Il segreto sembra essere nell’obliquità dell’inquadratura, un’obliquità leggera ma netta, resa palese dallo stipite della porta al centro dell’immagine. Una coppia balla, nella cucina adiacente alla stanza dove siamo collocati “noi”, e lo sguardo che posiamo su questa danza dolce è uno sguardo inclinato, come a farci partecipare del movimento dei due personaggi. Al tempo stesso, la sottolineatura della distanza, tramite l’uscio che incornicia i soggetti, suggerisce che il fotografo, oltre a celebrare il momento romantico, vuole anche rispettarne l’intimità. La fotografia diventa così una splendida immagine non soltanto dell’amore, ma della tenerezza dell’amicizia.
Lo scatto di cui sto parlando è Valencia, Spain. 1952 di Elliott Erwitt, e ritrae Robert Frank e sua moglie Mary. Parte del fascino della foto sta anche nel suo essere antecedente alla grande fama delle persone coinvolte: Erwitt non si era ancora unito all’agenzia Magnum (sarebbe accaduto l’anno successivo), Robert Frank non aveva ancora realizzato il suo libro fotografico The Americans (1958) e Mary Frank non era ancora diventata una celebrata scultrice e pittrice. La luce proveniente da sinistra e lo sfocato, che rende pastosa parte dell’immagine, catturano perfettamente l’atmosfera spontanea e bohémienne in cui sono immersi questi giovani artisti.
Le coppie rimarranno uno dei soggetti preferiti di Erwitt, scomparso recentemente all’età di novantacinque anni, per tutta la sua lunga carriera. Dal bacio inquadrato nello specchietto retrovisore di un’auto parcheggiata in riva al mare, nella California degli anni cinquanta, al bizzarro matrimonio naturista celebrato in un paesino del Kent negli anni ottanta; dalle immagini di Grace Kelly nel giorno della sua festa di fidanzamento con Ranieri di Monaco a quelle dolentissime di Jackie Kennedy al funerale di JFK – Erwitt ha investigato continuamente la forza fascinativa e l’enigma della coppia. Egli stesso, d’altronde, è stato sposato quattro volte. La sua prospettiva può forse risultare, ad occhi contemporanei, disperatamente eteronormativa, ma nei suoi scatti più ispirati c’è davvero una capacità straordinaria di catturare lo spazio d’interazione Between the Sexes, come recita il titolo di una sua pubblicazione esplicitamente dedicata al tema nel 1994.
La riflessione di Erwitt si è estesa anche al tema della famiglia, come nel celebre scatto del 1953 in cui ritrae la prima figlia ad appena sei giorni, distesa sul letto sotto lo sguardo adorante della madre e quello vigile del gatto di casa: un’immagine-simbolo della fotografia umanista sin dalla sua inclusione nella fondamentale mostra del MoMA del 1955, The Family of Man. Fotografo Magnum per settant’anni esatti, non essendosi mai ritirato (fu anche presidente dell’agenzia per tre anni, a partire dal 1968), Erwitt ha fatto dell’indagine empatica della natura umana e animale, e degli intrecci spesso buffi tra le due, il centro della propria inesausta attività. Un’attività che per il resto ha teso a non ancorarsi ad un contesto geografico specifico. La sua stessa vicenda biografica, infatti, ancor prima della sua avventura creativa, si è svolta tutta nel segno del superamento delle barriere nazionali. Nato a Parigi nel 1928 come Elio Romano Erwitz in una famiglia di ebrei russi, Erwitt trascorse l’infanzia a Milano, per poi emigrare negli Stati Uniti nel 1939, a causa delle Leggi razziali. La sua formazione si svolse tra Hollywood (dove si era trasferito col padre dopo la separazione dei genitori) e New York (dove si stabilì nel 1948 per perseguire il sogno già adolescenziale di diventare fotografo), ma anche, nuovamente, in Europa (dove tornò da turista nel 1949 e da soldato nel 1951-53).
Il primo incarico importante – un photo-essay sulla città di Pittsburgh – fu commissionato ad Erwitt nel 1950 da Roy Stryker, l’uomo che, a capo della Farm Security Administration, negli anni trenta aveva lanciato fotografi del calibro di Walker Evans, Dorothea Lange, Gordon Parks. Ma nonostante questo esordio promettente fosse radicato nell’osservazione ravvicinata della realtà socio-culturale statunitense (alcune di queste splendide immagini paiono anticipare quelle mitiche che scatterà qualche anno dopo l’amico Robert Frank), in seguito la carriera di Erwitt prenderà piuttosto una via cosmopolita. Non a caso il portfolio di Pittsburgh, dimenticato, sarà riscoperto e pubblicato nella sua interezza solo nel 2017.
La qualità transnazionale dell’ispirazione di Erwitt ne fa uno dei più autentici eredi di Henri Cartier-Bresson (Westerbeck, Meyerowitz 2017, p. 182). Come quest’ultimo, anche Erwitt concepiva la fotografia come alchimia imprevedibile tra perseveranza, fortuna e pura e semplice curiosità; e ciò lo ha reso uno straordinario street photographer, capace di catturare i momenti pregnanti del vissuto urbano della gente comune. Al tempo stesso, anche le tante immagini di celebrità del mondo politico e culturale cui pure Erwitt deve molta della sua fama (Marilyn Monroe, Jack Kerouac, Che Guevara, Simone de Beauvoir e tantissimi altri) sono attraversate da una capacità di connessione con i soggetti ritratti che permette al fotografo di restituirne la dimensione intimamente grandiosa.
La posizione non invidiabile di epigono di Cartier-Bresson è stata superata da Erwitt soprattutto tramite un rafforzamento della vena ironica già presente nel Maestro, in una dinamica che lo avvicina a Robert Doisneau, e alla sua capacità di cogliere la «comicità casuale» (Sheed 1978, p. 6) del quotidiano. Come Doisneau, Erwitt ha lavorato sull’osservazione dettagliata di corpi, gesti e atteggiamenti, sull’espressività infantile e specialmente su quella canina (almeno cinque le pubblicazioni monografiche dedicate unicamente agli amati quadrupedi). Alcune delle sue immagini-facete tendono a letteralizzare troppo lo humor: la sua serie sui visitatori dei musei (Museum Watching, 1999) ha spesso qualcosa di eccessivamente esplicito (una sorta di compiacimento epigrammatico un po’ forzoso), per quanto lo scherzo sia sempre benevolo e non beffardo. Altri scatti adoperano però l’ironia per evocare una dimensione narrativa forte ma indefinita, che permette sufficiente spazio all’articolazione della fantasia. Penso a Bratsk, Siberia, USSR. 1967, in cui una coppia di sposi guarda basita un altro uomo, seduto accanto a loro, che ridacchia tra sé e sé: non sappiamo assolutamente cosa stia accadendo in questa scena ma, suggerendo un’infrazione alla seriosità dell’occasione cerimoniale, l’immagine scatena uno humor anarcoide irresistibile. Al loro meglio, le foto di Erwitt superano il livello del semplice motto di spirito, per diventare autenticamente poetici, laconicamente esilaranti.
In un altro scatto, meno noto, di Robert e Mary Frank, risalente alla New York del 1949, Erwitt piega questa stessa qualità sfuggente del medium fotografico in un’altra direzione. Mary, seduta al centro e sul fondo dell’immagine, è intenta a leggere; Robert, più vicino all’obiettivo, è invece in piedi sulla sinistra, appoggiato a un termosifone, ed è inquadrato nella cornice luminosa della finestra, il che fa di lui una silhouette interamente nera. Non capiamo esattamente cosa stia facendo: «Sembra teso, controllato, ad un passo dal dire o fare impulsivamente qualcosa di urgente» (Anderson 2018). Di sicuro, sorta di doppio del fotografo, sta guardando verso qualcosa nel fuori campo. Non che ci sia nulla di esplicitamente minaccioso nella fotografia, è anche questa uno scatto intimo, come quello da cui siamo partiti. Qui però un interrogativo, una tensione, si insinuano nell’immagine. Non si tratta di un domanda esplicita sull’identità maschile, come quella che si trova in alcuni intensi autoritratti giovanili di Erwitt (quelli maturi sono inderogabilmente burleschi). Il fotografo investiga piuttosto la soglia tra domestico ed enigmatico, tra familiare e sconosciuto, tra quotidiano e mistero. È proprio la commistione tra questi elementi che l’opera di Erwitt ci rimanda continuamente – aprendo, con la profondità del suo sguardo, squarci sempre nuovi anche nel nostro.
Riferimenti bibliografici
D. Anderson, The Benevolent Voyeur, in “magnumphotos.com”, 2018.
E. Erwitt, Between the Sexes, W.W. Norton & Company, New York 1994.
Id., Museum Watching, Phaidon Press, New York 1999.
Id., Pittsburgh 1950, GOST Books, London 2017.
W. Sheed, Introduction, in E. Erwitt, Recent Developments, Simon & Schuster, New York 1978.
C. Westerbeck, J. Meyerowitz, Bystander: A History of Street Photography (1994), Laurence King, London 2017.
Elliott Erwitt, Parigi, 26 luglio 1928 – New York, 29 novembre 2023.