviluppo politico di questo legame filosofico, uno sviluppo che risponda alla pressione del Fuori della filosofia, ovvero una contemporaneità sempre più attraversata e dominata da razzismi, nazionalismi e fascismi. Così, nei libri scritti con Guattari le forze attive promosse da Nietzsche nell’ambito dell’etica si proiettano nella nozione di inconscio produttivo messa al centro dell’Anti–Edipo contro una psicoanalisi segnata dalla castrazione e dal familiarismo, ma anche nelle coppie maggiore-minore e molare-molecolare del libro su Kafka e di Mille piani, fino alla proposta di una geofilosofia nell’ultimo libro del 1991, Che cos’è la filosofia?.
Qui Vignola mostra soprattutto la potenzialità politica che hanno i lavori di Deleuze e Guattari sulla letteratura e il linguaggio, forte anche delle sue precedenti analisi (oltre a vari articoli, penso soprattutto al libro La lingua animale, Quodlibet, 2011). Se Kafka è lo scrittore che meglio esprime questa fuga attiva dalla rappresentazione, propria delle lingue maggioritarie, e l’immediato valore politico della lingua minore, «gli scrittori americani cari a Deleuze hanno un chiaro compito micropolitico, intrinsecamente doppio, vale a dire delirare e far delirare la lingua, “uscire dal solco” a cui un soggetto, così come un idioma sono assegnati e parallelamente, incrociare linee e flussi di divenire che riguardano le etnie, i generi e le specie» (ivi, p. 134).
Allo stesso modo, è ancora Nietzsche a fornire la formula generale della “contro-effettuazione” come lotta attiva e molecolare che frammenta e modifica dall’interno l’organizzazione molare, maggioritaria, inquestionabile. È al termine del libro, a questo riguardo, che Vignola propone come complemento necessario all’antifascismo “verso l’esterno”, contro l’altro, il termine “controfascismo”, una lotta di “autodecostruzione” interna al nostro proprio fascismo di cui i personaggi concettuali di Deleuze e Guattari sono espressione, così come i personaggi letterari, Bartleby, Alice, Achab, da loro ripresi e trasformati. Se la macchinazione sta all’opposto della interpretazione, come sottolinea Fabio Polidori nella sua prefazione al testo (ivi, p. 9), essa appare come l’operazione radicale di una filosofia da cui anche il superuomo nietzschiano, divenuto singolarità impersonale, esce «letteralmente trasfigurato, un figlio mostruoso dell’immacolata concezione, talmente irriconoscibile da assumere i tratti di un “popolo eternamente minore”, un popolo che manca e che resta a venire» (ivi, p. 172).
Riferimenti bibliografici
G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina, Milano 1997.
G. Deleuze e F. Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, Quodlibet, Macerata 2010.
P. Vignola, La funzione N. Sulla macchinazione filosofica in Deleuze, Orthotes, Napoli-Salerno 2018.
Id., La lingua animale. Deleuze attraverso la letteratura, Quodlibet, Macerata 2011.