Da giovanissimo, all’età di tredici anni, Francesco (Citto) Maselli entra in contatto con gli ambienti della Resistenza, alla testa dell’Unione degli studenti italiani sostiene i movimenti di liberazione contro l’occupante tedesco nelle fasi conclusive del conflitto. Proveniente da una famiglia borghese, il padre era critico d’arte, si allinea alla lotta partigiana e a quelle del Partito Comunista nel dopoguerra. Nel 1949 si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, fondato da Luigi Chiarini che poi lo assumerà come assistente alla regia. Con Michelangelo Antonioni inizia invece un vero e proprio sodalizio. È aiuto regista per il documentario L’amorosa menzogna del 1948, mentre lavora alla sceneggiatura di Cronaca di un amore (1950) e poi de La signora senza camelie (1953). Dopo aver realizzato una serie di documentari, tra cui Bagnaia, villaggio italiano (1949), presentato al Festival di Cannes, viene chiamato da Zavattini per realizzare Storia di Caterina, penultimo episodio del film collettivo L’amore in città (1953).
A venticinque anni dirige il suo primo lungometraggio di finzione, Gli sbandati (1955), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, che incontra delle resistenze da parte degli organi di governo, tanto che il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Scelba, secondo la testimonianza dello stesso Maselli, definisce il film come il «lavoro di una cellula di aristocratici comunisti finanziati dal partito» (Faldini, Fofi 1979, p. 324). Girato nella villa di Arturo Toscanini, a Ripalta Guerrina in provincia di Cremona, Maselli riprende alcuni spunti del neorealismo, ritornando ad analizzare criticamente il passato recente, focalizzando l’attenzione però su una vicenda privata che diventa esplicativa delle fratture e dei cambiamenti di un’epoca, uno scontro generazionale e di classe tra fascismo-antifascismo, collaborazionismo-Resistenza. Nell’estate del 1943, tre giovani borghesi si rifugiano in una villa di campagna per sfuggire ai bombardamenti. Carlo è il figlio di un gerarca fascista fuggito in Svizzera, Andrea, il proprietario di casa e figlio di un ricco industriale deceduto e della contessa Luisa, e infine Ferruccio, il cui padre è un ufficiale dell’esercito impegnato in guerra. Il conflitto rimane al di fuori della villa e della vita dei giovani, vagamente consapevoli di quello che sta accadendo grazie alle notizie riportate via radio. Iniziano a comprendere la situazione nel momento in cui giungono alcuni sfollati che vengono ospitati nella villa, per volere del podestà più che per abnegazione e solidarietà da parte dei giovani.
Tra i rifugiati c’è anche Lucia, di cui Andrea si innamora. Dopo gli sfollati la villa darà asilo a un gruppo di soldati italiani sfuggiti ad un convoglio tedesco, non senza dissidi e ritrosie. Carlo è il primo a prendere una posizione e a schierarsi con i partigiani a cui si unirà, mentre Ferruccio andrà a denunciare al podestà gli intrusi. Andrea, invece, se in un primo momento decide di seguire Carlo e Lucia, più per il sentimento amoroso che per quello politico, ritorna sui suoi passi convinto dalla madre, che li coglie in flagrante mentre stanno scappando dalla villa. “Ti butti in questa maniera allo sbaraglio, ti getti nella prima avventura, rischi tutto per un assurdo puntiglio da infatuati”, dice la madre ad Andrea. Lui risponde di non poterli abbandonare, ma lei ancora lo ammonisce, “è il tuo dovere. Pensa al nome che porti, agli uomini a cui devi dare lavoro, alla tua posizione, alla tua responsabilità”, per poi farsi compatire, “non ho che te nella vita, sono una donna sola”. Maselli mette di fronte lo spettatore ad una mancata presa di responsabilità da parte della futura classe dirigente, un finale caustico in cui l’arrivo dei tedeschi porta la morte di Lucia.
Il film si discosta dalla costruzione di una coscienza autoassolutoria del passato italiano, un oblio dialogico che ometteva il coinvolgimento e il consenso della popolazione al fascismo, in cui la Resistenza viene vista come mito fondatore e unificante dell’Italia repubblicana, che aveva caratterizzato sia il cinema documentario dell’immediato dopoguerra sia il neorealismo.
Nell’analizzare gli incassi del cinema italiano della metà degli anni cinquanta, Vittorio Spinazzola sottolinea come l’interesse storico-politico che aveva caratterizzato le opere neorealiste perde centralità. Il cinema torna a riflettere sul fascismo in maniera critica raggiungendo anche un buon successo di pubblico alla fine del decennio, sposando una prospettiva maggiormente intima e personale, si veda ad esempio Estate violenta (1959) o Il generale Della Rovere (1959). Gli sbandati invece ottiene un misero incasso, 70,8 milioni di lire, posizionandosi al 77° posto in classifica nella stagione. Un altro film che affronta criticamente gli anni del fascismo, nel periodo della sua ascesa, attraverso un registro simile, Cronache di poveri amanti, nonostante il successo ottenuto al Festival di Cannes, dove ricevette il Prix International, nella stagione 1953-1954 si posizione al 56° posto con 224 milioni di lire di incasso.
I delfini (1960) torna ad avere come protagonisti i rampolli della ricca borghesia industriale destinati al fallimento, incapaci di sovvertire l’ordine prestabilito a cui sono destinati, prigionieri dei condizionamenti sociali. Una dimensione sospesa caratterizza anche Gli indifferenti (1964), tratto dal romanzo di Moravia, dove il ventennio fa da cornice piuttosto che essere il motore della narrazione. Lo scontro di classe, ancora una volta, ha echi nel tempo presente, nel mostrare il declino morale ed economico della borghesia, una famiglia prigioniera di un’enorme casa ricca di oggetti su cui si sono posati anni di polvere. Dopo due commedie realizzate per Franco Cristaldi, Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo (1967) e Ruba al prossimo tuo (1968), nel 1970 gira Lettera aperta a un giornale della sera, mostrando un ambiente che conosceva bene. Un gruppo di amici intellettuali di sinistra rischia di lasciare il proprio confortevole mondo borghese per arruolarsi nella guerra in Vietnam dopo che questi avevano risposto, per noia e come provocazione, ad un appello di un giornale che cercava volontari. In maniera ironica a venir messa in crisi è un certo modello di militanza insita nel Partito Comunista oltre che, ancora una volta, le contraddizioni e le ambiguità dell’intellettuale borghese.
Con Il sospetto (1975) Maselli torna a riflettere sul ventennio fascista attraverso un cinema di impegno civile per gettare ancora lo sguardo sulla contemporaneità. Il partito è nuovamente al centro del film, in questo caso, al culmine del periodo di maggior repressione in URSS delle purghe staliniane. In un’Italia in cui domina il sospetto e la diffidenza, popolata da spie, doppiogiochisti e traditori, il fascismo viene mostrato come un regime poliziesco, richiamando un clima di forte tensione come quello che caratterizza gli anni settanta della contestazione. La lotta è ancora, prima di tutto, di classe tra i gerarchi fascisti e gli sfruttati. Successivamente, Maselli realizza dei film incentrati sull’inquietudine dell’universo femminile come Storia d’amore (1986), Codice privato (1988), Il segreto (1990) per poi tornare al cinema di impegno politico con Cronache del terzo millennio (1997) in cui viene mostrato un sottoproletariato in cerca di riscatto e poi con il documentario Frammenti di Novecento (2005) e Le ombre rosse (2009); o i film collettivi sul G8 di Genova come Un altro mondo è possibile (2001), Firenze il nostro domani (2003) e Lettere dalla Palestina (2003).
Soprannominato “il patito comunista” da Ennio Flaiano, per la sua magrezza e per la sua adesione militante al partito, secondo quanto afferma Brunetta, «Maselli, tra tutti i registi italiani, è quello che fa più fatica a liberarsi dei condizionamenti del Superego registico e ideologico» (Brunetta 2007, p. 252). La ricerca costante di una possibilità dell’uso politico del cinema, oltre che in quanto cineasta anche come punto di riferimento, per oltre trent’anni, dell’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), ne ha probabilmente paralizzato e condizionato l’identità espressiva dopo il film d’esordio che, come abbiamo detto prima, sembra anticipare i tempi proponendo un ripensamento critico dell’epoca fascista oltre lo stereotipo del bravo italiano e del cattivo tedesco rappresentato come unico responsabile, una «alterità abissale e mostruosa» (Parigi 2015, p. 41). Davanti alle proprie colpe, come Andrea ne Gli sbandati, ci si potrà rendere conto, amaramente, di aver scelto la parte sbagliata, senza alcuna possibilità di redenzione.
Riferimenti bibliografici
G. Brunetta, Il cinema contemporaneo italiano. Da “La dolce vita” a “Centochiodi”, Laterza, Roma-Bari 2007.
F. Faldini, G. Fofi, a cura di, L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti. 1935-1959, Feltrinelli, Milano 1979.
S. Parigi, L’immagine di guerra. La Resistenza nel cinema italiano nell’immediato dopoguerra, in “Cinema e storia”, 2015.
M. Zinni, Fascisti di celluloide. La memoria del ventennio nel cinema italiano 1945-2000, Marsilio, Venezia 2010.
V. Spinazzola, Cinema e pubblico. Lo spettacolo filmico in Italia. 1945-1965, Bulzoni, Roma 1985.
Francesco Maselli, Roma 1930 – Roma 2023