Nel saggio intitolato Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli intellettuali europei (1929), l’inconfondibile sagacia di Walter Benjamin cattura la fisionomia di un movimento artistico che trasfigura il volto della storia dell’arte. Accogliendo la profanazione dell’oggetto artistico già iniziata con Dada, il Surrealismo fa esplodere la Stimmung misteriosa degli oggetti che la società moderna butta via (Benjamin 1929). Profetizzando l’avvento della religione capitalista che non mira ad alcuna trasformazione del mondo, bensì unicamente alla sua distruzione (Agamben 2005), i movimenti artistici della prima metà del Novecento mettono in moto una “danza ecologica” dell’atto di creazione, facendola finita con l’idea di produzione.
Se il Dadaismo nega la tecnica artistica in quanto processo in vista di uno scopo (Argan, Bonito Oliva 2002), il Surrealismo unisce le tendenze sovversive del Dadaismo alla teoria dell’inconscio di Freud nel tentativo di muovere la potenza dell’immaginazione contro la brama produttiva del potere. Ed è ancora Benjamin a riferirci come l’idea di ogni attività umana facesse persino ridere uno dei creatori del movimento surrealista, Louis Aragon: la politicizzazione dell’arte sta in una risata dissacrante. Le risate dissacranti degli artisti del primo Novecento irrompono nel continuum storico dell’arte, forzando un ready-made o un détournement dei suoi stessi corpi (oggetti e concetti), nel tentativo di liberare l’arte dalle separazioni imposte dal cartesianesimo e dalla rete di significazioni di una logica razionalistica che pone l’attenzione unicamente su ciò che resta del processo artistico; ossia: il suo oggetto, l’excrementum (e un’altra, ma non ultima, risata dissacrante è senza dubbio quella di Piero Manzoni e della sua Merda d’artista: détournement dell’“escremento” artistico).
È a partire dai movimenti artistici d’avanguardia del Novecento che Romano Gasparotti, nel suo ultimo saggio, L’amentale. Arte, danza e ultrafilosofia (Cronopio, 2019), lancia una sfida al pensiero filosofico: cosa succede quando la filosofia, ponendosi oltre il potere onnipervasivo del linguaggio verbale che dice e che scrive, diviene “ultrafilosofia”, recuperando il suo originario pragma ispirato alle Muse (Platone)? Cosa comporta il movimento del pensiero che si fa pratica danzante e corale? Le questioni poste da Gasparotti ruotano attorno a un perno: l’esistente che appare è il toccante e danzante mostrarsi in atto del pragma del pensare nella sua originaria natura amentale.
Con il termine “esistente” Gasparotti, mettendo in atto un decisivo détournement concettuale, non intende, heideggerianamente, l’essere fondamentale del Dasein comunemente chiamato uomo: esistente è, invece, tutto ciò che c’è nel mondo, con il proprio corpo e il proprio potere affettante. Tutto ciò che è corpo esiste e mai sussiste: agisce e-motivamente, incontra, si scontra e tocca. E anche le parole, prima di funzionare come segni, esistono in quanto corpi che toccano altri corpi. Perché l’esistente che appare è, innanzitutto, il pragma in movimento del pensiero che, prima di ogni sua definizione logica e verbale, si presenta nella sua natura amentale, ossia nel puro che dell’esistente, condizione di possibilità dell’universo mentale “umano” in continuo movimento e mai ipostatizzabile.
Per mettere in luce la vocazione pragmatico-performativa del pensiero che la filosofia, dall’età moderna, sembra ignorare, a favore di una ricerca ontologico-essenzialistica che guarda unicamente alla trascendenza, Gasparotti delinea una costellazione di artisti che risvegliano il pensiero dal sonno trascendentale. Prima di Hermann Nitsch, Vito Bucciarelli e Andrea Rossi Andrea, sono gli artisti delle avanguardie del primo Novecento a porre, diciamolo ancora kantianamente, le condizioni di possibilità affinché il pensiero possa riacquistare la propria originaria vocazione di danza ecologica ispirata alle Muse.
René Magritte è l’artista-filosofo che condanna, nel suo Manifesto dell’amentalismo (1946-1947), il “male” che la filosofia induce, da 2400 anni, nell’essere umano chiamato uomo: la ricerca di un’essenza trascendentale che decide l’abbandono dell’esistenza e la sua conseguenziale impotenza. L’esclusione dell’esistenza dalla sfera del pensiero comporta il prevalere di una dimensione astrattamente riflessiva e semiotico-semantica del concetto e l’eliminazione del mistero del mondo, ossia dell’impenetrabile da cui il mondo stesso scaturisce. Secondo Magritte allora è la pittura che, ponendosi al di là della “smania rivelativa” del cartesianesimo, è in grado mettere all’opera il pragma danzante del pensiero facendo mondo nel mondo attraverso il mondo, rendendo visibile senza svelare il mistero stesso del mondo.
È a partire dalla pittura di Magritte e da quella “ultraretinica” di Marcel Duchamp che Gasparotti mette in luce la vocazione pragmatico-performativa del pensiero inteso come atto unitario che, mostrando e toccando, non si pone contro il pensiero-che-dice, bensì salva anche la parola dalla rete semiotico-ideal-semantiche del segno. Spezzando il triangolo semiotico composto dal soggetto che invia l’oggetto-messaggio e il soggetto ricevente, la pittura può condurre il pensiero a un’autentica koinonia, un mettersi in comune, un fare mondo comune al di là della mera comunicazione “borghese” (Benjamin 1916) che separa, divide e parcellizza all’infinito. Così facendo, il pensiero amplifica il suo ritmo circolare di respiro, creando vie ecologicamente percorribili in grado di creare comunione in risonanza con il respiro del mondo.
La potenza del pensiero danzante e respirante che agisce e fa mondo comune, costringe a ripensare anche la relazione tra potenza e atto. Facendo riferimento alla riflessione di Agamben (2005) sulla dynamis aristotelica, Gasparotti mostra come la potenza del pensiero sia insita nell’atto pensante. Nella costitutiva appartenenza di potenza e atto, la potenza del pensiero si rivela come ciò che non può non agire, e non come un “abito” che precede l’atto e che ne può decidere l’impotenza. La stretta relazione e compenetrazione tra potenza del pensiero e atto pensante, dunque, permette di pensare anche l’esistente come il movimento di una pura potenza estatica che, nel suo agire, fuoriesce costantemente dalle forme attraverso cui appare.
La danza all’opera nelle opere di Duchamp e Magritte che fa mondo comune e recupera l’atto unitario del pensiero, libera la potenza delle parole e, andando al di là del loro potere significante, mette in luce la capacità del corpo sensibile della parola di creare immagini. Gasparotti ricorda come per Ludwig Klages la parola, nella sua esistenza pre-logica, è ciò che propriamente ha un’anima, nella misura in cui è un corpo sensibile animato in grado di evocare immagini. Il corpo sensibile della parola, infatti, non è mero corpo-oggetto, excrementum, ma corpo estatico, vita animante e animale che danza per uscire continuamente fuori di sé. Perché la danza ninfale, che è in atto in ogni immagine evocata dalla parola, ha una potenza originariamente erotica (da Eros): ogni corpo – dunque anche quello della parola – in quanto dotato di pori (da Poros, padre di Eros), è immagine che intreccia tutto con tutto, in risonanza con il respiro del cosmo.
Prive di qualsiasi essenza, in quanto incessantemente sfuggevoli e metamorfiche, le immagini sono campi di forze che liberano la potenza immaginale dell’esistente: la loro intima natura resta invisibile, dal momento che nel loro apparire le immagini si ritraggono. Le immagini sfuggono, dunque, ad ogni ipostatizzazione nel loro mostrarsi: si rendono visibili ri-traendosi. E forse è per questo che, come nota anche Jean-Luc Nancy, ogni immagine è un ritratto (Nancy 2014). L’immagine danzante dell’esistente crea, secondo Gasparotti, anche una nuova esperienza del bello, dove la potenza del mondo scaturisce dal mondo stesso e, oltre ogni scopo, ricrea una nuova ed ecologica mimesis col mondo, essendo unicamente il suo apparire.
Perché l’esistente che appare e si fa immagine è innanzitutto corpo che si relaziona con altri corpi. Così come pensano i pensatori “salvifici” della modernità – Spinoza, Bruno e Nietzsche – è nella sostanzialità stessa del relazionarsi, inteso come potenza erotica, che Gasparotti vede la possibilità di andare oltre l’immunitas di soggetti e oggetti escrementali creati dal pensiero logico-analizzante. Solo così la filosofia, secondo Gasparotti, può recuperare l’autentica saggezza di matrice stoica che altro non è se non esperienza estetico-artistica tesa ad indagare il potere affettante dei corpi che, attraverso la realtà delle loro immagini, creano mondo comune.
Se il pensiero vuole farsi danza ecologica, dunque, deve aprirsi alla relazionalità della vita e al movimento pneumatico delle immagini, visto che già per Plotino, come ricorda Gasparotti, il cosmo è un danzatore invisibile. Il movimento invisibilmente danzante dell’esistente appartiene originariamente al pensare nella sua natura amentale che non può non emergere (in quanto potenza in atto) in una danza visibile. Gasparotti dunque ci invita a riflettere come la stessa danza (del) visibile, che nasce dall’ammutolirsi della parola “detta”, non nega la rete di significati creata dal linguaggio verbale, ma la sospende e la svuota, ricreando incessantemente la realtà.
Riferimenti bibliografici
G. Agamben, La potenza del pensiero: saggi e conferenze, Neri Pozza, Vicenza 2005.
Id., Profanazioni, Nottetempo, Milano 2005.
C.G. Argan, A. Bonito Oliva, L’Arte moderna 1770-1970. L’Arte oltre il Duemila, Sansoni, Firenze 2002.
W. Benjamin, Il surrealismo. L’ultima istantanea sugli intellettuali europei (1929), in Id. Opere complete. Scritti (1928-1929), Einaudi, Torino 2010.
W. Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini (1916), in Id. Angelus Novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1962.
R. Gasparotti, L’amentale. Arte, danza e ultrafilosofia, Cronopio, Napoli 2019.
J.-L. Nancy, Il corpo dell’arte, Mimesis, Milano 2014.