La madre è un’entità culturale, mitica e psicoanalitica che continua a popolare il cinema horror, soprattutto di fronte a una maggior consapevolezza collettiva delle strutture patriarcali che implicano il sacrificio della donna nel nome della maternità. Massimo Recalcati osserva quanto sia la madre del sacrificio che il suo opposto ricadano nella patologizzazione nel momento in cui viene a mancare una complicità tra il desiderio della madre e quello della donna. Da un lato, troviamo la madre coccodrillo, che imprigiona la prole in un incesto che rifiuta la Legge, la separazione. Dall’altro, abbiamo la madre narcisista, che considera i figli un intralcio per la propria autodeterminazione, abbandonandoli a sé stessi. La maternità è, quindi, un territorio ambivalente, in cui il desiderio della donna (insieme alla Legge paterna) è la condizione necessaria per l’accesso del bambino all’ordine simbolico, al di là del godimento materno. Al contempo, l’egemonia patriarcale e le aspettative socioculturali continuano a non facilitare una giusta distanza tra la madre e la donna, portando al sacrificio di una per l’altra.
Queste sono le premesse per introdurre La casa – Il risveglio del male, che, dopo un prologo omaggiante il capolavoro di Sam Raimi, abbandona cottage nei boschi e personaggi adolescenziali per collocarsi sul versante del gynaehorror, con cui Erin Harrington individua quegli horror sulle paure legate al corpo della donna, dal punto di vista sessuale e riproduttivo. È lo sguardo femminile a definire l’universo estetico e narrativo del film, costruito sul confronto tra due sorelle, due conflitti che scivolano specularmente l’uno nell’altro: da un lato Ellie (Alyssa Sutherland), abbandonata da suo marito e costretta a lasciare, a breve, l’appartamento in cui vive con i tre figli; dall’altro Beth (Lily Sullivan), tecnica del suono, single, la cui indipendenza è messa in crisi da una gravidanza inattesa, che la spinge a tornare dalla sorella in cerca di supporto.
Una madre e una futura madre, entrambe sole, in conflitto con una figura materna incapace di adempiere alla sua funzione genitoriale. È sulla maternità e sulla sessualità che si gioca il conflitto latente tra le due: l’indipendenza di Beth è filtrata dallo sguardo sottilmente punitivo di Ellie, cristallizzata nell’immagine della groupie con cui è presentata agli occhi degli altri, mistificando la sua vera professione per identificarla come ragazza superficiale e frivola, non idonea alla maternità (“Sai, assomigli tanto alla mamma. E fallirai miseramente proprio come lei”, le sussurrerà una Ellie posseduta nel finale).
Le tensioni familiari sfociano nell’emblematico terremoto che porta alla scoperta del libro maledetto, nascosto nei sotterranei dell’edificio, paradigma di quel represso che l’horror statunitense ha da sempre situato nella famiglia, carnefice e vittima, brutalmente esposta e violata dal modern horror in poi, spesso attraverso l’immaginario del mostruoso-femminile descritto da Barbara Creed. Il libro rivela il Reale di un godimento materno capace di mettere in crisi l’ordine simbolico della famiglia, attraverso un’abiezione che devasta progressivamente tanto l’edificio quanto i corpi.
Vera e propria eterotopia dell’orrore, il palazzo diventa il sito di un’alterità minacciosa, astratta, che Creed identificherebbe con l’entità mitica della Madre Arcaica, pre-fallica, che reincorpora coloro a cui ha dato vita. Infatti, l’edificio è definito da un simbolismo femminile, che dimostra l’impossibile separazione da tale spazio dell’indifferenziazione; basti pensare alle porte dell’ascensore che, alla stregua di labbra vaginali, si aprono e si chiudono, impedendo la fuga dalla Grande Madre.
La ricorrenza del colore rosso compartecipa all’incontro dei personaggi e dello spettatore con l’abiezione, associata simbolicamente al sangue mestruale, per Julia Kristeva emblema dell’impurità insita nel tabù del corpo femminile segnato dalla castrazione. Infatti, è rappresentativo quanto Ellie venga introdotta nel tingersi i capelli di rosso, scelta diegeticamente poco rilevante, se non per l’associazione dell’asciugamano bianco sulla testa della donna a un assorbente interno, come ironizzato da Beth. Il colore è pensato «come ciò che si serve di oggetti diversi per modellare la propria ricorsività dentro le immagini» (Venzi 2018, p. 210), divenendo presenza esteticamente funzionale alla produzione di senso.
La ricorrenza della tinta anticipa lo sprofondamento di Beth e della nipotina Kassie (Nell Fisher) nell’ascensore insanguinato (chiaro omaggio a Kubrick), da cui sono espulse attraverso una violenta mestruazione, che prepara profeticamente la fuga dalla Madre. Il corpo delle due sorelle assorbe su di sé la tinta sanguinolenta, ma con valenze simbolicamente differenti: se Beth deve immergersi nell’abiezione del luogo (il bagno di sangue) come condizione necessaria per emanciparsi dallo stadio di indifferenziazione della chora materna (lasciandosi alle spalle lo spettro della madre), Ellie è sin da subito (attraverso la tinta) vettore carnale della Madre Arcaica, di cui diviene fallo mancante o vagina dentata.
L’ambivalenza è, quindi, la cifra stilistica e narrativa del film, esteticamente visualizzata dalla doppiezza simbolica del rosso e, narrativamente, dalla duplice valenza del mostruoso-materno incarnato dalla possessione di Ellie, sospesa tra madre del sacrificio e sacrificio della madre. Per Lacan, nell’inconscio materno si situa una spinta alla fagocitazione della prole, intrinseca al suo desiderio. È tale pulsione sadico-orale che si nasconde nel sacrificio della donna a vantaggio della madre del focolare domestico, come sembra suggerirci Ellie mentre, preparando una frittata insanguinata ai figli, racconta di aver sognato di farli a pezzi per infilarsi nei loro corpi, come un’unica famiglia felice. Il desiderio di un ritorno all’Uno rivela il volto della madre fallica, in cui, per Creed, è collassata la Arcaica. È la madre che non conosce castrazione, che strappa i figli al Nome del Padre, che gode di essi al punto da impedire loro la separazione e che non sa riconoscersi al di fuori del suo ruolo materno.
Al contempo, Ellie scivola anche nel versante narcisistico: “Sono libera ora. Libera da voi parassiti succhia tette”. Nel rigetto del seno, la madre sadico-orale si tramuta in una moderna Medea, che estremizza patologicamente il desiderio della donna attraverso l’assassinio della prole. La possessione diventa, agli occhi di Beth, una rivelazione epifanica delle ambivalenze sottese alla maternità che la attende, ingabbiata tra due desideri conflittuali. Il film non concede una mediazione, favorendo il (patriarcale) sacrificio della donna a vantaggio della madre cannibale, mediante la fagocitazione fisica dei figli che, in una reinterpretazione rovesciata del parto, si fanno spazio a mani nude tra le ferite del genitore, canali vaginali attraverso cui si reintroducono nel corpo di una Ellie sorridente e in preda a un godimento incestuoso. L’avvento finale della madre-tutta-madre, come la definirebbe Recalcati, sancisce non solo il fallimento della Legge paterna (di fatto assente), quanto del desiderio della donna come mediazione necessaria affinché una madre possa non concedersi del tutto ai propri figli.
Se il Male non può essere estirpato, come testimonia il finale, al contempo la catabasi abietta di Beth si apre al futuro, negato invece a Ellie, fagocitata dal godimento masturbatorio dell’Uno. Ci si chiede quali saranno gli esiti della rivelazione del mostruoso-materno su Beth, chiamata a prendersi cura dell’unica nipote sopravvissuta e del futuro figlio: anche lei sacrificherà la donna a vantaggio della madre fallica? O si libererà narcisisticamente dei suoi “parassiti succhia tette”? Oppure saprà supportare il desiderio materno attraverso quello della donna, in un equilibrio fondativo che non renda i figli degli oggetti-fallo o oggetti-scarto? Domande che rimangono aperte come potenziali materiali narrativi per ulteriori estensioni della saga.
Riferimenti bibliografici
B. Creed, The Monstrous-Feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, Routledge, New York-London 1993.
E. Harrington, Women, Monstrosity and Horror Film: Gynaehorror, Routledge, New York-London 2018.
J. Kristeva, Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, Spirali, Milano 2006.
M. Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, Milano 2021.
L. Venzi, Tinte esposte. Studi sul colore nel cinema, Pellegrini Editore, Cosenza 2018.
La casa – Il risveglio del male. Regia: Lee Cronin; sceneggiatura: Lee Cronin; fotografia: Dave Garbett; montaggio: Bryan Shaw; musiche: Stephen McKeon; interpreti: Lily Sullivan, Alyssa Sutherland, Morgan Davies; produzione: Warner Bros. Pictures, New Line Cinema; distribuzione: Warner Bros Italia; origine: Stati Uniti d’America, Nuova Zelanda; durata: 97’; anno: 2023.