“L’attuale cinema spagnolo è politicamente inefficace, socialmente falso, intellettualmente infimo, esteticamente nullo, industrialmente rachitico”. Questa è l’accusa pronunciata dal regista Juan Antonio Bardem nel 1955 alle “Conversaciones Cinematograficas de Salamanca”, una tappa decisiva nelle istanze di rinnovamento del nuovo cinema iberico perché contribuisce a una vera e obiettiva riflessione collettiva circa il pessimo stato delle cose. Anche se in realtà il nuovo corso era già emerso quattro anni prima con il film Esa pareja feliz (1951), dello stesso Bardem e dalle pellicole di Luis Berlanga, i due cineasti più importanti degli anni cinquanta e sessanta, anni in cui il giovane Carlos Saura (1932-2023) si trova a muovere i primi passi nel cinema. Sono infatti di quella fine decennio le sue prime prove con alcuni “corti” tra i quali Flamenco, Antonio Saura – dedicato al fratello pittore che tanta influenza avrà nella sua formazione artistica iniziale – Agonya y muerte de Pio Baroya, El tio vivo e poi Cuenca (1958), La tarde del domingo (1957). Tutti lavori propedeutici all’esordio nel lungometraggio che avverrà con Los golfos (I monelli, 1959) e con il successivo Llanto por un bandido (I cavalieri della vendetta, 1963).
Sospesi tra la forte carica ispirativa proveniente dal cinema neorealista italiano che, malgrado le enormi difficoltà censorie del fascismo franchista Saura riesce a vedere – il clima intellettuale del nostro dopoguerra e le modalità narrative di Rossellini, De Sica, Visconti ecc., gli faranno compagnia per molto tempo – e l’inarrivabile modello del conterraneo aragonese Luis Buñuel, queste prime pellicole girate in un bianco e nero duro, sgranato, sovente molto contrastato e abbacinante come la Spagna di quegli anni, consentono a Saura di misurarsi con la cruda realtà politico-culturale spagnola; sempre ben presente nei suoi laceranti effetti dopo la sanguinosa guerra civile (1936-1939) e nel contempo di sviluppare quella che sarà una delle tipicità del suo cinema, la metafora.
Sono infatti centrali nella poetica cinematografica sauriana almeno fino a Mamà cumple 100 años (Mamà compie cento anni, 1979) ovvero fino alla fine degli anni settanta, le laceranti ferite fisiche e soprattutto psicologiche, morali, di comportamento disgregante la famiglia, la società, i rapporti interpersonali, intorno e dentro le quali il regista non smetterà mai di scavare con realismo, dolore e dissacrante ironia. Ma anche, appunto, l’utilizzo intenso e originale della narrazione metaforica, una originalissima trasposizione simbolica imposta dalle ottuse e rigide pratiche censorie alle quali il cineasta risponde con alcuni dei maggiori capolavori del suo periodo più intenso e riconosciuto a livello internazionale.
Se è in parte vero che soltanto con La prima Angelica (La cugina Angelica, 1973) l’autore guarderà direttamente alla guerra civile – ma risultano determinanti e rivelatori anche i richiami in El jardin de las delicias (Il giardino delle delizie, 1970), Ana y los lobos (Anna e i lupi, 1972), Cria cuervos (1975), Los ojos vendados (Gli occhi bendati, 1978), Mamà compie cento anni (1979) – il violento La caza (La caccia, 1965) agisce su due piani autonomi e indipendenti. Come modello di realismo e insieme di naturalismo, nella denuncia degli orrori del passato, con un sensibile affinamento nel rendere il senso della violenza, quasi a trascendere l’eccessiva fisicità dei personaggi. Un pattern complessivo, fortemente metaforizzato della compresenza del pensiero (gli enormi pesi della Storia e soprattutto della sanguinosa guerra civile) e della commozione (spostamento simpatetico su chi li ha ingiustamente sopportati («El sentimiento es un pensamiento en commoción», Miguel de Unamuno). Vale a dire della memoria e del turbamento nel senso dell’impossibilità di rimozione da parte dei protagonisti bloccati nel loro violento contesto, del giudizio e dell’incredulità finale dopo il rito suicida della caccia al coniglio. Ed è proprio qui che tendono a stabilizzarsi le due anime del cinema di Carlos Saura – quelle che chi scrive ebbe a indicare come tensione conciliativa tra la Memoria del Reale e l’Immaginario come Ricordo – nutrite del (neo)realismo degli inizi e sperimentate attraverso un primo approccio alla concezione di un tempo del reale, ovvero anche del cinema, ancora tendenzialmente lineare.
Per un autore che ama lavorare con un gruppo ristretto di collaboratori e artisti come Rafael Azcona per le sceneggiature, Elias Querejeta per la produzione, o Pablo G. Del Amo per il montaggio, verso la fine degli anni sessanta, inizia il legame sentimentale e professionale con Geraldine Chaplin. Da Peppermint frappè (1967) a Mamà (1979) passando per Stress es tres-tres (1968), La madriguera (1969), El jardin de las delicias (1970), Ana y los lobos (1972), Cria cuervos (1975), Elisa, vida mia (1977), Los ojos vendados (1978), “Agerarda”, la giovane figlia di Charlie Chaplin, sarà protagonista e testimone dell’evoluzione della poetica e dello stile sauriano che con l’apertura degli anni ottanta si applica con notevole efficacia alla tradizione melodrammatica spagnola con Bodas de sangre (1981) dal dramma di Federico Garcia Lorca con l’apporto del coreografo e ballerino Antonio Gades. Quasi a ricercare anche in quella tradizione culturale e artistica un ulteriore aiuto, un qualche conforto insieme al materiale di riflessione per l’esercizio della sua memoria-che-fotografa-il-pensiero cui si faceva riferimento poco sopra.
Allora si ricordano gli altri due film della trilogia della danza, Carmen Story (1983), El amor brujo (L’amore stregone, 1986) tratto dal balletto di Manuel De Falla sul testo di Martinez Sierra tra i quali risaltano ancora i temi ossessivamente prediletti insieme alle sue dolenti allegorie evidenziate dai suoi ossessionanti “lupi” consci e inconsci: Religione, Esercito, Ordine Morale, la Spagna postfranchista, dove continuano a dominare i fantasmi della repressione sociale, le contraddizioni e le frustrazioni della borghesia spagnola (come non ripensare a Buñuel?), l’autodistruttività della famiglia, il potere, l’insopportabile macigno del passato collettivo e individuale.
A confermare l’ampiezza dell’orizzonte espressivo di Saura, tra l’avventuroso e il mistico si collocano le pellicole El Dorado (A peso d’oro, 1988) sulla spedizione del 1560 e La noche oscura (1988) di San Giovanni della Croce dell’anno successivo, mentre un deciso ritorno alla guerra civile è ḷAy, Carmela! (1990). Le pellicole successive documentano un’ininterrotta vena creativa, talvolta arguta, oltre che l’ampiezza degli interessi e le riprese di temi sentiti fortemente, con opere forse meno incisive e riuscite ma sempre originali come ḷDispara! (Spara che ti passa, 1993), Flamenco (1995), Tango (1998), Goya (2000), Io, Don Giovanni (2009) Flamenco (2010) oltre che con documentari come Fados del 2007 e Renzo Piano an architet for Santander (2016).
La scomparsa di un maestro come Carlos Saura lascia una filmografia costruita in quello che potremmo chiamare un cinema del labirinto nel quale è possibile rintracciare le due azioni del piacere di smarrirsi nell’inesplicabile (le ambiguità oniriche dei personaggi, i loro ricordi, desideri, ossessioni) e dello speculare piacere di tentare – invano – di cancellare quello smarrimento con le astuzie della ragione. È su questa caratteristica barocca dell’agudeza che Saura interviene alternando sguardi di prossimità e di lontananza con la sua appartenenza alla cosiddetta “generazione innocente” a confermare l’impossibilità di uscire, di staccarsi da un passato personale, storico e culturale, di liberarsi dei ricordi e più ancora dalla paralisi e dall’isolamento degli intellettuali della sua generazione.
Se la si ripercorre, questa filmografia, salta all’evidenza la diversità tra il cinema fatto sotto la dittatura di Franco e in progressione quello realizzato dopo la morte del caudillo avvenuta nel 1975. La sua estetica della censura mentre rappresenta magistralmente il binomio costrizione-creatività, lascia l’eredità culturale della passione e del desencanto, della vittoria goyesca realistica e nel contempo allucinata della ragione sui mostri di ogni tempo.
Riferimenti bibliografici
M. Oms, La guerre d’Espagne au cinéma, Editions du Cerf, Paris 1986.
Carlos Saura, Huesca 1932 – Madrid 2023.