In Un soupçon d’amour, ultimo film di Paul Vecchiali, presentato a Torino nel 2020, la grande attrice tragica Geneviève Garland sta provando l’Andromaca di Racine, ma è stanca di sostenere questa parte. Vorrebbe lasciare il ruolo a Isabelle, che è anche l’amante di suo marito André. Non è tanto stanca di Andromaca, quanto della tragedia, dice. Vorrebbe fare qualcosa di più leggero, magari del cinema. Ma è un pretesto: sente il personaggio troppo vicino, non riesce a separare il personaggio Astianatte (il figlio di Andromaca), che la madre, regina prigioniera, cerca disperatamente di salvare, da Jérôme, suo figlio malato, afflitto da una tosse persistente. A lui, in realtà, alla sua salute, Geneviève intende dedicarsi, malgrado la tacita disapprovazione di suo marito. Ma perché Jérôme sembra visibile solo agli occhi della madre, e scompare dall’inquadratura quando si avvicina qualche estraneo (il farmacista, la madre del farmacista)? L’attrice è anche appassionata di indovinelli, e la risposta all’enigma è forse contenuta proprio in uno di questi. L’indovinello recita: “Mangio ciò che è dentro di me, proietto ciò che è davanti a me, e declino il presente. Chi sono?”. Soluzione: sono il Tempo.

Vecchiali, morto il 18 gennaio a quasi 93 anni, ha sempre lavorato con il Tempo, ha sempre saputo che il Tempo conserva e divora, ripete e rinnova. Declina il presente, nel senso che vi si proietta attraverso, e vi trasporta  tesori ed orrori del passato e del futuro. Agisce sui Corpi degli attori e delle attrici, vi lascia il segno, li marchia come fantasmi e ne evidenzia contemporaneamente la fisicità. Corpi fragili e indistruttibili, esposti alle tentazioni della carne, della carne che li tormenta, che li proietta attraverso i generi e li trascende. Generi? È una commedia, Femmes Femmes (1974)? È un poliziesco, Lo strangolatore (1972)? Once More – Ancora (1988) è un film sul rapporto tra AIDS e omosessualità? Un colpo al cuore non è sempre anche un Corpo al Cuore (1979)? Rosa la Rose, fille publique (1986) è una storia di puttane, o parla del potere seduttivo delle rose rosse? Sono tutto e altro, questi film, presi in una inesauribile brama di sperimentazione, che al primo posto ha sempre messo l’indipendenza. Fare film con attori e attrici amiche, con pochi soldi, attraverso un’oculata amministrazione, era anche il motto del Vecchiali produttore, e ne sapevano qualcosa certi giovani esordienti, come Jean Eustache, che senza di lui forse non sarebbero mai riusciti a realizzare i loro film.

A Vecchiali, nel 1988, la rivista “Filmcritica”, al festival di Venezia, assegnò il premio Bastone Bianco, ex-aequo con Scorsese. Era il bastone dei ciechi, assegnato a due registi veggenti. Nel numero 700 della rivista, anno LXX, 2020, Andrea Pastor scriveva Ricominciando dalla fine. Era l’epoca del contagio, della pandemia acuta, del Covid, dei cinema chiusi. L’omaggio era ai titoli principali d’un cinema ardente: «Il primo titolo non può che essere Once More (Encore), dell’amico di Filmcritica Paul Vecchiali, dalla rivista premiato, nel 1988, alla mostra del cinema di Venezia, al quale avevamo offerto, ovviamente, la copertina, e molte righe, alcune anche mie» (Pastor 2020, p. 68).

E successivamente:

Senza alcuna ombra di narcisismo autoriale, ben due anni prima dell’ultimo episodio del morettiano "Caro diario", senza alcun compiacimento egotico, spinto soltanto dalla tensione al vero che non coincide col “cinéma vérité”, o "del reale", osa posare la telecamera persino in camera operatoria, a registrare l’inizio di un intervento chirurgico, prima dell’ultima vacanza, all’Isola d’Elba, l’ultimo set, luogo eletto del morire, là dove la sua voce, sempre off, testamentaria ma mai rassegnata, tenta di dare voce a ciò che con le sole immagini non si può esprimere, una sonimage capace di dare l’illusione di fermare il tempo di uno spettrale sembiante che, dopo due settimane dall’ultima (non)azione, sarebbe definitivamente scomparso. Un altro cupo Midi, un corps à cœur, un coup d’œil con lo spettatore, ritmato da un montaggio che sembrava impossibile, e che, forse, lui stesso non avrebbe mai voluto concludere. Opera chiusa. Letteralmente terminale, e dunque più che mai aperta (ivi, p. 70).

È questo il paradosso del cinema, della televisione, della scrittura critica, operato da un regista che mette sempre in gioco il suo corpo e quello dei suoi attori. Luis, in Once More (1988), scopre a una certa data la sua omosessualità, e col passare degli anni, alla stessa data, viene ribadito e aggravato il peso del suo dolore. Lo strangolatore, nell’omonimo film, uccide per imitazione ed emulazione. Le donne si difendono, si dibattono, ma in fondo si lasciano uccidere troppo facilmente. Il cinema della Diagonale è un sistema produttivo, un marchio di fabbrica. Vecchiali non era affatto contro il cinema della Nouvelle Vague, era solo diverso, anche nel suo amore per il vecchio cinema francese degli anni trenta e quaranta. Sì, l’amore omosessuale, ma anche l’amore per Danielle Darrieux. Credo si fosse risentito perché avevo definito “statici” i personaggi del suo ultimo film, ma la cosa non voleva in alcun modo indicare una limitazione.

Ricominciamo dalla fine, però. Torniamo a Un soupçon d’amour (2020). Geneviève, l’abbiamo detto, vuole dedicarsi alla cura di suo figlio Jérôme, rinunciando per questo alla sua carriera d’attrice tragica. Ma (scusate lo spoiler) Jérôme è morto da anni, colpito da un male incurabile. Solo lei lo vede, solo lei ci parla, almeno fino al momento in cui il fantasma si manifesta anche a suo marito. Doppio delirio. Nel n. 42 di “Uzak” è riportata quella che è forse l’ultima intervista di Vecchiali, rilasciata in occasione del festival di Roma. Si parla di Faux raccords (2014), operazione di cinema critico, girato per la TV. Si parla del libro L’Encinéclopédie. Cinéastes “français” des années 1930 et leur œuvre (2010). Vecchiali ribadisce la sua avversione per i dogmi del Dogma. Si parla del ritorno dei morti. In Giappone, dice il regista, sostengono che i morti tornano sempre, ma di spalle. Per riconoscerli, occorre quasi una seconda vista. La seconda  vista di Vecchiali.

Riferimenti bibliografici
L. Gregorio, Il mio cinema irriproducibile. Intervista a Paul Vecchiali, in “Uzak”, n. 42, estate-autunno 2022.
A. Pastor, Ricominciando dalla fine, in “Filmcritica”, n. 700, LXX, 2020.

Paul Vecchiali, Ajaccio 1930 – Parigi 2023.

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