Il 12 giugno, lo stesso giorno di Berlusconi, è morto Francesco Nuti. Era nato a Firenze, nel 1955, ma la sua vita si era praticamente interrotta alla fine degli anni 2000, quando gli abusi di alcool e droga lo avevano ridotto una larva d’uomo, quasi paralizzato, impossibilitato a muoversi. Malattia lunghissima, terribile, durante la quale, peraltro, riusciva ancora almeno a comporre belle canzoni, che poi il fratello più giovane, Giovanni, si incaricava di cantare.

Fine vita, dunque, come fine d’una sofferenza inaudita, al cui cospetto non può nascere che la pietà – ma questo non deve certamente indurci a sottovalutare il suo lavoro, prima d’attore, poi di regista, a partire dalle prime esperienze con il gruppo toscano dei Giancattivi (Alessandro Benvenuti, Athina Cenci e lo stesso Nuti). Sono cattivi i Giancattivi? Certo. La Cenci odia in particolare i bambini, è capace di prenderli a pugni mentre sono in culla.

Nel 1982, dopo Ad ovest di Paperino, diretto da Benvenuti, Francesco viene scelto da Maurizio Ponzi per interpretare il ruolo di un giovane costretto alla convivenza con la madre tiranna, alla ricerca vana d’una certa indipendenza. Successo immediato. Il pubblico ama subito quel volto a un tempo timido e sfrontato, fossetta del mento compresa. La madre lo spinge a cercare lavoro in quel di Prato, e in fondo è contenta che la moglie lo abbia lasciato (durante il matrimonio, le tirava addosso i confetti con grande violenza).

Francesco è alle prese con una sveglia che non smette di suonare, benché calpestata, teme di star diventando omosessuale, tenta di lavorare a un telaio in una ditta di Prato, ma il telaio infernale vuol fare da padrone. È lui a comandare: a Francesco, alla ricerca vana del rapporto con una prostituta, non resta che prendere atto del silenzio che scende improvviso nella sera. C’è lo strano rapporto con un ragazzino armato d’una pistola finta (a tappo), che dice di chiamarsi Filippo e d’aver ucciso genitori e parenti. Altro mitomane. L’alleanza tra mitomani, in fondo, è innocua. Innocua per tutti, salvo che per loro.

Sempre Ponzi, nel 1983, dirige Nuti in Io, Chiara e lo Scuro, una storia di biliardo vagamente ispirata a un film di Robert Rossen. Nuti sfida lo Scuro, che tutti ritenevano imbattibile, e conquista così l’amore di Chiara. Nel 1985, Francesco esordisce nella regia proprio con una specie di seguito, intitolato Casablanca, Casablanca, del film di Ponzi.

Altri successi: nel 1985, Tutta colpa del paradiso, nel 1986 Stregati, ma veniamo al fondamentale Caruso Pascoski (di padre polacco), che Nuti sceneggia e gira nel 1988, e segna forse l’acme della sua carriera. A quattro anni, portato dai genitori in spiaggia a Viareggio, Francesco conosce Giulia (Clarissa Burt), una bambina sua coetanea, e decide che sarà la donna della sua vita.

La sposerà, per quanto la madre si opponga e cerchi di dissuaderlo in mille modi. E il padre polacco? Tace, solo ogni tanto lo incita a “strapparle le mutande”, ma muore presto. La sua presenza in questo mondo si limita a gettare occhiate di straforo dalle pagine dell’Unità. Un brutto giorno, Francesco si rende conto che Giulia lo tradisce con un amante e quasi impazzisce. Al ristorante, bacia i camerieri, bacia il maresciallo (Novello Novelli) che cerca di calmarlo. È come se avesse perso ogni identità sessuale.

E tuttavia, chissà come, riesce a diventare psicanalista! I suoi pazienti sono molto strani. Gente che si suicida, buttandosi giù dalla finestra del suo studio, altri che, come Gesù, trascinano una croce. Spunta il solito ragazzino con la pistola. Francesco si traveste da donna, per frequentare indisturbato il gabinetto delle ragazze, nonostante i sospetti della guardiana. Finché, in sede di tribunale dei divorzi, emerge una singolare verità: Giulia lo ama ancora, forse non lo ha mai tradito.

Cosa è successo dopo questo film? Sopraggiunge all’improvviso la depressione, il tentativo di suicidio, il terrore di non essere più all’altezza delle aspettative. I suoi film successivi sono veri e propri flop, anche dal punto di vista finanziario. La disperazione. Ha inizio il calvario. Nel 2011, con l’aiuto di Giovanni, pubblica presso Rizzoli un’autobiografia dal titolo Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno, in cui rievoca l’infanzia fiorentina, tutto sommato felice, le prime esperienze teatrali, i primi viaggi. C’è l’andata, c’è la caduta, ma purtroppo non c’è ritorno.

Francesco Nuti, Prato 1955 – Roma 2023.

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