Se Coma (2022) era ambientato durante una catastrofe contemporanea, quella della pandemia, che sembra aver reso il mondo ancora più automatizzato, con La bête, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, Bertrand Bonello ci porta in un futuro prossimo in cui il cataclisma è presagito. Siamo nel 2044, in un mondo in cui la disoccupazione è arrivata a più del 60% perché la maggior parte dei lavori viene svolta da macchine e automi, mentre le cosiddette useless people possono andare incontro ad un progetto di purificazione e ottenere un’occupazione. Gabrielle (Léa Seydoux) non riesce infatti ad ottenere un impiego perché potendo provare ancora emozioni non garantirebbe un’efficienza e un self control che chi ha svolto il trattamento può provvedere. Decide allora di sottoporsi a questo processo durante il quale, all’interno di una vasca di deprivazione sensoriale, una macchina ripesca i ricordi delle vite precedenti della donna; per fare in modo che il trattamento si possa compiere occorre rielaborare i propri traumi.

Dalla fantascienza distopica passiamo al melodramma in costume. Siamo all’inizio del XX secolo e Gabrielle ha un marito che dice di amare e che sembra amarla. Una sera durante una festa incontra nuovamente un uomo, Louis (George MacKay), che aveva visto anni prima. C’è stata un’infatuazione per entrambi all’epoca ma poi le loro vite hanno preso due strade diverse. I due iniziano a conoscersi, a frequentarsi, la donna è restia a lasciarsi coinvolgere dalla situazione, sente che una minaccia aleggia sopra la sua esistenza mentre incorre una catastrofe naturale: Parigi sta piano piano venendo sommersa dalle acque della Senna. Le immagini di questa sua vita precedente si alternano con un altro piano temporale, questa volta siamo dalle parti del thriller. È il 2014, Gabrielle è una giovane modella che, trasferitasi a Los Angeles, sta cercando di iniziare una carriera d’attrice ma ha difficoltà a trovare lavoro tanto che le sue colleghe modelle le dicono che dovrebbe rivolgersi ad un chirurgo plastico e ringiovanire i lineamenti. Anche in questa vita, Gabrielle incontra Louis. Questa volta non assistiamo al nascere di un rapporto amoroso ma ad un incontro distruttivo che si conclude con analogo epilogo rispetto al racconto precedente. In California, il cataclisma naturale, annunciato ancora una volta da un uccello del malaugurio, è un terremoto. Ma non è la sola catastrofe. Nonostante abbia rivissuto i traumi delle vite precedenti, Léa non riesce a portare a compimento il processo di purificazione perché “colpevole” di emozionarsi ancora davanti ad un’immagine, ovvero quella della sua morte. Louis tornerà nel destino di Gabrielle anche nella realtà futura segnando ancora una volta un tragico epilogo. È lui la bestia che può essere fonte di morte o di salvezza e verso la quale la donna è legata indissolubilmente.

Oltre a riflettere sul libero arbitrio, su una società del controllo che vuole privare le persone delle proprie emozioni, che vengono viste come una condanna, e portano inevitabilmente alla sofferenza se non possono essere condivise, Bonello traccia anche un percorso di emancipazione della figura femminile. La bambola è un oggetto centrale all’interno del film, il marito di Gabrielle a inizio del secolo scorso è proprietario di una fabbrica di bambole, nella vita seguente, in California, la giovane possiede una bambola che sembra osservarla dalla scrivania, mentre nella dimensione futuristica il termine viene usato dalla donna per indicare un automa femminile che la segue cercando di soddisfarla in tutto e per tutto.

All’interno del film la bambola subisce un’evoluzione, dalla porcellana alla plastica, fino ad una figura in carne ed ossa, che sorvegliando Gabrielle sembra quasi cercare di intrappolarla in un mondo in cui l’unica espressione da poter tenere è un’espressione neutra, un sorriso appena pronunciato, che possa accontentare tutti, come dice la donna a Louis che le chiede da quali fattezze partissero le bambole realizzate nella fabbrica del marito. “Non ci sono bambole felici o tristi”, automatismo verso cui si muovono gli esseri umani nel futuro distopico. Nel racconto californiano la bambola diventa un elemento perturbante, in una dimensione quasi lynchiana in cui i volti devono venire deformati e l’ideale di bellezza è naufragato nei pop up di siti pornografici che appaiono come un virus sul laptop di Gabrielle. Potremmo inoltre dire che La bête è anche un film sul potere che può avere il cinema e l’immagine di emozionare, così come di perturbare. Il cinema può ancora far provare una gamma di emozioni che l’unico modo che hanno per sprigionarsi è attraverso una condivisione.

La bête. Regia: Bertrand Bonello; sceneggiatura: Bertrand Bonello; fotografia: Josée Deshaies; montaggio: Anita Roth; interpreti: Léa Seydoux, George MacKay; produzione: Les Films du Bélier, My New Picture, Sons Of Manual; origine: Francia; durata: 146′; anno: 2023.

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