“Il resto è memoria” dice la poetessa Louise Elisabeth Glück (premio Nobel per la letteratura del 2020) nell’esergo del libro di Domenico Talia, Inventario delle ombre. Racconto di un’infanzia al Sud (Rubbettino, 2023). Ma il “resto” di che? “Guardiamo il mondo una volta, nell’infanzia”, tutto “il resto”, appunto, “è memoria”. Non smettiamo di vedere il mondo così come quel mondo ci è apparso, meraviglioso e abbagliante, in quella che chiamiamo la “nostra” infanzia, come se potesse esserci un momento della vita in cui quell’infanzia non ci sia più, perché ormai siamo diventati adulti, e quel bambino sia svanito. E così non smettiamo in realtà di continuare a vedere quel mondo, anche se quel mondo – quello in cui eravamo bambini – non c’è più. È questo il punto del libro di Talia, quel mondo non c’è più, nel suo caso il mondo contadino e arcaico di un paesino calabrese alle pendici dell’Aspromonte alla fine degli anni ’50. Eppure quel bambino, lo sguardo di quel bambino c’è ancora, e quindi quegli occhi continuano a vedere, nel mondo nuovo che ha preso il posto di quello antico, quello che non c’è più. È questa sfasatura, questa ineliminabile distanza fra quello che si può vedere oggi e quello che gli occhi, nonostante tutto, continuano a vedere, il tema di questo racconto di un’infanzia al Sud. Uno scarto, affatto insuperabile, a cui diamo il nome di “ricordo”.

Per questa ragione niente è più inaffidabile del ricordo – perché il passato che cerchiamo di rivedere è il passato visto con gli occhi di un altro tempo, ma anche, e allo stesso tempo – ciò a cui siamo più attaccati, ché in quei ricordi c’è appunto l’infanzia, quando il mondo era splendido, semplicemente. Ma non perché fosse realmente un mondo splendido, ovviamente, perché questo hanno di meraviglioso gli occhi dell’infanzia, che rendono splendido tutto ciò che vedono. Si apre allora un dissidio interno, quella che chiamiamo anima non è altro che questo dissidio, fra il desiderio di ricordare ma anche la paura di ricordare, perché sappiamo bene che il mondo ricordato è, appunto, soltanto un mondo del ricordo, cioè un mondo che non è mai esistito. Perché il mondo infantile è meraviglioso proprio perché non è “guastato” dal ricordo. Ecco allora perché:

Nonostante il bisogno e il desiderio di ricordare, ci può accadere di credere che sia inutile farlo, che non serva tornare sulle ombre dei propri passi. Temiamo possa essere doloroso farsi catturare da uno stato d’animo molto complesso per il quale, nel tentativo di dargli un nome, è stata inventata la parola nostalgia – quel dolore che nasce dal desiderio del ritorno. Eppure, per fortuna, alla fine, spinti da chissà cosa, torniamo a cercare il filo di giorni e di volti lontani (Talia 2023, p. 9).

Che cos’è, quindi, che spinge “a cercare il filo dei giorni e di volti lontani”? Non il ricordo di come era quel mondo, appunto perché quel mondo non è mai esistito, quanto il desiderio di provare a tornare a vedere il mondo con quella stessa meraviglia, quando tutto luccicava di vita, e anche le lunghe noiose giornate estive erano appunto piene di una vita che traboccava da tutte le parti. È quella scintilla di gioia che cerca Talia, come nella bellissima immagine dei suoi genitori che, ad una festa di matrimonio, ballano insieme. Il bambino di allora non li aveva mai visti ballare, né dopo li vide ballare, è proprio la sorpresa, la scoperta che madre e padre erano anche una donna e un uomo, è questa scoperta che irrompe nella memoria dello scrittore di oggi, che evidentemente non ha smesso di essere il bambino meravigliato e ammirato di ieri:

Si erano sposati due giovani paesani e venivano ad abitare vicino a casa nostra. Dopo i dolci e i liquori, un giradischi più grande di un comodino comincio a diffondere musica famosa negli anni Cinquanta. Cose tipo Violino tzigano o Tango della gelosia. Nella stanza più grande della nuova casa iniziarono le danze. Mio padre, grande ballerino di tarantella, se la cavava bene anche con i lenti e con il valzer e mia madre, non ancora quarantenne, lo seguiva nei movimenti, leggera e disinvolta. Né prima, né dopo quella volta, li ho visti ballare insieme. Forse è per questa ragione che il ricordo di quel giorno e ancora molto vivo nella mia mente (ivi, p. 52).

In questo senso il ricordo non è tanto rievocazione del passato, quanto ogni volta una reinvenzione di quel passato che non è mai passato del tutto. Provare a ricordare significa provare a liberare la memoria dalla gabbia asfissiante del passato, del non più e del perduto per sempre. Al contrario Talia vuole liberare la memoria dalla polvere del già stato, e renderla di nuovo viva e presente. Vuole liberare la vita dal ricordo, che – geloso di una vita che non può vivere – vorrebbe immobilizzare quel ricordo in una fotografia, in una pagina scritta, in un‘immagine personale. E così quella donna e quell’uomo che ballano ad una festa di matrimonio sono ancora qui con noi, e quasi li vediamo nella loro eleganza, nei gesti appassionati e misurati, e il tempo finalmente non c’è più, c’è di nuovo lo sguardo di un bambino sorpreso e contento, perché vede la felicità dei genitori che non può che essere anche la sua:

Sono nodi, quei ricordi, che tengono legato ognuno di noi a un tempo e a un luogo che non esistono più, ma che il pensiero non lascerà svanire mai. Persone diverse in luoghi diversi perché nessuna cosa degli umani rimane uguale a sé stessa. Eppure, si torna e si cercano vecchie tracce, volti noti, pietre rimaste. […] Il dolore di volersi sentire a casa vivendo lontano. La tristezza del non poter tornare in un luogo che chiamiamo casa. La sofferenza per il desiderio insoddisfatto di ritornare. Il rimpianto del proprio paese che nasce forse dalla voglia di rivivere la propria infanzia (ivi, p. 72).

Appunto, non si tratta propriamente di rimpianto, allora, perché il rimpianto porta solo a quello che non c’è più, semmai la memoria è un mezzo per tornare a cercare nel passato un presente possibile che la pigrizia, la stanchezza, la stessa inerzia del ricordo ci impedisce di immaginare. Ricordare per non dover più ricordare, per vivere oggi quella stessa vita che viveva un bambino nella Calabria antichissima sulla soglia della modernità industriale. Perché la posta in gioco della memoria non è mai il passato, quanto ovviamente il presente. Un presente illuminato da un passato che è tanto più vivo, e quindi vitale, agente nel presente, quanto meno è soltanto un passato ricordato. Si prenda il passo, descritto in modo fresco e realistico, in cui Talia ricorda le piogge estive, violente ma brevi, che interrompevano la calura agostana. Qui la rievocazione delle bolle d’acqua che scoppiano sull’asfalto non è un “semplice” ricordo, quanto un’esperienza così viva, tattile odorosa e acustica, che è evidente che nel raccontarlo Talia rivive, ora, quell’affetto apparentemente antico. Sta scrivendo del passato, tuttavia in realtà la sua è una evocazione di un presente ancora possibile, l’eventualità di rivivere questa stessa fragranza c’è allora come oggi. Perché non è necessario, per viverla, essere un bambino di uno sperduto paesino calabrese dei primi anni ’60; quel bambino non c’è più, eppure è ancora con noi, nelle parole di Talia che ci esortano a condividere quella stessa esperienza:

Come se avessimo messo un nuovo paio d’occhiali che rendevano interessanti le nostre mattine bagnate o i pomeriggi con le strade lavate che profumavano di terra, di erba e di umido. Insieme al forte e piacevole odore di terra che ci regalavano, il ricordo che è stato con me per tanto tempo e che ancora oggi non vuole andar via, è legato alla cosa che forse mi piaceva di più delle prime piogge agostane. Erano le bolle d’aria che le gocce d’acqua creavano sulla strada, sui balconi e sui tetti. Quella pioggia era fatta di veloci e pesanti goccioloni d’acqua che, quando arrivavano a terra sulle piccole pozze che si erano già formate, generavano un gran numero di bolle a semicerchio che decoravano le piccole pozze d’acqua calda che si raccoglievano sulla strada durante l’acquazzone. Ogni goccia sapeva disegnare i suoi anelli concentrici in una perfetta geometria circolare che nessun umano sapeva tracciare così meravigliosamente e per questa ragione noi le ammiravamo con stupore (ivi, pp. 90-91).

Si coglie così, infine, il senso di questo Inventario delle ombre. Si tratta di ombre, appunto, ma proietta un’ombra solo qualcosa illuminato dalla luce del sole, lo stesso sole meridionale di cui Telesio fa il motore di tutto il mondo. Le ombre non sono fantasmi senza corpo, solo i corpi che si espongono alla luce e alla vita possono fare ombra. Perché queste presenze sono ancora con noi, non sono perdute per sempre. I ricordi, paradossalmente, sono sempre con noi:

Il nostro rapporto con il ricordo non è mai diretto. Crediamo spesso di ricordare esattamente quello che ci è accaduto, anche molti anni prima. In realtà ogni ricordo è una forma filtrata dalla nostra mente di quello che è realmente avvenuto. In ogni ricordo c’è un po’ di immaginazione causata anche dal desiderio di ricordare, di rammentare dettagli che si preservano con difficoltà. Per questa ragione i ricordi ogni tanto sanno anche manipolare il passato (ivi, pp. 119-120).

Appunto, i ricordi non ci parlano del passato, ma del nostro presente, di come sappiamo viverlo grazie anche alla loro ombra, fresca e protettiva. Un libro che parla del passato, ma che in realtà prova a guardare il domani con gli occhi di un bambino.

Domenico Talia, Inventario delle ombre. Racconto di un’infanzia al Sud, Rubbettino, Soneria Mannelli 2023.

Share