«Non potrebbe essere proprio questa fuoriuscita da sé – la sua continua deterritorializzazione – il tratto più originalmente vivente del pensiero italiano?» si chiede Roberto Esposito nel Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana (2010, p. 16). È a partire da questo intrinseco e originario movimento verso il fuori che Sara Fortuna – in La filosofia italiana e la scuola. Democrazia, Inclusione, Plurilinguismo (NeP Edizioni, 2023) – rilegge appunto la filosofia italiana a partire da una visuale originale, quello della scuola come dispositivo non escludente, ossia appunto sempre in relazione con il fuori. In effetti se c’è un carattere peculiare della scuola italiana è la sua capacità di includere al suo interno anche, e forse soprattutto, chi – per ragioni socio-economiche o cognitive – in linea di principio non rientra negli “standard” delle competenze richieste per la “normale” frequenza delle lezioni.
Originale è anche il modo in cui Sara Fortuna affronta questo tema, mettendo insieme riflessione scientifica ed esperienza personale. Fortuna vive infatti a Berlino, e comincia a riflettere sulla scuola e la tradizione italiana filosofica quando i suoi figli cominciano il percorso educativo in Germania. E qui scopre l’esistenza di qualcosa che in Italia, per fortuna, non esiste più (anche se c’è sempre la tentazione di farle rinascere), le cosiddette «scuole speciali, le Sonderschule, dove sono obbligatoriamente scolarizzati bambini e ragazzi disabili» (Fortuna 2023, p. 35; in Italia le corrispondenti “classi differenziali” per «soggetti che presentano anomalie o anormalità somato-psichiche» furono abolite nel 1977). Il meccanismo dell’esclusione vale anche nell’altro senso, a favore delle bambine e dei bambini particolarmente dotati: «Ovviamente la concezione di una scuola esclusiva di successo è tesa anzitutto a identificare gli elementi più validi gli überbegabte Kinder, i bambini superdotati, da cui le scuole tedesche sembrano ossessionate e verso cui hanno lo stesso atteggiamento che si ha verso un cavallo di scuderia particolarmente promettente» (ivi, p. 44).
In entrambi i casi la scuola di tutti da un lato esclude chi per qualunque ragione venga giudicato al di sotto degli “standard” richiesti, dall’altro cerca di escludere anche chi si trova al di sopra di quegli “standard”. Si tratta di costruire spazi, per usare l’efficace espressione di Deleuze e Guattari, “territorializzati”, ossia chiusi rispetto al fuori, spazi al proprio interno omogenei e immunizzati nei confronti dell’esterno. Al contrario si comprende perché per Fortuna il modello della scuola italiana, basato invece sul principio dell’inclusione, sia una scuola (con tutti i suoi problemi) sotto il segno di una “continua deterritorializzazione”: ossia una scuola che non solo non si chiude rispetto alla relazione con il mondo non-scolastico, ma che anzi valorizza e accoglie questa relazione con il fuori. Una relazione che è anche, e immediatamente, politica, perché una società inclusiva non può non basarsi su una scuola altrettanto inclusiva:
Oggi nel dibattito italiano sulla scuola si punta molto a sottolineare l’importanza che la scuola si apra ancora di più, che sia in relazione costante con la società e ne rifletta e faccia propri i principali cambiamenti. C’è certamente ancora moltissimo da ottenere, però studiare l’evoluzione della scuola italiana consente di comprendere che in essa è stata fondamentale un’intuizione forte rispetto alla relazione circolare virtuosa tra politica, società e istituzione scolastica. Cambiare la scuola (sul piano delle riforme e delle metodologie didattiche e pedagogiche) è condizione necessaria perché la società si trasformi, affinché diventi più democratica (ivi, pp. 47-48).
Una scuola più democratica non può volere dire che una scuola più aperta, più inclusiva, più “estroflessa”, cioè una scuola che non teme di “contaminarsi” con l’esterno, perché l’esterno è sempre impuro, e quindi potenzialmente pericoloso, ma proprio perché impuro e potenzialmente “pericoloso” può anche essere generatore di novità. In effetti il rischio principale per ogni organismo vivente e sociale è la chiusura immunitaria rispetto all’esterno, in una difesa di una fantomatica sicurezza identitaria che finisce, sempre, per aprire la strada alla malattia autoimmune, cioè quella malattia in cui il corpo si aggredisce da solo, dall’interno (come abbiamo visto, peraltro, nel tetro divieto di andare a scuola durante la pandemia, la misura forse più inumana di quegli anni; una misura che privilegiava appunto l’immunità rispetto alla relazione, con tutti i rischi che comporta). È questo il punto decisivo del libro di Sara Fortuna, la scuola estroflessa ed inclusiva, con tutti i problemi che questa inclusione comporta, è una scuola che non privilegia la sicurezza e il conformismo sociale. Al contrario,
la scuola inclusiva è una minaccia a un sistema [come quello della scuola tedesca] che deve garantire non solo che tutti gli scolari raggiungano gli stessi standard che non vengono mai messi in discussione, ma anche e soprattutto che la selezione compiuta dagli insegnanti con decisione insindacabile garantisca che nel mondo del lavoro ciascuno svolga il lavoro per cui ha le migliori competenze. Prova inconfutabile che la scuola è vista anzitutto come sistema è che i bambini problematici, quelli che si oppongono, provocano, disturbano, vengono chiamati Systemspränger, coloro che fanno esplodere il sistema (ivi, p. 59).
Ma è evidente, scrive subito dopo Fortuna, che tutte le bambine e bambini sono Systemspränger. Com’è altrettanto evidente che un sistema sociale è sano e democratico solo se tutte e tutti i Systemspränger sono accolti al suo interno. Infatti l’effetto principale della scuola dell’esclusione è di produrre divisioni, in nome dell’efficienza e della valutazione delle competenze, cioè tante piccole bolle immunitarie. Ma questo significa che il sistema democratico di una nazione non ritiene che tutte e tutti, almeno in linea di principio, possano aspirare a qualunque posizione sociale e lavorativa:
La scuola selettiva, infatti, ha impresso uno stigma che è difficile cancellare; ha affermato che alcuni bambini e ragazzi non hanno le stesse capacità che danno ad altri compagni il diritto di studiare molti più anni e anche quello di avere una cultura generale non finalizzata alla propria attività professionale. Era proprio questo il discorso politicamente dirompente di Don Milani e della scuola di Barbiana: che la scuola dia a tutti la stessa possibilità culturale e linguistica, che renda possibile a tutti partecipare in modo competente e allo stesso livello al dibattito pubblico (ivi, p. 53).
Il libro di Sara Fortuna mette in evidenza le radici civili e filosofiche di un sistema formativo che vede nella diversità e nell’inclusione la funzione principale della scuola e che si collega, è questa la tesi di fondo del libro, a quel pensiero vivente di cui Roberto Esposito ricostruisce la genealogia. Un pensiero che non solo non vede nei Systemspränger un elemento di disturbo dell’ordine del sistema, ma che, al contrario, li vede come il motore dello sviluppo sociale, cioè che rende vivo quell’altrimenti asfittico sistema immunitario. Un pensiero, come scrive Esposito, che nasce appunto dalla «singolare propensione, da parte della filosofia italiana, nei confronti del non-filosofico», infatti «sia l’impegno civile che la contaminazione con altri stili di espressione determinano un effetto di rottura nei confronti del lessico, specializzato e autoreferenziale, che caratterizza, invece, il discorso filosofico di altre tradizioni» (Esposito 2010).
In questo contesto Sara Fortuna evidenzia una dimensione particolare di questa tradizione di pensiero, quella del plurilinguismo (l’italiano è la lingua nazionale da un secolo e mezzo circa, per millenni la penisola è stata una terra dove si parlavano, e tuttora si parlano, una varietà di lingue diverse): l’Italian Thought «è un pensiero ibrido che si esprime attraverso un linguaggio ibrido, mettendo a tema il carattere plurilinguistico del tessuto sociale italiano, il rapporto tra uso linguistico, politica e il conflitto sociale che sempre segna la questione della lingua» (Fortuna 2023, p. 98), un plurilinguismo che significa anche «priorità della dimensione comunitaria rispetto a quella del soggetto isolato» (ivi, p. 99).
A scuola come nella società, ché la scuola è il modello della società che viene, la diversità, e quindi la contaminazione e il conflitto che ne deriva inevitabilmente, non un fastidio o un pericolo da escludere: senza i Systemspränger la società e la scuola finiscono per soffocare e irrancidire per troppa polverosa sicurezza. E naturalmente, è questo il senso ultimo nel libro, tutte e tutti noi siamo dei Systemspränger, non possiamo non esserlo, siamo cioè i nostri stessi “sabotatori” che ci impediscono di cadere nella continua, e noiosissima, ripetizione della nostra sempre più vecchia identità. In questa luce vanno lette le pagine che Sara Fortuna dedica all’ironia e soprattutto all’autoironia:
Ironia e autoironia non si insegnano formalmente, sono un gesto che si trasmette in modo inconsapevole, che si assimila da una cultura che ne è fortemente permeata. Quando in un tessuto culturale è assente, o poco presente, è possibile che non lo si percepisca subito chiaramente, ma solo come un malessere per una mancanza oscura. Così mi sono resa conto relativamente tardi che in Germania la pratica dell’autoironia è rara, chiedendone cautamente le ragioni a una persona abbastanza intima ho ricevuto questa domanda-risposta stupefacente: Chi farebbe così del male a sé stesso? Quello che fa male a chi si rifiuta al gesto dell’autoironia è l’esposizione della propria fragilità. Questo vuol dire non capire che proprio nel momento in cui essa è autoesposta, in uno sguardo di divertimento e di canzonatura, chi lo fa è capace di un distacco parziale, che, modulandola, trasforma la debolezza in forza (ivi, p. 150).
Riferimenti bibliografici
R. Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Einaudi, Torino 2010.
Sara Fortuna, La filosofia italiana e la scuola. Democrazia, Inclusione, Plurilinguismo, NeP Edizioni, Roma 2023.