Appunti per un film sull’India (Pasolini, 1968).

Tra gli aspetti che subito colpiscono del libro Le Asine di Saul. Saggismo e invenzione da Manzoni a Pasolini (Euno, Leonforte 2017) vi è la consapevolezza storica e allo stesso tempo critica dell’autore, Gabriele Fichera, in grado di muoversi in un terreno farraginoso, dissestato e inaridito dalla decadenza culturale di un Occidente intrappolato nell’ombra proiettata dal suo “lungo tramonto”. La fermezza del giudizio e la profondità dell’analisi che caratterizzano i saggi raccolti nel volume sono anzitutto dovuti alla capacità di mantenere l’analisi costantemente ancorata ai testi esaminati, attraverso uno sguardo che tiene insieme indagine delle forme stilistiche e strutturali, studio delle loro implicazioni ideologiche e confronto – coraggioso e talvolta persino spregiudicato – con la letteratura europea e in particolare con la produzione modernista di Musil e Kafka. A questo si aggiunge il costante riferimento ad Alessandro Manzoni che, seppure estraneo all’orizzonte temporale dell’indagine, occupa una posizione centrale sia come oggetto di studio, attraverso la lettura della Storia della colonna infame, che come funzione, ovvero come luogo letterario carico di questioni teoriche che danno unità alla raccolta e che consentono a Fichera di interrogare l’opera di alcuni degli scrittori principali del Novecento italiano, da Ungaretti a Cassola, da De Roberto e Tomasi di Lampedusa sino a Sciascia, Pasolini e Volponi, con alcune felici incursioni nell’opera di Longhi e Fortini.

L’elaborazione di questo impiego strategico dello scrittore milanese è il frutto di un’attenta riflessione intorno al suo percorso letterario, lungo il quale si consuma la rottura tra vero storico e vero poetico. Se inizialmente, nel Fermo e Lucia, realtà e finzione si mescolano e collaborano nell’unità compositiva del racconto, con i Promessi sposi e l’espunzione della Storia della colonna infame questo rapporto di reciprocità viene meno. L’invenzione letteraria gradualmente perde la sua capacità di dare razionalità al reale, di conferirgli un ordine nello spazio narrativo. Come avverte Fichera, studiando le differenze tra la stesura contenuta nel Fermo e la versione autonoma della Storia, la piena adesione al reale non ammette più compromissioni con la finzione. Manzoni dunque depoeticizza il racconto sui fatti relativi alla colonna infame, lo depura del suo carattere letterario nel tentativo di sposare una concezione del vero poi ripresa nei suoi successivi studi storici.

È importante a questo proposito osservare che nelle pagine dedicate alla Storia Fichera non si preoccupa tanto di analizzare il concetto di vero dello scrittore milanese, quanto di studiarne le implicazioni, le traiettorie e gli effetti di lunga durata nell’epoca contemporanea, in cui l’arte ha perso la sua ovvietà, la sua immediatezza costitutiva, il suo spontaneo rapporto con il reale e con le sue forme sociali e storiche. Quello che i suoi scritti mettono in risalto è in tal senso la contraddizione vissuta da Manzoni tra realtà e invenzione, allo scopo di analizzare i modi in cui nel corso del Novecento italiano questo iato è stato problematizzato e discusso soprattutto dagli autori che nella loro scrittura letteraria hanno integrato tensione poetica e forma saggio.

Sciascia e Pasolini – tra coloro di cui ci è parsa più significativa la lettura – sono nella raccolta di Fichera due degli autori privilegiati di questa indagine volta a studiare e ripensare i nessi spezzati tra l’invenzione poetica e il reale. In loro è forte l’idea che proprio dalla separazione di realtà e invenzione sia possibile una forma di realismo che diremmo di secondo grado, poiché fondato sulla messa in questione degli elementi di separazione e, come nel caso di Sciascia, sul dialogo critico proprio con il modello manzoniano dei Promessi sposi, di cui, nella Scomparsa di Majorana, l’autore tenta di recuperare quel costruttivo rapporto tra storia e invenzione negato nella Storia della colonna infame. Molto più che in Pasolini, nello scrittore siciliano permane infatti la convinzione che la letteratura, anche per la sua capacità di integrare fenomeni espressivi differenti, abbia ancora, nell’epoca del tardo capitalismo, la facoltà di esprimere il vero nella sua forma più assoluta. In questa prospettiva la vicenda del matematico siciliano diventa l’occasione per estendere la forma del saggio all’invenzione, alla ricomposizione di quei sottili fili che mettono in dialogo la realtà e la sua rappresentazione letteraria allo scopo di ristabilire nessi nascosti e corrispondenze smarrite.

Lo Sciascia che Fichera riprende nella sua rilettura della Scomparsa di Majorana – e, come il lettore avrà modo di vedere, di 1912+1 – è quello che più si avvicina al Pasolini corsaro del Romanzo di una strage e della Scomparsa delle lucciole, ovvero al Pasolini che sa in quanto scrittore e che “cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.

Sciascia, paradossalmente più dello stesso Pasolini, ci pare sia stato capace di tradurre in pratica letteraria questo ideale che riunifica verità e invenzione. A dispetto di quanto dichiarato, lo scrittore friulano, di cui Fichera propone la lettura di Petrolio, si pone su un versante in cui non è più ammessa quella riconciliazione, quantunque sorvegliata da acume critico, proposta da Sciascia. Si direbbe anzi che in questo suo opus magnum mancato, Pasolini voglia esplicitamente farsi carico dell’opposizione tra finzione e realtà lasciando attivi tutti gli elementi di contraddizione, cercando di mettere a frutto le dissomiglianze, le disconnessioni, ma soprattutto tentando di dare forma espressiva all’impossibilità di un ritorno al reale. Forse è per questo che le pagine dedicate a Petrolio ci convincono più per gli esiti cui giunge l’autore che per le premesse elaborate sotto il segno di Barthes e del suo scritto sulla categoria del neutro.

L’idea di Fichera è quella di vedere nella “sineciosi” rilevata da Fortini, ovvero nell’ostinata coesistenza degli opposti tipica del pensiero e dello stile pasoliniano, una forma di neutro, che Barthes riprende per il suo carattere antinormativo e irriducibile di campo di forze ardenti e capaci di dar luogo a un moto espressivo non classificabile, che sfugge ai codici. Dal nostro punto di vista ci pare però che l’ultimo Pasolini sia in realtà mosso dall’esaurimento della sineciosi, dall’impossibilità di resistere all’ondata neocapitalistica contro il cui divenire egli opponeva l’essere incodificabile scoperto nella parola dei subalterni, nei loro corpi, nei loro modi di vivere e sentire il mondo. “Tutto si è rovesciato” scrive nel 1975 all’interno di un noto passo dell’Abiura in cui viene messa sotto accusa l’intera poetica passata, la sua illusorietà: tutto, si potrebbe parafrasare, è infatti suscettibile di essere assimilato, categorizzato, derealizzato. Petrolio è forse per questo l’opera in cui lo scrittore friulano si prepara a una lotta di cui non resta che l’ostinata volontà artistica in un contesto senza vie d’uscita, senza un fuori rispetto alla norma, dove persino il bios è riducibile al corso della storia disegnato dal neocapitalismo.

Conservano in ogni caso la loro forza esplicativa le considerazioni stilistiche e strutturali sul romanzo e in particolare sulle pagine dedicate alla “visione del Merda”. Ci pare anzi che tutto il volume di Fichera manifesti la propria forza nella capacità di non abbandonare mai lo sguardo sui dettagli espressivi e sui modi compositivi dei singoli autori servendosi del suo ampio e variegato bagaglio interpretativo come di un cannocchiale da usare su entrambi i lati per osservare da vicino, ma all’occorrenza anche per ricostruire su un ampio orizzonte, lo sviluppo dei processi letterari italiani. Molto spazio andrebbe per questo dedicato alle numerose incursioni su Longhi, Volponi, Fortini e gli altri autori su cui il giovane critico siciliano si cimenta, regalando al lettore momenti di profondità critica e di intelligenza letteraria.

Riferimenti bibliografici
G. Fichera, Asine di Saul. Saggismo e invenzione da Manzoni a Pasolini, Euno, Leonforte 2017.
F. Fortini, Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003.
L. Sciascia, Nero su nero, Einaudi, Torino 1979.
W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino 1999.

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