Una finestra, una porta a vetri, una vetrina di un locale: si potrebbe trascorrere l’intera esistenza a osservare il mondo attraverso una barriera del tutto trasparente e resistente abbastanza da lasciare che lo sguardo si possa posare – libero e condizionato – su quella porzione visibile che il vetro concede. Ognuno avrebbe il suo diorama a cui pensare, immerso nell’interpretazione di gesti e di parole che non possono raggiungerlo; ognuno avrebbe il suo diorama a cui affidare la totalità di un’esperienza che sarebbe troppo dolorosa da comprendere tutta insieme; ognuno avrebbe il suo diorama a cui delegare l’accumularsi di una vita claudicante per lo strabordare del peso dell’immaginazione. Il diorama di Luciano Traini (Riccardo Scamarcio) è Piazza del Popolo di Ascoli Piceno e il suo rettangolo di visione è la vetrina del ristorante che gestisce per conto del “Cavaliere”, presenza esclusivamente nominale nel mondo narrativo de L’ombra del giorno.

L’ultimo lungometraggio di Giuseppe Piccioni – ambientato in piena epoca fascista – si muove sulla dicotomia classica tra esterno e interno, rielaborandola in maniera originale attraverso i due personaggi principali, Luciano e Anna Consorti/Ester (Benedetta Porcaroli). Il primo atto di tale dinamismo corrisponde al momento in cui Anna osserva Luciano dal vetro esterno del ristorante: dopo un breve colloquio in cui la donna dichiara all’uomo la sua necessità di lavorare, Luciano la invita a varcare la soglia del locale. Nel passaggio che il corpo di Anna compie dall’esterno dello spazio di rappresentazione fino all’interno dello spazio di azione, si attiva un secondo processo di transizione che coinvolge direttamente l’uomo.

Nel confliggere di due prospettive contrastanti, Anna e Luciano impareranno a riconoscere i rispettivi codici rappresentativi per la decrittazione della realtà al di là del vetro: per l’uomo, le coreografie delle giovani fasciste sono portatrici di un messaggio che denota la bellezza e la felicità dell’intero popolo, mentre per la donna “nessun popolo può essere felice se è costretto a coprirsi di ridicolo”. E così, quando una ragazza cade per terra e nessuna delle altre accenna ad aiutarla, Luciano continua a osservare la scena con l’espressione sorpresa di chi non riesce a capacitarsi della spietata logica dell’errore. Sono di nuovo insieme, Anna e Luciano, quando osservano donne e uomini che si incontrano nella piazza, si salutano, parlano tra di loro, si abbracciano: lui ha lo sguardo sollevato di chi crede che le parole possano essere soltanto belle, mentre lei non riesce a non inquadrare il profilo di una donna sorridente che attacca sulla porta del suo negozio un cartello, «Questo è un negozio ariano».

Eppure Luciano conosce il peso del dolore che è continuamente presentificato dal suo passo di reduce di guerra, dal suo corpo di “eroe” costretto a nascondere la divisa per non essere ucciso al ritorno dal primo conflitto mondiale dal quale “non è tornato mai davvero”. È Anna a insegnarli che “disobbedire a una legge sbagliata è un obbligo”, confessando se stessa attraverso un’intercessione che segna il passaggio del suo personaggio da un nome biblico a un altro: Anna è Ester, donna ebrea costretta a lasciare la sua città e il suo lavoro, i genitori, il fratello e il marito Emile (Waël Sersoub) che, un giorno, entra nel ristorante e le chiede il conforto di un luogo sicuro in cui nascondersi. Luciano, un tempo non lontano pronto a redarguire chiunque facesse battute su Mussolini (come il cuoco Giovanni, Vincenzo Nemolato) e vicino agli ideali del regime che “ha fatto anche cose buone”, decide di non denunciare nessuno dei due, e non per il sentimento d’amore che lo lega a Anna.

Si tratta di una scelta di responsabilità che mette in primo piano la necessità di dirsi umani, senza alcuna deroga: è un patto di solidarietà che tiene insieme gli esseri viventi al di là di qualsiasi vincolo affettivo o religioso perché riconoscersi esseri simili è anche non volersi schermare da quel portato esperienziale che non farebbe parte di noi senza la ferma volontà di lasciare che entri a scuoterci per completarci. Ci sono tre scene in cui la scelta di Luciano giunge a maturazione seguendo una graduale evoluzione: nel giorno dell’anniversario della Fondazione del Movimento dei Fasci Italiani, Anna brinda con Osvaldo Lucchini (Lino Musella) e gli altri camerati intervenuti nel ristorante e non perde l’occasione per ricordare loro che il 23 marzo del 1919, in Piazza San Sepolcro, era stato promesso un futuro diverso per le donne, mentre Luciano osserva preoccupato quanto accade e subito dopo le chiede chi le abbia detto tutte quelle cose; quando Hitler raggiunge Mussolini a Roma il 4 maggio del 1938, Anna e Luciano escono dalla città, dismettendo per la prima volta i panni con i quali si erano abituati a riconoscersi; nel giorno di dichiarazione di guerra, mentre la voce di Mussolini risuona nella piazza, Luciano finalmente “torna” dalla guerra e riconosce Ester nel corpo di Anna.

Nel sacrificio, quasi necessario, di un “frichino” (Corrado, Costantino Seghi) a opera di Luciano, il vetro si rompe per lasciare che l’ombra del giorno non sia più il filtro che oscura le cose del mondo, e neppure il colore sfumato in cui viene ridotta una vita che non può godere della luce. Al contrario, è il giorno in cui la “decisione irrevocabile” è presa a determinare la nascita di quel cono di ombra nel quale Luciano e Ester hanno trovato una protezione vicendevole, confidando nella vicinanza dei corpi perché, come recita la canzone di Andrea Lazslo De Simone che accompagna le ultime scene, «il mondo è un tipo irrazionale / fa come vuole / non dà nessuna spiegazione» mentre «la vita è breve e pure stretta / ma la tua mente è una gran sarta / che cuce in fretta / il tempo di una sigaretta». In fondo, è il messaggio contrario rispetto al modello del diorama in cui tutto è nella luce e, restando in ambito cantautorale con i Baustelle, «nel diorama il tempo non ci può far male / non c’è prima e non c’è poi / solo il culmine di vite singolari / l’illusione che non marciranno mai».

Muovendosi tra buio e diorami, L’ombra del giorno attiva, così, un processo di comprensione del presente: in un periodo storico in cui siamo ancora immersi nell’elaborazione di un ripensamento del nostro modo di stare al mondo con gli altri, l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ci ha messi – per la prima volta – di fronte alla rappresentazione massiva di un flusso di testimonianze che hanno frazionato la realtà e la hanno ricodificata negli schermi dei nostri dispositivi, e non perché prima non ci siano stati altri conflitti da osservare con la stessa apprensione e attenzione. La sospensione che, fino a questo momento, è stata operata nei confronti della nostra storia è testimoniata dalla memoria dei libri che abbiamo letto (a scuola, all’università, a casa, nelle biblioteche) e, soprattutto, dalle immagini con le quali siamo stati abituati a ignorare alcuni eventi e a riconoscerne altri come, ad esempio, la Prima guerra mondiale, la propaganda fascista e la dichiarazione di Mussolini del 10 giugno del 1940, la distruzione delle città, la deportazione, la resistenza, la liberazione.

Il ricordo di quelle parole e di quelle immagini si configura ormai come una modalità di comprensione che non si può più applicare al presente in cui è venuto meno lo scarto tra rappresentazione e realtà. Oggi siamo portati a vivere il tempo della contemporaneità nel tempo della compresenza, senza avere un istante per riflettere sulle immagini che riflettono la realtà così come avviene. La sola possibilità della memoria storica è quella di ridare un corpo alle Ester che hanno dovuto cambiare nome e agli Emile che hanno trascorso le giornate nel timore di essere riconosciuti, insomma, a tutti quei corpi che hanno inseguito la speranza, raggiungendo un mare capace soltanto di promettere (e non assicurare) quella libertà che nessun orizzonte di guerra può garantire.

Riferimenti bibliografici
R. De Felice, Mussolini il fascista (1921-1929), voll. I-II, Einaudi, Torino 1966.
F. Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringheri, Torino 2019.

L’ombra del giorno. Regia: Giuseppe Piccioni; sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Gualtiero Rosella, Annick Emdin; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Esmeralda Calabria; musiche: Michele Braga; interpreti: Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Lino Musella, Vincenzo Nemolato, Antonio Salines, Waël Sersoub, Costantino Seghi, Valeria Bilello, Sandra Ceccarelli; produzione: Lebowski, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia; durata: 129’; anno: 2022.

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