Alice Munro se ne è andata il 13 maggio 2024, a 92 anni, da tempo affetta da demenza senile. Se ne è andata in punta di piedi, con il riserbo che ne ha caratterizzato l’intera esistenza. Del resto, la vita, Munro non l’ha dedicata alle passerelle mediatiche, ma al genere testuale del racconto. Tale dedizione è stata sancita dall’assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2013, che l’ha riconosciuta come «maestra del racconto contemporaneo». Quella della short story è una forma stilistica considerata minore, ammessa, o meglio concessa, come esercizio di avviamento alla scrittura, in previsione di qualcosa di più serio. La scrittrice canadese stessa ha negato, in numerose interviste, la frequentazione programmatica della forma breve, parlando piuttosto di una scelta di compromesso. Le figlie piccole, la casa, il lavoro, lasciavano pochi ritagli di tempo per la scrittura. E, in quei ritagli, si potevano solo scrivere racconti. L’ansia con cui Munro visse tale situazione si manifestò in un profondo stato depressivo, in attacchi di panico, in un blocco della scrittura che videro la fase più acuta negli anni cinquanta, protraendosi fino agli anni settanta.
Per uno scherzo del destino, sono quattordici le raccolte di racconti pubblicate dal 1968 al 2012, tradotte in Italia magistralmente da Susanna Basso per i “Supercoralli” di Einaudi. Solo apparentemente omogenea, l’opera di Munro si caratterizza per la costante revisione di dinamiche compositive e stilistiche, rendendo la short story uno spazio laboratoriale. Se l’opera d’esordio Danza delle ombre felici (1968) offre quindici racconti relativamente brevi e compatti, i testi successivi risultano più articolati e complessi, per sviluppo diegetico e temporale. Vite di donne e ragazze (1971) e Chi ti credi di essere? (1978) sono una serie di storie intrecciate, che seguono in modo cronologico lo sviluppo di un personaggio femminile (in realtà, Vite di donne e ragazze fu promosso come romanzo, ma si trattò di un’operazione dettata da esigenze editoriali). Le opere della maturità artistica e la massima espressione dell’arte di Munro sono Il sogno di mia madre (1998) e Nemico, amico, amante… (2001). Seguono altre esperienze di ibridazione sul piano del genere testuale. Dedicato al ramo famigliare maschile, antenati giunti dalla Scozia nell’Ottocento, La vista da Castle Rock (2006) configura uno spazio di contatto con il discorso storiografico. L’ultima fatica, Uscirne vivi (2012), gioca su un terreno autobiografico nella parte conclusiva, indugiando su vicende personali e famigliari della scrittrice.
Nata il 10 luglio 1931, figlia di un allevatore di visoni e volpi argentate e di un’ex insegnante di scuola elementare, Munro riuscì a frequentare i corsi della University of Western Ontario solo per un paio di anni, grazie a una borsa di studio e a lavori saltuari. Visse l’infanzia nella zona rurale dell’Ontario sud-occidentale, bagnata dalle acque del lago Huron. È questo il paesaggio piatto, brullo e trasandato che fa da sfondo alla prima produzione artistica: lunghe strade impolverate e case di mattoni, prive di intonaco. Anche in seguito al trasferimento nella British Columbia, le ambientazioni dei racconti evocano i posti in cui la scrittrice ha abitato: Vancouver negli anni immediatamente successivi al matrimonio, Victoria all’epoca della libreria “Munro’s Books” gestita col primo marito. Poi, di nuovo l’Ontario, Clinton in particolare, dove la scrittrice visse col secondo marito, a trenta miglia dalla natia Wingham. Lo spazio privilegiato dal racconto è tuttavia quello domestico, solo apparentemente famigliare e rassicurante, che cela misteri e segreti sotto lo strato di linoleum posato sul pavimento della cucina. Sono ancora dei dettagli a impreziosire le trame della scrittura: le tapparelle verdi e la carta moschicida, lo specchio ondulato e la vecchia tovaglia di tela cerata.
In questi luoghi narrativi si dipanano le vite delle donne dell’universo munroviano: figlie, madri, nonne, amiche, nemiche, rivali e amanti. Vite colte nell’apparente banalità del quotidiano, in cui si insinuano l’imprevisto, l’incidente, il mistero. Vite sondate fin nel profondo della psicologia femminile, dove stanno i sogni celati, le gioie represse, le paure recondite, i dubbi sul futuro, sul presente, sul passato. Vite in cui si manifestano scherzi e capricci della memoria, sia influenzati da emozioni, sentimenti e interessi, sia dovuti a una degenerazione di carattere neuronale (altro scherzo del destino). Vite rese attraverso una scrittura squisitamente femminile, sorvegliata e piana.
Alle pagine dei suoi racconti, Munro lavorava in modo metodico: ogni mattina, fino alle undici, imponendosi di riempire un certo numero di pagine. Scriveva a mano e poi trascriveva a computer, pesando accuratamente ogni parola, rileggendo meticolosamente ogni periodo. Operando per sottrazione, attraverso un procedimento del levare, alla ricerca di uno stile spoglio. Nel motivare l’assegnazione del premio, il segretario dell’Accademia del Nobel parlò di una lingua «pulita, trasparente, sottile e sconvolgentemente precisa». Col tempo, questa lingua si è fatta più secca, scarna, per alcuni studiosi crudele.
Fu il periodo in cui Alice Munro frequentò la scuola superiore a registrare l’esordio sintomatico della malattia della madre, inizialmente rimasta senza diagnosi: i tremiti che scuotevano il corpo, l’irrigidimento muscolare sul viso, i problemi di eloquio, nonostante l’integrità delle facoltà mentali. Anne Clarke Chamney morì nel 1959, all’età di sessantuno anni, nell’ospedale di Wingham, dopo aver lottato per vent’anni contro il Parkinson. Nei racconti La pace di Utrecht, La valle dell’Ottawa, Amica della mia gioventù, Mobili di famiglia, e Uscirne vivi, Munro offre densi passaggi relativi alla figura materna, resa nell’ambizione, nella tenacia, nell’eloquio forbito, e, in seguito, nei fatali sintomi del morbo. La narrazione indugia sull’indolenzimento al braccio, trasformatosi col tempo in tremore costante. Indaga le reazioni psicologiche e comportamentali di famigliari e conoscenti. È questo uno dei temi che Munro riprende, adatta, trasforma caparbiamente attraverso le raccolte dei racconti.
Il confronto con storie precedenti ha origini nell’infanzia della maestra del racconto contemporaneo. Nell’intervista rilasciata in occasione del conferimento del Nobel, Munro ricordò di aver amato fin da piccola la Sirenetta di Hans Christian Andersen. Una storia che trovava tristissima, dal momento che il principe non poteva sposare l’amata perché, appunto, una sirena. Sentendo il bisogno di ripagare la Sirenetta delle atroci sofferenze patite per poter sposare il principe, la piccola Alice reagì a questa storia inventando un lieto fine. Creò una storia tutta per sé. Con un finale diverso. Che amava raccontarsi.
Non è un caso che, a loro volta, i racconti di Munro siano stati oggetto di molteplici adattamenti audiovisivi nel corso degli ultimi cinque decenni. Inizialmente, il fenomeno interessò il solo contesto culturale canadese, con prodotti cinematografici e televisivi pensati per dare visibilità alla letteratura nazionale, promossi dalla Canadian Broadcasting Corporation e dal National Film Board of Canada. Una fase successiva vide l’impegno di apprezzate registe canadesi come Anne Wheeler e Sarah Polley che svilupparono progetti culturali ed estetici indipendenti e originali. Lontano da lei (2006) di Polley, in particolare, riscosse un notevole successo di critica e di pubblico, grazie anche all’interpretazione di Julie Christie nei panni della protagonista Fiona. La storia degli adattamenti ha raggiunto nel tempo un respiro internazionale, con Julieta di Pedro Almodóvar, presentato al Festival di Cannes nel 2016, e Canaan del regista iraniano-canadese Mani Haghighi del 2008. A interpretare la protagonista di Canaan è Taraneth Alidoosti, l’attrice arrestata nel dicembre 2022 per aver espresso solidarietà nei confronti della protesta contro il regime iraniano e rilasciata dopo quasi tre settimane (e in seguito a una massiccia raccolta di firme da parte di artisti internazionali e al pagamento di una cauzione). Questo breve ricordo non può che chiudersi con la figura di Alidoosti, traduttrice peraltro del racconto munroviano Il sogno di mia madre, che della scrittrice canadese ha colto e interpretato l’irriducibile portata artistica.
Riferimenti bibliografici
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Alice Ann Munro, Wingham, 10 luglio 1931 – Port Hope, 13 maggio 2024.