In che modo la storia presente si fa passato, intrattiene relazioni con l’oggi, schiude le sue domande sull’avvenire, sul futuro prossimo venturo? Subito all’inizio di In viaggio di Gianfranco Rosi, mentre le immagini di repertorio cominciano a trascorrere sullo schermo, alcune didascalie sembrano assicurarci e rassicurarci: ci informano di una intensa e copiosa attività di viaggi, i viaggi di Francesco, papa della chiesa apostolica romana, ci consegnano quantità, ci confortano di una cronologia, di una periodizzazione. Il tempo, il tempo storico, diverso dal tempo del film, assume quindi la misura degli anni del pontificato di Bergoglio: la rotta dei viaggi muove da Lampedusa, nel 2013, sino al Canada del 2022, sino a un vicino ieri, mentre la geografia prende la forma di corde lunghe, traiettorie intercontinentali, spostamenti brevi, distanze, alterità. Luoghi, e soprattutto corpi, volti, gesti di masse e individui, teorie e processioni di ultimi, dimenticati, carcerati, poveri.
C’è in questo film, perché di un film si tratta, un’istanza diretta, semplicemente rosselliniana: la volontà di sciogliere il trascorso recente di questi nove anni nella linea semplice della sequenza temporale, nella volontà di fare, col tempo, con la cronologia, una prima didascalia di lettura. Mettere in forma i viaggi nella geografia dei luoghi alla luce della storicità propria delle immagini via via prodotte come diretta televisiva, come testimonianza dagli operatori vaticani. Rosi incontra le immagini televisive e nel montaggio prova ad autenticarle, le autor-izza nel senso in cui Geertz definiva il lavoro di scrittura dell’antropologia.
La struttura retorico visiva dell’incontro col repertorio si manifesta come racconto, realizza, e in certo senso reifica, la testimonianza alla luce del racconto, la produce come materia, inquadratura, sequenza, fotogramma, la fa accadere come cadenza, tempo sublimato e ritratto, estratto. Vigenza di un’immagine, nucleo di una traccia possibile. Questione classica si direbbe, che si trascina dalle origini della riflessione su storia e narrazione del pensiero occidentale: dinanzi alle immagini filmate da altri Rosi lavora il possibile narrativo di quelle testimonianze, lo enuclea e avvalora nel montaggio, lo addensa e attraversa interrogando l’idea poetica stessa di testimonianza che inevitabilmente Francesco produce. Che le parole in viaggio di Bergoglio cifrano come una lingua volutamente e semplicemente enciclica, come una glossolalia rovesciata, segnata dal carisma della lingua quotidiana.
Alla Storia qui, nel film, il montaggio sovrappone le storie: l’editing esplora e reinventa il presente cristallizzato nelle immagini, nelle sequenze, il regime di storicità dell’immagine testimonianza, radicando in una nuova intensità e tensione il presente storico di esse. Il viaggio papale diviene messaggio, il viaggio, cristianamente, martirio, di luoghi e mondi, di reietti e potenti, di religiosi e laici, di volti senza nome come di attori della politica planetaria. Tra qui e ora e lì e allora il film e il repertorio si producono come forma, racconto, nell’insidia ulteriore di una scelta di regia che accompagna il materiale filmato contrappuntandolo non soltanto di repertorio ulteriore ma intercalando il girato recente, i viaggi papali a Malta e in Canada, filmati dallo stesso Rosi, con materiali provenienti da altri lavori del regista, out takes da Il Sicario, Fuocammare, Notturno. Attivando qui il rischio di un cortocircuito, narrativo e politico-poetico. Attestando la necessità di autenticarsi in qualche modo nel processo stesso del montaggio, di materializzarsi in quanto contrappunto – repertorio di luoghi diversamente filmati e narrati, ineditati, insorgenti dalla sfera dei possibili che ogni film abbandona e conserva, materialmente e idealmente. In viaggio di Rosi ci interroga radicalmente sul senso e sulla relazione tra immagini e storia, sul montaggio come forma di interrogazione narrativa ma effettiva della storia, sulla dimensione di effettività e di affettività dell’immagine storica dei materiali filmati – dei materiali filmici tout court.
Il lavoro del film, infatti, sfida – pur confidando in essi – attraverso il montaggio, il precipitato di questi reperti, il loro essere memoria-reportage. Assume il farsi storico delle dirette televisive dei viaggi papali, dal 2013 in avanti, come traccia di una verità del mondo, come proiezione ancora potente di un idea di verità, del quotidiano come profezia accaduta e registrata. E tuttavia, due inquadrature di Rosi ci ricordano il potere del film, il possibile di questo potere, il senso del filmare ancora. La prima è il silenzio di Bergoglio nelle immagini inziali di In viaggio, il primo piano del Papa come momento e tempo di prossimità, lì ritratto nella flagranza di un viso che, come un paesaggio di rughe – tempo umano corrugato – segna e centra l’inquadratura, rimandando al cinema come gesto semplice di confronto e presa in carico del mondo. La protesi tecno-umana della camera segna la felicità indessicale di una mediazione in forma di immagini: ci ricorda di un esser lì dinanzi a qualcosa non ancora immagine, perché l’immagine materialmente sia. Testimonia una posizione nello spazio, lo spazio temporaneo di una relazione. Body of evidence, prova di due evidenze nell’evenienza dell’immagine.
La seconda è il flou del volto di Bergoglio nel viaggio doloroso in Canada. Una ripresa frontale che ci consegna un volto baconiano corrugato qui dall’obiettivo, allontanato e risolto nella potenza del flou, testimoniato dalla camera nell’espressività alterata nella ri-mediazione dell’informe, nell’estetica dell’indefinito, del documento visivo otticamente irrisolto. Body of evidence, nuovamente, nella misura di una distanza, giusto una distanza, rideclinando il Godard de le Histoire(s) du cinéma. Il viaggio di Bergoglio, nella trama di queste due inquadrature, nella geografia dei viaggi, nel sonoro dell’invito a sognare ripetuto come una nuova ecolalia, si fa semplicemente immagine movimento, per farsi quindi film. Nella potenza del provvisorio di una forma. Tra routes e roots Rosi non può che esitare e tuttavia editare, formare un primo piano e scegliere un flou per continuare a narrare. Parafrasando Marx le immagini fanno la storia ma non sanno di farla: il montaggio, allora, è il lavoro materiale sulle immagini e con le immagini, un lavoro antropologico necessario.
In viaggio. Regia: Gianfranco Rosi; fotografia: Cesare Cuppone, Walter Capriotti (riprese Archivio Vaticano), Gianfranco Rosi; montaggio: Fabrizio Federico; suono: Gianfranco Rosi; produzione: 21Uno Film (Gianfranco Rosi) Stemal Entertainment (Donatella Palermo) con Rai Cinema; origine: Italia; durata: 80′; anno: 2022.